Bears in ripresa, ma contro questi Lions… (Detroit Lions vs Chicago Bears 14-24)
Contro questi Lions, poco conta.
Inutile girarci intorno, la Detroit del football americano non ha voce in capitolo, non l’aveva e di questo passo non l’avrà.
Però i Lions arrivano in un momento delicato per i Bears che, dopo la disfatta di Cleveland, cercano aria per riossigenare i polmoni saturi dalla pesantezza delle critiche e dalle botte prese in Ohio. A Minnesota, i Vikings parlano delle stesse cose per esempio: settimana prossima arrivano i Lions, occasione giusta per scacciare l’aria di crisi dopo il triste avvio da 1-3. PS: la prestazione del potente attacco dei Vikes ha comunque prodotto un solo, misero, punto in più rispetto all’attacco allo sbaraglio di Matt Nagy. E chiudo la parentesi per dire che i Browns tutto sommato non sono così male in difesa! Certo Cousins e la sua linea decisamente meglio di Fields e della pessima OLine di Chicago, ma alla fine i punti son quelli. Senza troppi giri e senza troppe giustificazioni.
Sempre in tema Lions, pure i Packers usciti da New Orleans con le ossa rotte hanno necessitato di una visita da parte di Goff e soci per prendere quota. Insomma, questi Lions fanno gola a tutti in NFL e tutti non vedono l’ora di affrontarli. D’altronde una squadra che, ad inizio partita, per tre volte si presenta al primo e goal dentro le 10 yard di Chicago e per tre volte perde il possesso del pallone altro non è che un fallimento.
Ci hanno provato a dare la colpa a Matt Patricia, e a Jim Caldwell o a Jim Schwartz prima di lui. Ma alla fine i problemi sono della società e di questa rimangono, affossando ovviamente i tifosi fedeli. La stessa società che ha fatto ritirare Barry Sanders dalla disperazione e che ha dovuto concedere il benestare al braccio di Matt Stafford per un fidanzamento con McVay; promessa che sta producendo i suoi frutti.
Sewell è un gran giocatore, da lì bisogna ripartire. Kalif Raymond è un bel giocatorino, non per i due touchdown messi a tabellino e che hanno dato l’impressione di una possibile rimonta fosse nell’aria, ma per il modo in cui si muove e per come interpreta quel poco di buono materializzato dai Lions. Il resto lo possiamo archiviare.
Poi ci sono i nostri Bears. Matt Nagy trova il modo di sopravvivere, ancora una volta. Alla fine il ciclo è lo stesso da un pò di mesi a questa parte: il capo allenatore perde le partite più delicate scegliendo di chiamare i giochi lui stesso, ritenendosi un guru dell’attacco alla Kyle Shanahan quando ovviamente non lo è. Ed ora che Montgomery si è fatto male con una spaventova iperestensione al ginocchio sinistro (non dovrebbero esserci danni ai legamenti) e il running game dei Bears finirà sotto a un treno a Las Vegas vedremo… A queste sconfitte seguono delle vittorie contro squadre dal record poco invidiabile, un successo sporadico contro un grande team (vedi Tampa l’anno scorso) che gli permettono di portare a casa la pelle. Luci e ombre in mezzo alle quali Nagy ha imparato a muoversi con maestria facendosi beffa di una vecchia società dai sistemi antiquati e fuori moda.
Il tutto è un peccato perchè come Head Coach, Nagy è favoloso. Un aizzatore carico di energia e di buoni propositi, con grinta da vendere e good vibes per tutti. Solo che all’occorrenza viene tradito dal suo ego e dalla sua cresta che sfoggia alta nonostante la pelata.
Attendiamo evoluzioni, risposte. Queste arriveranno con un quartetto di sfide proibitive come quelle che attendono i Bears nel proseguo di ottobre: Raiders, Packers, Bucs e Niners.
Nel mezzo si aggiunge la distrazione importante di Arlington Park, nuova sede dei Bears a nord di Chicago dove il team costruirà il nuovo stadio abbandonando il Soldier Field da qui a dieci anni.
Domenica i giochi li ha chiamati Bill Lazor, quantomento la maggior parte. Fields è stato ripreso mentre guardava in alto e non in sideline; di certo non lo faceva per raccogliere gli elogi (meritati) del suo pubblico. Nelle nostre fila nessuno vuole vedere Chicago perdere, ma perdere ieri sarebbe realmente costato la panchina a Nagy che in caso di esito negativo non si sarebbe potuto salvare nemmeno con la benedizione della Signora Virginia.
Tutti avrebbero voluto vedere Nagy fired, ma nessuno vuole vedere i Bears perdere e dunque avanti popolo.
La partita ha poco da dire se non che Justin Fields, messo nella condizione di giocare, è un piacere alla vista. Difesa Lions ben diversa rispetto a quella capitanata da un mostro come Myles Garrett, un test di prova favorevole ma che può servire ad una matricola per raccogliere fiducia e immagazzinarla insieme alle brutte esperienze vissute sette giorni fa. C’è del colore, c’è della prospettiva. C’è tanta voglia e profonda intesa nella jam session andata in scena tra Justin Fields e Darnell Mooney, quacosa che ricorda le follie dell’accoppiata reale Mahomes-Hill.
Mentre l’attacco è cresciuto (e serviva poco per farlo), la difesa di Sean Desai si è riconfermata solida e stabile. Forte quando schierata, pericolosissima quando sfidada. Khalil Mack domina come da abitudine, Alec Ogletree sale in cattedra assistendo un sempre perfetto Roquan Smith. Intanto ecco Robert Quinn, a oggi possibile NFL come back player of the year e senza dubbio alcuno.
Fields vince la sua seconda partita, la prima da titolare e si porta a casa il pallone assieme ad un sorriso. Una chiamata per un TD Pass avrebbero anche potuto regalarla al ragazzo ma, forse visti i risultati poco lucidi nella end-zone degli appuntamenti passati, ci stava togliere del peso dalle sue spalle e metterlo su quelle dei ‘back. Tuttavia il suo tocco è pulito e la sua traccia lucida. Quando JF inquadra l’obiettivo i palloni sono telecomandati, talento cristallino semplicemente da modellare per le grandi occasioni del gridiron. Fields gioca senza tight end, per scelta del playbook o per incompetenza di chi copre il ruolo (mi riferisco ad un sempre più assente Cole Kmet). Graham non è mai chiamato in causa, quindi non possiamo accusarlo di nulla. Ma Kmet lo è, ed ogni volta è corto, simula contatti o interferenze difensive che non ci sono, è totalmente incapace di bloccare (lo sapevamo ma si pensava ad un possibile miglioramento, poveri illusi noi).
Ci aspettavamo di più da Kmet, lo speravamo quantomeno. Primo TE ad essere chiamato nella classe di un draft priva di TE. Quindi le colpe di chi sono? Easy, Ryan Pace. Fields potrà oscurare tutte le tue malevolenze e tutte le tue pecche, e forse assicurarti anche una bella sommetta in vista del tuo rinnovo per le alte cariche aziendali.
Riconosco che ci tocchi usare spesso toni critici in questa fase perchè in rappresentanza del terzo mercato più importante degli Stati Uniti d’America le ambizioni devono rimanere alte. Inoltre le prese in giro (societarie) e i lavativi non ci piacciono, quindi non odiateci per essere sinceri con i lettori che ci seguono. Cole Kmet è, a tutt’oggi, un giocatore inutile alla causa dei Bears. Pagato a caro prezzo, totalmente irrilevante nelle dinamiche del team. A casa mia si dice bidone. Sarà ancora troppo giovane, sarò affrettato io nel giudizio, poco cambia. I numeri parlano per lui, e ne parlano male purtroppo.
Bookmakers a parte, abbiamo un regolamento di conti con i Raiders a pochi giorni da oggi. Quella sconfitta di London nel 2019 è rimasta indigesta per come arrivata. Dopo un weekend sensazionale vissuto in armonia con entrambe le fanbase e dopo una grande rimonta sfumata nel finale cancellando un lampo di Cohen da cineteca; fosse solo per quella penalità sul punt invocata “su chiamata” dai Raiders. La trasferta di Las Vegas è la più ambita dai tifosi di Chicago, attratti in maniera enorme dall’idea di un fine settimana di follie condito dal desiderio di portarsi a casa una bella vittoria. Ipotesi dura, quella della vittoria perchè i Raiders hanno trovato il loro carattere ed un bel ritmo.
Toccherà a Fields spuntarla, nella speranza che questa volta i giochi non passino per le mani di Nagy e che il capo allenatore si limiti a fare il capo allenatore.