La storia del tryout di Marvin Gaye con i Detroit Lions

Lem Barney era arrivato a Detroit da poco tempo. Era stato draftato pochi mesi prima dai Lions al secondo giro ed era immediatamente divenuto leader per intercetti nella NFL.
Un giorno venne informato che uno dei suoi idoli, il famoso cantante soul Marvin Gaye, risiedeva a pochi passi dai luoghi che frequentava abitualmente. Barvin era un suo fan, e in un’intervista rilasciata alla ESPN molti anni dopo rivelò come una sua canzone fosse stata la colonna sonora di tutti i suoi anni al liceo ed al college. Così il cornerback si recò negli uffici della Motown, la famosa casa discografica di Detroit, culla della musica soul, ed ottenne l’indirizzo di casa del cantante: in fondo, non era stato poi così difficile trovare Marvin Gaye. Quello che Barney non conosceva era la smisurata passione del cantante per il football e soprattutto, per i Detroit Lions: appena Gaye aprì la porta non fu il cornerback a riconoscere il cantante ma il contrario.

Barney raccontò sempre ad ESPN di come rimase a parlare con Marvin Gaye per più di due ore, perdendo completamente la cognizione del tempo e rendendosi conto solo con una trentina di minuti di anticipo che stava per fare tardi agli allenamenti della squadra. Arrivò trafelato e ad accorgersene fu il running back Mel Farr, suo compagno di squadra, che gli chiese cosa fosse successo: la risposta di Barney fu secca: “Sono stato a casa di Marvin Gaye”. Inutile dire che Farr praticamente costrinse l’amico, nei giorni successivi, a portarlo con sè a conoscere il cantante.
Nacque cosi la grandissima amicizia tra Marvin Gaye ed i due giocatori dei Detroit Lions, che entrarono nella vita del Motown Singer in un periodo molto complicato della sua vita. Nello stesso anno in cui Barney veniva scelto dai Lions, anche Marvin Gaye “draftava” in pratica la sua compagna di registrazione, trovando in Tammi Terrell una coesione vocale fantastica che, in pochissimo tempo, si rivelò un connubio amato dall’America nera in un periodo ancora molto complicato a livello razziale. Purtroppo, pochi mesi dopo Tammi Terrell ebbe un malore che introdusse una diagnosi  devastante: tumore al cervello. Non si riprese più. Costretta alla sedia a rotelle e cieca, mori agli inizi del 1970.

Questa tragedia, insieme ai tumulti che si succedettero negli anni ‘60 in America, portó Marvin Gaye a non voler più cantare d’amore nelle sue canzoni. Anzi, proprio a non voler più salire su un palco.

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“Mother, mother
There’s too many of you crying
Brother, brother, brother
There’s far too many of you dying
You know we’ve got to find a way
To bring some lovin’ here today, yeah”
(What’s going on)

Nella Motown incominciò a circolare una bozza di una canzone ancora senza titolo, che dopo poco tempo arrivò nelle mani di Gaye. Lui però non aveva interesse a cantarla. Provò a “piazzarla” ad un gruppo preso sotto la sua ala protettiva, i Four Tops, ma Obie Benson, membro del gruppo, non ne volle sapere. La canzone rischiava di rimanere in una sorta di limbo. Furono Farr e Barney, come riferì quest’ultimo tempo dopo, a spingere Marvin Gaye a cantarla perché perfetta per il suo stile soul. Alla fine, dopo enormi pressioni, il cantante cedette ma solo con l’inderogabile condizione che Barney e Farr avrebbero dovuto esibirsi in sottofondo nella canzone. I due pensarono ad una presa in giro ma Gaye faceva incredibilmente sul serio: l’amicizia tra i tre si era ormai cementata e, nonostante i molti e problematici difetti canori dei due giocatori dei Lions, oramai non potevano non aiutare un amico in difficoltà. La canzone era ovviamente “What’s going on” e fu un successo enorme.

Le bombe però non erano terminate; Gaye definiva già il duo dei Lions come suoi collaboratori musicali ma voleva andare oltre: voleva che diventassero compagni di squadra. I due giocatori rimasero ovviamente sorpresi da questa richiesta; la NFL è un universo da sempre ristretto e solitamente accessibile da giocatori ultra-allenati e con grandi capacità. Esattamente quello che Marvin Gaye in quel momento non era. A 31 anni e senza aver mai giocato a football se non in sporadiche occasioni, come avrebbe mai potuto entrare a far parte di un team professionistico?
Farr e Barney non potevano garantire un provino, figuriamoci un posto in squadra. Però Gaye era uno degli esponenti di spicco della Motown record, come si sarebbe potuto negare quantomeno un provino ad un personaggio così?
A Gaye però non importava fare un provino, lui voleva proprio entrare in squadra. Si sottopose ad estenuanti sessioni di allenamento, utilizzando anche le dotazioni della Michigan University: una parte di casa sua fu perfino trasformata in palestra a discapito del garage. Un tale impegno non poteva passare inosservata e, in un’epoca molto precedente a quella attuale dei social network, le voci di persona in persona la facevano da padrone: a Detroit era sulla bocca di tutti che Marvin Gaye volesse sostenere questo maledetto provino. Joe Schmidt, allenatore dell’epoca e grande fan del cantante, non poteva credere a queste voci ma volle comunque incontrarlo.

La nomea di Gaye avrebbe portato grande entusiasmo intorno alla franchigia ma, all’inizio, Schmidt non era in sé convinto dall’idea del provino. Poi, durante una sessione alla Michigan University, cambiò idea e concesse l’opportunità a Gaye. Lo provò in qualsiasi ruolo offensivo possibile. Il peso preso e l’agilità allenata costantemente negli ultimi tempi permisero al cantante di fare una gran bella prova, con sensazioni assolutamente positive per un giocatore che si affacciava al football alla sua età e che non aveva mai giocato da professionista.
Il tutto, però, si concluse lì. Schmidt decise di non dare una occasione al training camp a Gaye. Non perché non ne sarebbe stato in grado ma perché, nella sua coscienza, non avrebbe mai potuto mettere in campo un cantante così famoso che “per capriccio” voleva diventare un giocatore di football professionistico. La NFL negli anni ‘70 non era la lega che conosciamo noi oggi, i difensori picchiavano davvero duro in ogni partita e in ogni azione. Lo scandalo che avrebbe potuto scaturire se una star come Marvin Gaye fosse stata massacrata in una partita di football sarebbe stato troppo, e Schmidt non se la sentì.
Gaye accettò serenamente quella scelta. Lui aveva ottenuto il suo obiettivo, quello di tentare di entrare nel mondo del football, ed anche se il provino era andato male era grato per quanto era riuscito ad ottenere, di esularsi dal mondo ovattato della musica. Come riferì poi Barney, in quel periodo le droghe non facevano parte della vita del cantante, perché quello era stato il periodo più bello della sua vita.

“We’re all sensitive people
With so much to give
Understand me”
(Let’s get in on)

Marvin Gaye era davvero un uomo sensibile, un uomo grato agli amici tanto da lasciare in dote ad entrambi un disco d’oro. Due giocatori NFL dei Detroit Lions con un disco d’oro appeso nel salotto di casa: solo grazie a Marvin Gaye.
Era il 1983 quando gli amici si salutarono per l’ultima volta, prima che il cantante partisse per un tour. Non ritornò più a casa, ucciso dal padre con due colpi di pistola al petto per un litigio, il giorno prima del suo 45esimo compleanno. Di Marvin Gaye noi appassionati di musica ricordiamo avidamente i successi e anche gli insuccessi che ne hanno reso la vita un ottovolante. E da oggi anche noi appassionati di football ci mettiamo nel cuore il suo breve passaggio nel mondo dello sferoide prolato. Ancora oggi Lem Barney, unico ancora in vita del trio, racconta aneddoti su questa fantastica storia.

“Let’s get in on.
Ah, baby, let’s get in on”

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Eugenio Casadei

Appassionato di calcio (Bologna) e trekking, segue il football assiduamente dal momento in cui vide giocare Peyton Manning con la maglia orange di Denver, divenire tifoso Broncos una naturale conseguenza. Scrive la rubrica settimanale "Indiscrezioni di mercato NFL" in offseason e la "Top Ten" in regular season con grande divertimento e passione.

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