[NFL] Miami Dolphins: terapia d’urto

Il cambiamento di rotta dei Miami Dolphins dopo l’uscita di scena di Joe Philbin merita un approfondimento che possa far vedere nella giusta luce quanto successo in questa fase travagliata dalle parti di South Beach.

Intendiamoci, la scelta sicuramente è arrivata nel momento più indicato, ovvero dopo un inizio stagione disastroso e prima di una bye week e di due avversarie abbordabili, quali Titans e Texans. Tuttavia il segnale lanciato dagli aquaorange dopo l’insediamento di Dan Campbell non può essere ignorato per evidenti motivi, che cerchiamo di analizzare di seguito.

Come detto, l’inizio stagione è stato almeno problematico. Una vittoria agonica a Landover contro i Redskins, maturata essenzialmente su giocate dei singoli (un ritorno di punt di Landry, e un paio di intercetti). Ma con tutta magnanimità, il gioco simbolo di quell’incontro è stato il leggendario “ciapanò” che si è scatenato in seguito ad un fumble di Tannehill e che ha ridato palla ai Redskins in buona posizione. Partita davvero poco digeribile. Suh anonimo, difesa che fa il compitino senza aggiungerci nulla, la sensazione che la partita fosse stata persa dall’avversario e non vinta dai cetacei.

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Jordan Cameron Dolphins

Poi è iniziata la tragedia vera. Una sconfitta ingiustificabile contro i Jaguars (sia detto con rispetto, la AFC South quest’anno non pare un girone di ferro), una partita persa senza giocare in casa contro i Bills e la debacle senza attenuanti a Wembley contro i Jets, che hanno addirittura dato l’idea di non affondare troppo la lama. Il plot era ricorrente: attacchi avversari in grado di piazzare big plays a ripetizione, quasi dichiarandoli prima.
Difesa Dolphins passiva (un solo sack di Cam Wake nelle prime quattro partite), playcalling offensivo (non nel senso dell’attacco, ma in quello del pudore). Il drive medio era un “three and out”, il buon armamentario a disposizione del soldato Ryan era praticamente inutilizzato. Solo Landry, Rishard Matthews e Jordan Cameron tentavano di emergere dal nulla cosmico.

Aggiungiamoci anche alcune voci secondo cui Suh, decisamente irriconoscibile rispetto al mostro visto a Detroit, abbia provato a gestire la cosa in proprio, disattendendo le chiamate e di conseguenza mettendo in panico i compagni di reparto.

Il bilancio a questo punto era drammatico. Una vittoria e tre sconfitte, 61 punti fatti e 101 subiti, probabilmente la division già compromessa, avendo perso due partite interne e dovendo ancora affrontare i rispettabili bostoniani e la sensazione che una squadra con un roster almeno degno fosse esattamente “ad un ritorno di punt dallo 0-4”.

A questo punto Boss Ross probabilmente deve essersi reso conto che la vagonata di soldi spesa nelle ultime offseason non era usata in maniera ottimale. Il rischio di avvicinare un talento come Suh alla definizione di bust (Wallace per citare quello più vicino, Haynesworth per citare il pariruolo più clamoroso) stava diventando concreto. Quindi dopo la grigia trasferta londinese ha mostrato la porta a Philbin, secondo molti non attrezzato (in termini di leadership) per andare sopra la soglia del .500 con un QB che avesse un nome diverso da Aaron Rodgers.

Nei giorni successivi il new deal si è messo in moto. Dan Campbell, allenatore dei TEs, è stato nominato head coach. Lou Anarumo ha preso il posto di Coyle come DC. Lazor appeso a un filo, apparentemente. Campbell ha preso atto che quel roster non poteva avere quel record. Ha lavorato sì sulle motivazioni, cercando di ridare fiducia ad una squadra mai così futile negli ultimi anni, ma ha anche riportato il concetto di football alle basi: si blocca e si placca. Quindi, al primo allenamento, protezioni addosso e Oklahoma drill per tutti, grazie.

Miami Dolphins interim head coach Dan Campbell

La curiosità stava aumentando e sia i tifosi che gli addetti stavano aspettando il verdetto del campo alla prima uscita. Al Nissan Stadium di Adelphia i Dolphins sono apparsi subito altra cosa rispetto alle partite precedenti. Già all’intervallo le statistiche che emergevano erano contundenti: yards corse (team) 120, contro una media partita di 63 yard nella gestione Philbin. Quattro sack nel solo primo tempo contro uno in quattro partite…
Sembrava un po’ fuori sincro il buon Tannehill, che aveva già lanciato due intercetti (uno imputabile a un drop di un ricevitore). La partita è stata quindi gestita bene, un 38-10 eloquente, una squadra forte e determinata anche se in apparenza molto umorale (molte penalità e un late hit di Vernon che ha segnato Mariota). Punti messi in ogni modo: su corsa, su passaggio, su intercetto. Insomma un “gut check” pienamente riuscito, se quella era l’intenzione.

E’ quindi arrivata la partita interna con i Texans, quasi come un lavacro purificatore. Mai visti i Dolphins su questi livelli di esecuzione e di intensità negli ultimi anni (teniamo comunque il focus sulla levatura dell’avversario). Non c’è stato nulla di meno che perfetto. La linea d’attacco che ha ripreso gusto a bloccare sulle corse (Lamar Miller è vicino alle 300 yard nelle ultime due partite), Tannehill sembra aver messo la playstation al livello facile: leadership, presenza nella tasca, accuratezza e la ciliegina del record NFL di 25 completi consecutivi: a quel punto il 158.3 finale era scontato.

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Tutti i playmaker a disposizione vengono interpellati e rispondono adeguatamente: Landry, Miller, Rishard Matthews (teniamolo d’occhio). La difesa a quel punto ha messo sul piatto i quarti di nobiltà di cui è piena (ahem, forse sui linebacker si trova di meglio). Suh ormai è raddoppiato sistematicamente (e piazza comunque due sack su Hoyer), Wake gioca come un iniziato (un sack nelle prime quattro partite, SEI nelle ultime due), Reshad Jones ha ritornato due volte in TD gli omaggi degli attacchi di Titans e Texans. Tutto questo può essere rinchiuso in un mero numero, in una sovraimpressione apparsa in Q2: punteggio 35-0, yards guadagnate 311-0.

C’è insomma da sperare che le parole con cui Ross ha dato la prima palla della partita a Campbell siano profetiche: “Hanno svegliato il gigante”. E in questo momento la leadership in panchina, chiara ed indiscussa come non accadeva da tempo, ha indubbiamente dato una sterzata brusca.

Concludiamo per ora con due punti incontrovertibili:

– The Dolphins are back
– Here comes New England…

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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Un Commento

  1. In effetti se cambio doveva essere è venuto nel momento giusto.
    Mi chiedo il senso di confermare un allenatore in estate e lasciarlo a casa un mese dopo l’inizio della regular season.

    Peccato per come è andata con i Patriots, ma evidentemente (e con tutto il rispetto) non sono Texans o Titans…

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