[NFL] Week 2: Dalla Corea con… (Miami Dolphins vs Los Angeles Chargers 19-17)

Una delle cose che più facevano attendere il debutto stagionale casalingo dei Los Angeles Chargers (e stagionale in assoluto dei Miami Dolphins, per il noto rinvio della prima partita causato dall’uragano Irma) era senza dubbio la curiosità per il “nuovo” stadio. Come noto ai lettori attenti lo StubHub Center di Carson (casa dei moderatamente famosi Los Angeles Galaxy della MLS) è lo stadio largamente più piccolo della NFL, con una capienza di circa 27mila spettatori; per l’occasione, domenica ne erano presenti 25,381 – peraltro con una larga rappresentanza di tifosi Dolphins.

Erano davvero tanti anni che una partita della NFL non si giocava davanti a così poco pubblico: nel caso dei Dolphins, ad esempio, si dovrebbe risalire addirittura all’Orange Bowl casalingo contro i Broncos del 7 dicembre 1969 (!!!). Proprio il fatto che si tratti di uno stadio ‘da calcio’, comunque, ha sollevato unanimi apprezzamenti per lo stato del manto erboso ma anche critiche per la presenza di un unico tunnel di uscita dal campo per tutte e due le squadre (e infatti nell’intervallo si sono registrati contatti fra i giocatori avversari: per le cronache del calcio non sono purtroppo una grossa novità ma nella NFL ci sono un po’ meno abituati).

Per ricordare positivamente questo giorno, però, è mancato solamente il risultato: in una partita decisa solamente nel finale i Dolphins sono infatti riusciti a spuntarla 19-17, incamerando la prima vittoria stagionale e lasciando i Chargers (e il loro kicker coreano) a meditare su un triste 0-2.

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La fredda cronaca: inizio promettente per gli ospiti che, dopo un 3&out iniziale dei padroni di casa, iniziano con un buon drive in attacco nel quale mettono subito in mostra i due protagonisti principali della giornata: Jay Ajayi (alla fine per lui ben 28 portate per 122 yards e 4,4 di media) e Jarvis Landry (13 ricezioni per 78 yards totali). Nei 13 giochi del primo drive sono 5 le portate di Ajayi e 4 i tocchi del ricevitore numero 14. Arrivata in red zone, però, Miami si impalla (e non sarà la prima volta) e tocca al kicker Cody Parkey piazzare il primo calcio della sua carriera in aqua-arancio.

Jay Ajayi Dolphins

I Chargers ci riprovano ma, di nuovo, non ottengono nulla. La difesa dei Dolphins sembra concentrata, anche se priva a sorpresa di Lawrence Timmons, ma quando torna in campo l’attacco non succede molto e i padroni di casa, con un buon ritorno di punt, si posizionano circa a metà campo per ripartire. A Philip Rivers basta un passaggio sul tight end Hunter Henry per portare i suoi a distanza di field goal sullo scadere del primo quarto e tre giochi dopo il kicker sudcoreano Younghoe Koo piazza dalle 41 yard la palla del 3-3.

Con i due drive successivi la gara inizia ad avere una fisionomia definita: i Dolphins in attacco si muovono benino, ma la pressione su Jay Cutler è evidente (come è evidente la padronanza della tasca che differenzia marcatamente il quarterback ex-Vanderbilt dall’infortunato Ryan Tannehill); i Chargers invece in attacco sono meno fluidi, ma Philip Rivers può gestire in tranquillità le situazioni per la totale assenza di pass rush da parte dei Dolphins. In più, il playcalling di Adam Gase non aiuta certo i Dolphins (e il coach stesso sarà molto autocritico al riguardo all’intervallo) e, in questo modo, Miami non approda a nulla mentre i Chargers riescono a segnare con relativo poco sforzo il touchdown del vantaggio con Melvin Gordon.

Miami riparte ma va 3&out subito. Los Angeles (strano non chiamarli più “San Diego”…) riprende palla e Rivers continua indisturbato la sua serie di passaggini. Ma, arrivati sulle 17 yard avversarie William Hayes lo atterra e costringe i padroni di casa al field goal. Che Koo, ahilui, sbaglia largo sulla destra.

Mancano 30 secondi e i Dolphins, con il braccione di Cutler, possono provarci. Ma tutto quello che continuano a chiamare sono sempre passaggini corti che non portano a nulla e la prima parte di gara si chiude 10-3.

Detto delle scaramucce fra Devante Parker e Jahleel Addae nel tunnel, basate su un presunto fallo sporco avvenuto poco prima, alla ripresa del gioco Miami sembra aver capito i propri errori e, fra un passaggio corto e l’altro, inizia a puntare il mirino più avanti. Il primo passaggio profondo è per Devante Parker, ma viene giudicato incompleto dagli arbitri, il secondo (da 29 yard) è invece per Kenny Stills e porta con sé il touchdown del pareggio 10-10.

Philip Rivers, però, non sembra curarsene molto. Con estrema tranquillità e nella perdurante totale assenza di pressione su di sé, completa 5 passaggi su 7, dà in mano anche un pallone a Gordon per variare e conduce i Chargers di nuovo in vantaggio con un touchdown da 7 yard nel mezzo. E a segnarlo è Antonio Gates, che così sorpassa Tony Gonzalez nella classifica ogni epoca di segnature per un tight end: 112 contro 111 per il numero 85, sepolto sotto il mucchio dei compagni festanti in end zone e applaudito da tutto lo stadio per qualche minuto.

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Miami ribatte con un bel drive, che vive sulle gambone di Ajayi come sul braccio di Cutler e che percorre 67 yards in circa cinque minuti e mezzo. Solo per arrestarsi, come prima, su un playcalling rivedibile una volta arrivato in red zone. Parkey accorcia le distanze e siamo 17-13.

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Il terzo quarto finisce con la palla nelle mani dei Chargers, che percorrono il campo con relativa facilità. Un holding chiamata alla linea offensiva, però, compromette tutto e costringe i padroni di casa al punt. E l’attacco dei Dolphins ricomincia a macinare, con Cutler che trova Parker e Landry con continuità e Ajayi che fa il resto. Ci sarebbe da augurarsi che, per non arrivare di nuovo ad impantanarsi in red zone, Miami segnasse direttamente da lontano e infatti è esattamente quello che succede una volta passata la fatidica linea delle 20 yard: una penalità in attacco, un paio di chiamate discutibili e un sack dell’ex di turno Chris McCain fanno sì che tocchi di nuovo a Parkey mettere punti. Mancano sei minuti, i Dolphins sono sotto di un solo punto e si prospetta un bel finale.

Il drive dei Chargers trova una difesa Dolphins attenta in copertura e Rivers non trova spazi: dopo 6 giochi il punt ritorna palla in mano agli ospiti con tre minuti sul cronometro e palla a metà campo dopo un discreto ritorno di Jakeem Grant. Con tre corse di Ajayi Miami passa le 40 yard ma l’ennesimo gioco indecifrabile li costringe ad affidare ancora alla gamba di Cody Parkey il calcio del sorpasso 19-17 (che il kicker mette) ma, soprattutto, a ridare palla in mano a Philip Rivers con ancora un minuto sul cronometro.

I Chargers partono dalle proprie 20 yard. In pochi secondi River pesca prima Keenan Allen per 13 yard, poi il tight end Hunter Henry per 17 e infine Melvin Gordon per altre 10. Sulle 40 yard avversarie arriva prima una penalità contro i Dolphins e poi un altro passaggio su Allen per altre 9 yards. E dalle 26 yard, a 10 secondi dalla fine, Younghoe Koo ha l’occasione per far dimenticare il calcio sbagliato allo scadere al Mile High Stadium che sette giorni prima aveva dato la vittoria ai Broncos. E anche il calcio sbagliato poco prima, che gli avrebbe consentito di non trovarsi in quella posizione. E, ahilui ahilui, sbaglia di nuovo, ancora largo a destra.

Miami vince così una partita strana, che ha meritato di vincere in attacco ma in cui ha mostrato di dover lavorare ancora molto in difesa (soprattutto nella linea, oggi quantomeno inconsistente).

I Chargers invece perdono una partita che probabilmente non meritavano di perdere, finiscono 0-2 e si trovano in quella posizione in cui sai che qualcosa deve cambiare ma non sai esattamente cosa. Tranne (ahilui ahilui ahilui) forse una: dopo due partite un solo calcio realizzato su quattro, con due errori allo scadere, non è un gran biglietto da visita per un kicker. La pazienza nei confronti di un rookie è una cosa ma rimane da vedere quanta ne avranno i Chargers: per il buon Koo è veramente arrivato il momento di cambiare marcia, per non ritrovarsi negli scomodi panni del capro espiatorio.

Gli highlight della partita

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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