[NFL] Week 17: New York Jets vs Miami Dolphins 20-7

La vendetta va servita fredda. E i Jets, dopo la bruttissima sconfitta patita in casa ad inizio mese, hanno atteso tutto il mese di dicembre e, all’ultima giornata, si sono vendicati dei Dolphins nel modo migliore: battendoli in casa ed eliminandoli dai playoffs.

La partita è stata la dimostrazione pratica di un paio di cose: intanto che le motivazioni sono una cosa soggettiva. Si poteva infatti pensare che Miami, giocandosi l’accesso ai playoffs, fosse più motivata ma, alla prova dei fatti, sono stati i Jets a dimostrare di giocare per qualcosa, dove questo qualcosa non era un traguardo materiale ma solo qualcosa di più “modesto”: l’onore e la volontà di dimostrare l’attaccamento al proprio head coach in bilico.

Rex RyanE proprio questa è la seconda cosa che questa partita ha dimostrato: che Rex Ryan non è affatto un coach da buttare. Può non piacere, anche se col tempo ha un po’ smussato alcuni suoi atteggiamenti estremi, ma sa allenare, sa motivare i suoi giocatori e sa preparare le partite. E questa ultima vittoria a Miami, che sembra coincidere con la sua riconferma come capo allenatore a New York (vedi tweet di Woody Johnson, proprietario dei Jets), è stata un chiaro esempio di partita in cui un coaching staff ha dominato sull’altro: tanto i Jets sono stati vivaci ed efficaci in attacco e capaci di sfruttare i punti di forza di Geno Smith (che attualmente sono pochi, ma proprio questo è il punto), tanto i Dolphins sono stati molli, passivi in difesa e mai capaci di trovare una contromisura a qualsiasi evento della partita, tantomeno a quello – per loro drammatico – dell’infortunio a Brian Hartline che ha privato Ryan Tannehill del suo bersaglio preferito.

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Ryan Tannehill

Lo stesso Tannehill, va detto, non ha lasciato come ricordo la sua migliore prestazione. Al di là delle cifre comunque modeste (20/40, 204 yards, 1 touchdown e 3 intercetti) non è mai stato preciso, nemmeno in una partita in cui non ha subito una particolare pressione e non ha preso neanche un sack. La sua migliore azione è stato il passaggio in touchdown per Mike Wallace a metà del secondo quarto, un lancino morbido da 5 yards, tirato con precisione e – soprattutto – con un difensore in piena faccia; a parte questo, tanti passaggi fuori misura, bassi o corti, un errore abbastanza grave su una corsa chiusa con una scivolata ad una yard dalla chiusura del down (yard che Miami poi finirà per non prendere più) e una presenza in campo lontana da quella di un leader che deve guidare la sua squadra nella battaglia decisiva. Perchè, per i Dolphins, di questo si trattava.

Miami due settimane fa, con la entusiasmante vittoria sui Patriots, si era guadagnata il privilegio di controllare il proprio destino: vincendo contro Bills e Jets, dietro di loro in classifica, sarebbero stati i primi playoffs dal 2008, i secondi dal 2001. E invece la truppa guidata da Joe Philbin ha buttato via tutto, prima con la sconfitta imbarazzante di sette giorni fa a Buffalo ed ora perdendo senza idee e senza nerbo in casa proprio con la loro nemesi peggiore, i biancoverdi di New York. Erano praticamente due partite di playoffs, da vincere e basta, senza altri motivi, e i Dolphins non hanno superato la prova.
Certo, hanno attraversato una stagione a dir poco complicata, e sono stati bravi proprio nel momento peggiore, quello dell’esplosione dell’affare Incognito-Martin, a trovare la forza per “fare gruppo” ed infilare la serie di vittorie di fila che ha illuso i fans e, forse, anche l’ambiente. Invece quando le partite hanno iniziato a contare sul serio si è sciolto tutto quanto.
Geno SmithE Miami, finendo con un record di 8-8, ha anche perso il secondo posto nella AFC East proprio a favore di quei Jets che si erano illusi di aver superato e dai quali, invece, hanno preso una dura lezione che speriamo serva per il futuro. Di come nel football non ci sia nulla di scontato, perchè se non prepari bene la partita (e il coaching staff di New York lo ha fatto, ad esempio eliminando in pratica dal campo il TE Charles Clay, una delle armi più pericolose a disposizione di Tannehill; e quello di Miami lo ha fatto meno, soprattutto nell’approccio mentale alla partita) va a finire che la paghi cara.
Se non esegui bene sul campo le indicazioni dei coach (e i Jets lo hanno fatto più dei Dolphins, che hanno invece sbagliato parecchio, soprattutto in difesa, mai incisiva e incapace di mettere pressione su Smith) va a finire che la paghi cara; e se durante la partita non sei capace di adattarti e trovare soluzioni a quello che succede (cosa che, di nuovo, Miami non è riuscita a fare, ad esempio patendo più del lecito l’infortunio di Hartline o facendosi trovare impreparato sulle frequenti sgroppate di Geno Smith) va a finire, beh, sempre nello stesso modo. Come poi, in effetti, è andata a finire.

Ora, per tutti e due i contendenti è già offseason, ma il ricordo che lasciano è opposto. I Jets concludono in crescendo, consapevoli del lavoro che ci sarà da fare e delle decisioni che andranno prese (uhm… Sanchez?) in offseason e con un allenatore probabilmente fresco di riconferma; i Dolphins concludono invece con un crollo che rischia di oscurare anche quello che di buono era emerso durante la stagione e di mettere in discussione ogni cosa, soprattutto alla luce del mucchio di soldi speso lo scorso anno e delle aspettative che aveva portato con sè. Per quelle del prossimo anno, però, c’è ancora tempo: intanto, godiamoci i playoffs.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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