Uno sguardo al 2023: Miami Dolphins

Ricordate l’incipit della review dello scorso anno? “Il 2022 dei Miami Dolphins è stato un viaggio tanto strano quanto entusiasmante”. Beh, a posteriori possiamo dire che il 2023 è stato… di più. E’ stato senza dubbio entusiasmante, e più entusiasmante dell’anno prima. Per quasi tutta la stagione i Dolphins sono sembrati e si sono comportati come una vera contender, e questa è una cosa alla quale nessuno di noi dolfans era più abituato. Ed è stato strano anche per questo, ma molto di più perché, nel momento in cui iniziavamo veramente a farci la bocca, tutto è iniziato a crollare: infortuni a ripetizione, roster decimato e la possibilità del primo titolo divisionale dopo eoni sfumata sul filo di lana, dopo aver sprecato in 5 partite un vantaggio di tre gare. E, ai playoffs, la quarta gara più fredda nella storia NFL, in trasferta e contro quelli che poi avrebbero alzato di nuovo il Lombardi Trophy. In effetti, un finale molto Dolphins. Beh, dai, andiamo con ordine.

COME DOVEVA ANDARE…

Le probabilità che in una qualsiasi offseason i Miami Dolphins facciano comunque almeno un movimento col botto ormai non sono più quotate. C’era stata la trade per Bradley Chubb, c’era stata la trade per Tyreek Hill… e quest’anno è toccato a Jalen Ramsey il compito di galvanizzare l’umore di una fanbase che dopo il primo anno di Mike McDaniel, l’attacco esplosivo, Tyreek Hill, eccetera aveva già fissato in alto l’asticella delle aspettative. E a ragion veduta, perché anche quest’anno il roster assemblato da Chris Grier aveva davvero poco da invidiare a chiunque in termini di talento puro e i rinforzi, compreso il già citato Ramsey, erano stati mirati a coprire i buchi che si erano visti nel 2022, con giocatori non costosissimi ma funzionali (David Long, Braxton Berrios, DeShon Elliott, per citarne solo alcuni). Certo, con l’eccezione del contrattone di Ramsey, peraltro andato a rimpiazzare l’investimento altrettanto grosso ma sbagliato fatto su Byron Jones solo un paio di anni prima.

Le incognite erano soprattutto tre. Uno: saprà Mike McDaniel replicare l’ottimo spettacolo offerto dal suo attacco nel suo primo anno al timone di Miami, adesso che tutti gli allenatori di difesa della lega lo conoscono e lo aspettano al varco? Due: Vic Fangio riuscirà a far fare il salto di qualità ad una difesa sulla carta dotatissima ma capace di performare sul campo secondo l’ormai classico “non mi piego ma mi spezzo”? Tre: last but NOT the least, dopo due concussion e mezzo, con il contratto prorogato per un quinto anno ma non rinnovato e davanti ad un anno cruciale per il suo futuro a Miami e in fondo anche nella lega, Tua Tagovailoa riuscirà finalmente a rimanere sano?

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…E COME E’ ANDATA

E’ andata bene, alla fine, come lo scorso anno, ma la percezione è che non sia andata poi così bene. Ed è in fondo inevitabile quando per la prima parte della stagione e anche oltre sei stabilmente stato fra le contender, per poi iniziare, sull’onda degli infortuni a catena, una progressiva implosione culminata nell’aver buttato via un titolo divisionale che, a cinque partite dalla fine e con tre gare di vantaggio, sembrava veramente a portata, nonostante un calendario che nel finale di stagione si sarebbe incattivito di brutto.

La surreale sconfitta casalinga nel Monday Night della 14esima giornata contro dei “non irresistibili” Tennessee Titans che avevano fatto di tutto per perdere la partita e che invece sono finiti con il vincerla 28-27 dopo essere stati sotto di 14 (quattordici) punti a 4 minuti e mezzo dalla fine… è stato ovviamente il nadir della stagione di Miami. Quella vittoria avrebbe dato ai Dolphins la gara di vantaggio necessaria per evitare di trovarsi nella peggiore delle ipotesi alla pari con i Buffalo Bills all’ultima giornata a giocarsi la division. Come ovvio e come noto, la peggiore delle ipotesi si è invece puntualmente verificata, e il resto è storia.

Miami esce molto acciaccata dalla stagione, ma non morta. I limiti dei Dolphins negli scontri con le squadre al loro livello o sopra sono emersi evidenti, come testimoniato da una sola partita vinta (contro i Dallas Cowboys), alcune perse in modi altalenanti ma quantomeno dignitosi e almeno un paio di sonore sculacciate senza attenuanti, tipo la disfatta contro i Baltimore Ravens di fine stagione. Questi Dolphins devono ancora crescere ma la data di scadenza su questo gruppo imposta dai vincoli di salary cap rende quanto meno interessante vedere se e come ci potranno riuscire. Di buono, però, rimane il fatto che quest’anno come mai nel recente passato questa squadra ci ha fatto divertire, ci ha fatto vedere di poter competere e, diciamolo, ci ha ridato l’orgoglio di tifare Dolphins che si stava un po’ spegnendo.

COSA HA FUNZIONATO…

Ed ecco il momento in cui torniamo alle tre incognite di prima. Uno: alla domanda “cosa potrà inventarsi adesso Mike McDaniel, visto che Hiddle&Waddle (cit.) li conoscono tutti?” la risposta è stata banale: un running game. Nel 2023 il gioco su terra è stata la vera arma in più dei Dolphins., Certo, Tyreek Hill ha continuato ad essere molto vicino all’immarcabile per chiunque finchè il suo fisico ha retto, e la sua corsa verso il traguardo delle 2000 yards (ha chiuso la stagione a 1799, leader NFL) si è presa quasi tutti gli highlights. Ma la stagione di Raheem Mostert e l’esplosione improvvisa e inattesa di Devon Achane sono state talmente travolgenti da non poter essere ignorate. Mostert ha chiuso la stagione con 21 touchdown (anche questo leader NFL) e i suoi 18 TD su corsa sono il record ogni epoca per i Miami Dolphins. E la velocità con cui Achane è entrato negli highlights e nei fantasy rankings è stata peri solo a quella che raggiunge sul campo. Esaltanti.

Due: Vic Fangio ci ha messo un po’ a far ingranare la difesa che gli era stata affidata, l’inizio di stagione era stato incerto e altalenante. Poi, Jalen Ramsey è tornato in campo, ristabilito dall’infortunio, e si è assistito ad uno dei rari casi in cui un giocatore cambia faccia ad un intero reparto. La difesa ha così iniziato a migliorare progressivamente e sensibilmente, fino al momento in cui ha iniziato a perdere i pezzi: fuori Phillips, fuori Howard, fuori Chubb, fuori Van Ginkel, fuori Baker… non poteva essere la stessa cosa e,  infatti, non lo è stata. Non si immaginava che sarebbe stato il prologo al rapido addio di Fangio a Miami ma, come nei matrimoni sbagliati, non poteva che finire così.

Tre: 4.624 passing yards (leader NFL e terza prestazione della storia dei Dolphins, inutile dire di chi sono le prime due); 69,3% di passaggi completati (2° fra i qb con più di 500 passaggi tentati); 29 touchdown, 14 intercetti, 101,1 di qb rating; prima convocazione al Pro Bowl a furor di popolo, terzo giocatore più votato in assoluto. E (viste le attese qualcuno potrebbe metterci un “soprattutto”) 95,17% degli snap giocati, con Mike White a prendere le briciole e Skylar Thompson a tenere la cartelletta. Le cifre non sono equivocabili e raccontano di una stagione in cui Tua Tagovailoa non solo ha fugato dubbi e timori sul suo stato fisico ma anche sulla sua capacità di guidare una squadra NFL e di essere il franchise qb su cui i Dolphins hanno scommesso. Deve ancora migliorare? Certo. Può ancora migliorare? Di nuovo, certo. Ma sul campo Tua ha dimostrato di esserci, e pazienza se l’esercito di haters/scettici/dubbiosi che lo accompagna da sempre continua e continuerà a soffiare contro.

…E COSA NON HA FUNZIONATO

Risposta di getto: gli infortuni. Parecchio del crollo finale dei Dolphins si spiega con la catena di infortuni che hanno progressivamente decimato il roster. La difesa, come detto, ha pagato il prezzo più salato, con uno stillicidio che li ha portati al finale di stagione senza più pass rusher e in cui sono arrivati a dover mettere sotto contratto Melvin Ingram, Justin Houston e Bruce Irvin, 105 anni in 3. Ma anche l’attacco ha avuto i suoi guai, con Tyreek Hill limitato a lungo andare, Jaylen Waddle fuori per diverse gare e una OL che ad un certo punto schierava un solo titolare e quattro rincalzi, tenendo peraltro il campo egregiamente. Comunque, per essere chiari, le assenze non sono una scusa, perché nel football le hanno tutti ma, siccome non si vince senza fortuna, non possono neanche essere ignorate, perché quando perdi le stelle allora in campo non può essere proprio la stessa cosa.

Il vero limite palesato dai Dolphins quest’anno è stata l’incapacità di vincere le partite importanti, quelle che giochi con le squadre forti, in trasferta, magari in condizioni estreme (wild card in Kansas City, anyone?). Miami ne ha portata a casa solo una, contro quei Dallas Cowboys che un po’ sono lo specchio dei Dolphins nella NFC, e nelle altre occasioni è rimasta negli occhi di tutti la netta impressione che ai Dolphins mancasse ancora qualcosa, a tutti i livelli, dall’attacco, alla difesa, alla tattica, alle prestazioni dei singoli, alla gestione della partita. I Dolphins devono crescere in questo, il passo in avanti registrato quest’anno e l’essersi issati lassù, nella parte nobile delle gerarchie, non può bastare quando poi al dunque ti sciogli in un mare di incertezze e butti via un titolo divisionale che pareva ormai vinto.

Perché il vero rimpianto più grande è che il 2023 è stato per i Dolphins una grande occasione sprecata. Un roster zeppo di talento, ottimamente costruito da Chris Grier sul filo del salary cap in un gigantesco all-in. Un attacco a tratti inarrestabile, con un quarterback che passa quanto nessun’altro nella NFL, un runningback che segna touchdown come nessun’altro nella NFL e un ricevitore che riceve quanto nessun’altro nella NFL. E immarcabile. Una stagione in cui l’avversario più temibile (Buffalo), balbetta fino a più di metà stagione e finisce per essere dietro di tre partite in classifica. Una stagione in cui si rompono Aaron Rodgers e Joe Burrow, eliminando in partenza due delle contendenti più pericolose, una delle quali proprio in casa. In cui i campioni in carica (Kansas City) stentano fino a metà stagione frenati da un attacco senza armi e in cui i campioni di sempre (New England) affondano nelle sabbie mobili di una fine dinastia. C’erano troppi pianeti allineati, troppe cose che erano capitate e che non capiteranno più, per non considerare questo 2023 una colossale occasione per vincere qualcosa, fosse anche un titolo divisionale dopo 15 anni. E invece no. Invece è finita in un modo che, tristemente, è molto Miami Dolphins.

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E ADESSO?

Lo abbiamo detto prima: il 2023 era stato scientificamente pensato come un gigantesco all-in, ed è andata male. I Dolphins hanno aperto l’offseason con un deficit di circa 55 milioni di dollari sotto il tetto salariale. Poi il cap è aumentato ma ciò non ha mutato la realtà con cui Chris Grier sapeva che avrebbe dovuto fare i conti: i Dolphins avevano il terzo maggior deficit sotto il salary cap della lega, e questo poteva voler dire solo una cosa. L’undici marzo, primo giorno di free agency, sarebbe stato un giorno triste.

Lo è stato, e molto. Ma molto molto. Ma molto molto molto. Ma, trascorsi un po’ di giorni, è apparso evidente che Grier aveva un piano. I dolorosi addii, che non starò qui a ricordare, sono stati compensati da arrivi interessanti, mirati e con contratti molto più contenuti: Jonnu Smith, Jordan Poyer, Jordyn Brooks, Aaron Brewer, fra gli altri. Miami ha comunque mantenuto buona parte del talento che aveva a roster e, del resto, di buoni giocatori draftati e fatti crescere fino a diventare giocatori di peso i Dolphins hanno saputo coltivarne parecchi (e questo, diciamolo, è un bel merito). Qualcuno, alla fine, è dovuto partire (anche) per consentire di rinnovarne altri, e in lista d’attesa ce ne sono molti: Tua Tagovailoa, Jaylen Waddle, Jaelan Phillips, Jevon Holland.

E, ovviamente, non è finita al momento in cui leggete questo report. C’è ancora un draft da fare, nel quale i Dolphins tornano a scegliere al primo giro dopo il “turno in prigione” dello scorso anno. E c’è una seconda parte di free agency nella quale Miami, con il taglio post-primo giugno di Xavien Howard e il probabilissimo rinnovo contrattuale di Tua Tagovailoa, avrà di nuovo discrete capacità di manovra per aggiungere altri pezzi. E poi starà a Mike McDonald e al suo nuovo staff, in cui spicca il nuovo defensive coordinator Anthony Weaver, assemblare il tutto e mettere in campo una squadra capace di imparare dalla scorsa stagione e migliorarsi.

Si. Può. Fare. FinsUp!

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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