La fine di un’era, Jason Kelce si ritira

Mentre scrivo questo articolo vi confesso subito, a freddo, che non ho ancora avuto il coraggio di vedere la conferenza stampa ufficiale. Ho appreso della notizia in leggero ritardo, e forse proprio questo mi ha ghiacciato, mi ha fermato in questo strano limbo da cui faccio onestamente pure fatica ad esprimere le giuste parole. Lo so che sembra assurdo, ma per queste ragioni ho ritenuto giusto rimandare la visione di quella conferenza, rimandare un momento che so sarà molto difficile e che a dirvela tutta vorrei anche tenerlo per me. Ma poi diciamoci la verità, trovare le parole “giuste” per una figura come quella di Jason Kelce non è cosa facile. Si tratta di un’enorme responsabilità, del quale sento ogni figurato grammo di peso, perché trovare un modo che sia appropriatamente adeguato nel congedare una leggenda del genere è un compito importante.

Tutti noi, tifosi Eagles e non, sapevamo che la probabilità quest’anno era alta, ma inverosimilmente la sensazione che si prova è comunque come quella di una stoccata inattesa.

La parte razionale e logica del nostro cervello sapeva che i presupposti andavano verso la via del ritiro La parte più emozionale e passionale però sperava in quella piccola e flebile possibilità di rivedere Jason accettare un nuovo carico di birra di Sirianni, come accadde l’anno scorso, e come lo stesso Kelce ha ironicamente ricordato nell’anticipare la conferenza stampa.

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Nato a Cleveland Heights nell’Ohio, cresciuto sui campi collegiali con i Cincinnati Bearcats insieme al fratello Travis, nel periodo di avvicinamento al Draft 2011 il futuro center di Philadelphia mette subito in chiaro cosa può portare ad un franchise: velocità, rapidità, ma più in generale una “mentalità che la squadra amerà”.

Fin troppo spesso si utilizza una famosa espressione per alludere a una certa veridicità di alcune parole, questo però penso possa essere uno dei pochi casi in cui sarebbe corretto utilizzarla. Perché le parole del giovane Jason furono davvero tra le più vere che si possano sentire in quelle determinate circostanze, se si guarda al risvolto che poi hanno avuto negli anni seguenti. Senza neanche entrare negli aspetti tecnici (se siete novizi di questo sport vi rimando direttamente a YouTube o al Game Pass della NFL per gustarvi le immense qualità di questo centro), Kelce ha fatto sue quelle parole fino in fondo, ha “semplicemente” mantenuto la promessa.

Jason è diventato la rappresentazione ideale di una mentalità che qualunque head coach adorerebbe avere nella propria locker room, ma soprattutto ha incarnato la mentalità richiesta da un contesto e un ambiente come Philly.

Proprio in questi giorni in un podcast Darius Slay e Steven Nelson parlavano di come sia estremamente difficile riuscire a tenere i nervi e le tensioni ad un livello accettabile, in un ambiente caldo come quello del Lincoln Financial Field e di tutto ciò che gira attorno all’universo Eagles. Per molti suonerà scontato, ma davvero, giocare e competere in tale ambiente non è affatto facile. Kelce non solo ha fatto questo, ma è andato persino oltre, diventando una figura rappresentativa e intoccabile della franchigia. Un simbolo anche di resilienza, altra parola abusata, ma che anche in questo caso calza a pennello.

Al suo secondo anno nella NFL, dopo sole due partite giocate in stagione, la carriera di Kelce prende una brusca interruzione, a causa della rottura del legamento collaterale mediale del ginocchio destro. Un infortunio tanto lungo quanto il nome tecnico che lo porta, che purtroppo lo costringerà a chiudere la stagione 2012 anzitempo. L’anno seguente, con sole 18 partite totali nella lega professionistica, con delle super prestazioni (miglior centro per Pro Football Focus quell’anno) Kelce guida i suoi compagni ai playoff con numeri storici come le 160,4 running yard per game, andando ad infrangere un record che riportava indietro fino al secondo dopoguerra.

Il capolavoro di Kelce arriva però nel 2017, con la vittoria del primo e unico Super Bowl per gli Eagles, al loro quarto tentativo.

Tutto però inizia in maniera rocambolesca, all’indomani della chiusura della stagione 2016 infatti alcuni reporters di Philadelphia rumoreggiano un’ipotesi trade o addirittura rilascio per Kelce.

Per nostra fortuna tutto ciò non avverrà mai e, dopo un piccolo inciampo iniziale, Jason Kelce guida i suoi compagni ad un filotto di 9 vittorie, finendo la stagione regolare con la seconda migliore offensive line in run blocking e decima in pass protection per Pro Football Focus.

I playoff così come la regular season non cominciano all’insegna della speranza, per poi però riprendersi con una prestazione dominante contro i Minnesota Vikings, che consegna agli Eagles il loro quarto biglietto per il gran finale.

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Una partita storica quella contro i New England Patriots, di quelle che qualsiasi amante di questo sport dovrebbe vedersi almeno una volta nella vita. Un intreccio e moltitudine di dinamiche, che stare a raccontare adesso ci distoglierebbe dal nostro compito principale, ossia quello di onorare la carriera di Jason.

Un percorso straordinario, che lo riporterà nuovamente sul palcoscenico sportivo più importante del mondo dopo cinque anni, ma questa volta la dinamica principale lo riguarda nel profondo. Gli avversari sono infatti i Kansas City Chiefs, squadra del tanto amato e stimato fratello Travis. Gli Eagles perdono il confronto per soli 3 punti, in un’altra grandissima battaglia, definita da molti perfino il miglior Super Bowl della storia.

Non dimenticherò mai quel giorno, ahimè, ma Jason è riuscito a regalarmi un sorriso persino in uno dei giorni più tristi della mia vita da tifoso. Quelle immagini di lui, in preda all’emozione abbracciato alla madre, diventata una “star” come definita dai loro stessi figli nei giorni seguenti.

Jason in quel momento riuscì a trovare la forza di mettere da parte l’immensa delusione e ferita d’orgoglio, per invitare la madre a non “perdere” troppo tempo insieme a lui, ma a godersi il momento di gioia con il suo altro figlio. Ecco, se dovessi provare a rappresentare Jason ad una persona che non lo conosce, di certo utilizzerei questo episodio della sua vita per raccontarlo.

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Spesso criticato da tifosi rivali, per le sue decisamente estroverse emozioni, etichettato come un egocentrico. Ecco, magari sarò di parte, ma ritengo che una reazione del genere da parte di questi soggetti denoti solamente una frustrazione interiore, un’invidia verso la naturalezza e spensieratezza con cui Kelce esterna le sue emozioni.

Questo è il fattore umano che più amo in assoluto di quest’uomo, e che rende la mia stima verso la sua persona di un livello enorme, che non considera neanche l’aspetto sportivo. Quella capacità di mettersi a nudo, di mostrare che è importante lasciarsi andare, l’ho sempre ritenuto un atteggiamento estremamente inclusivo, e di enorme importanza.

Jason Kelce è una leggenda per questo, è riuscito a vincere l’amore di TUTTI i tifosi degli Eagles, e non solo, per questo. Pur consapevole e cosciente di essere uno dei giocatori più forti che questa lega sportiva abbia mai visto, con le sue parole e il suo body language Jason riesce come a renderti partecipe di tutto ciò che sta vivendo, come se ci trovassimo lì con lui. La sua empatia è difficilmente paragonabile in questo mondo, e non parlo solo di quello sportivo.

E credo proprio che il regalo più bella che la vita abbia fatto a Jason non sia tanto il Super Bowl vinto con una carriera storica, ma l’infinita lista di persone che l’hanno amato, lo amano, e lo ameranno anche quando non ci sarà più.

Anzi, ne sono certo.

Alcune reazioni di tifosi Eagles italiani al ritiro di Jason Kelce

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