L’ora del riscatto

Ogni volta che mi trovavo di fronte una salita, mi sentivo tremare le gambe. Mi avevano rimediato una bici da passeggio adatta per le strade pianeggianti ma pesante come un carro di buoi e senza marce. Era perfetta per le scorribande tra le spiagge di Hermosa Beach, Venice Beach e Santa Monica. Ma era un disastro per un escursionista come me. Ogni giorno, di prima mattina, sfrecciavo lungo Beryl Street, in discesa, per raggiungere la pista ciclabile lungo il mare. Ogni sera, sudavo sette camicie per riportare quella ferraglia a casa. Eppure, ogni volta che pedalavo verso nord percorrendo alcune delle spiagge losangeline più conosciute, rivolgevo lo sguardo verso sud, curioso di scoprire cosa nascondesse quel promontorio confinante con la spiaggia di Redondo Beach. Così un giorno, dando ascolto al mio animo da scalatore fallito, presi la decisione di andare. Ben presto, mi ritrovai stravolto sui pedali, tutto sudato, in piena salita, con le macchine che mi sfrecciavano accanto nell’unica (super)strada di accesso verso Palos Verdes, penisola incastonata tra le cittadine di Redondo Beach, Torrance e Long Beach. Appena ripresi fiato, mi resi conto di aver perso tempo prezioso nel non aver scoperto anzitempo un luogo quasi magico nella contea di Los Angeles, isolato, che forse il sangue alla testa mi fece percepire come meraviglioso.

Dieci anni dopo, nel 2019, seduto davanti al pc a scorrere le liste di Espn e 247 Sports dei migliori prospetti in uscita dal liceo, rividi quel nome, Palos Verdes Estates, luogo di nascita di Horace McCoy III. Bru, come viene chiamato il giovane ricevitore californiano, era un fenomeno assoluto a livello liceale a Santa Ana, sede della Mater Dei High School, vera e propria accademia del football a stelle e strisce. Vincitore dell’US Army award nel 2018, come miglior giocatore della nazione, McCoy rimase nella città degli angeli, scegliendo Usc, come numero 9 assoluto nella classifica di 247 Sports, secondo ricevitore dopo Haselwood, avanti (e non di poco) ai vari fenomeni già approdati alla NFL come Garrett Wilson, Jameson Williams, Traylon Burks e Drake London.

Innamorarsi di un giocatore NCAA è piuttosto semplice, c’è l’imbarazzo della scelta. Per questo sono i piccoli dettagli a fare la differenza. McCoy divenne uno dei miei preferiti e da quel giorno cominciai a seguire con particolare attenzione la sua storia. Diplomatosi con un semestre in anticipo, ‘Livido’, come lo ribattezzò la nonna Christina per la sua ostinazione nell’imparare a camminare nonostante le numerose cadute, si iscrisse anzitempo nell’università dei suoi sogni, USC, insieme al suo compagno di scuola Jt Daniels. Rimase nella sua amata Los Angeles, grazie anche al rapporto di assoluta fiducia che aveva instaurato con l’allora offensive coordinator dei Trojans Kliff Kingsbury. Il quale, però, solo pochi giorni dopo, accettò la sfida NFL e il ruolo da head coach propostogli dagli Arizona Cardinals. Quella notizia, letta sullo smartphone mentre era in macchina con il padre, cambiò la sceneggiatura della sua vita, che sembrava già scritta. Anni di duro lavoro, di sveglie alle 5 del mattino per raggiungere Santa Ana e rientrare solo a tarda sera dopo studio e allenamenti, per costruire un castello che al giovane McCoy sembrò di colpo essere di carta. “Forse ho sbagliato tutto, ho seguito il mio cuore invece di seguire la testa”, dichiarò in seguito, ricordando il momento in cui ripensò alla lunga corte di Texas. Così, dopo appena 17 giorni, entrò nel transfer portal e accettò l’offerta dei Longhorns, trasferendosi ad Austin. Lì venne accolto come un re, punta di diamante di una classe di ricevitori giovane e promettente e metro di paragone per quella dei difensive back che lo sfidavano ad ogni allenamento per migliorare se stessi e le proprie chance di futuro tra i professionisti.

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Il calore e il clamore del suo arrivo in Texas, non bastarono però a Bru, che giorno dopo giorno ripensò alla sua scelta sentendosi ogni ora sempre più lontano da casa. Ancor prima di cominciare la stagione, la sua prima da universitario, McCoy entrò nuovamente nel portale trasferimenti, per rientrare alla base, nonostante l’estremo tentativo di una delegazione capitanata dal coach di Texas Tom Herman e dal Qb Sam Elingher. Ben presto, i social e gli smartphone suoi e della sua famiglia, si riempirono di insulti e minacce di morte, per un viaggio andata e ritorno fino a quel momento mai visto dall’istituzione del transfer portal. “In fondo siamo solo ragazzi di 17-18 anni”, dichiarò l’amico e avversario di lungo corso al liceo, Chris Steele, anche lui passato da Florida e Oregon prima di approdare a Usc, cercando di smorzare i toni e pensare solo al campo.

Ancora una volta, però, la vita si rivelò beffarda. Pochi giorni di allenamenti e Horace III cominciò a sentirsi sempre stanco, con la febbre sempre alta ad accompagnare le sue giornate. Non dovette aspettare nemmeno l’autorizzazione del comitato Ncaa per poter giocare, una malattia tuttora mai spiegata, nonostante numerose visite e pareri, lo tenne lontano dal campo per tutta la stagione 2019. “Sono convinto che certi giorni abbia anche pensato al suicidio”, commentò distrutto il padre, che lo osservava ogni pomeriggio rivolto sul divano di casa, distratto solo dalle partite alla Playstation. Così come misteriosamente comparsa, la malattia lo lasciò pian piano, dandogli il tempo per prepararsi alla stagione 2020, quella del riscatto che l’arrivo del Covid però rinviò ancora. Con un calendario dimezzato, Bru, da redshirt freshman, collezionò 21 ricezione per 236 yards e 2 touchdown in sei partite. Che resteranno le uniche disputate con la maglia di USC. Arrestato nel luglio del 2021 per la violazione del Codice Penale della California Sezione 273.5(a) per violenze domestiche nei confronti di una sposa o altri coabitanti, McCoy venne rilasciato su cauzione (50mila dollari) ma sospeso dalla sua università, perdendo un’altra stagione e un anno di eleggibilità.

Il tempo e il talento sono però dalla parte dl talentuoso ricevitore che, ripartendo di nuovo daccapo, ha scelto di ricominciare da Knoxville, città sede dell’università di Tennessee, dove le aspettative sono alte come non mai nell’ultimo ventennio, da quell’ultimo titolo nazionale del 1998, vinto quasi a sorpresa dopo l’addio della prima scelta assoluta del draft Payton Manning. In questo arco temporale i Vols sono finiti quasi ai margini, assistendo alla definitiva consacrazione di una rivale storica, l’università di Alabama guidata da Nick Saban. Mai come quest’anno però, questo fine settimana la formazione guidata da Huepel può sovvertire i pronostici, che la vedono ancora perdente di 7 punti, per lanciarsi definitivamente in vetta alla Sec alla ricerca di un posto al sole che può significare semifinali playoff.

L’heah coach ex UCF, per rilanciare uno dei programmi storici del football universitario, con sei titoli nazionali in bacheca, ha deciso di affidarsi già dalla scorso anno alla guida del transfer Hendon Hooker. Sotto la regia dell’ex Virginia Tech, dalla week 3 della passata stagione, Tennessee ha un record di 12-5, con Hooker capace di lanciare 41 touchdown e soli 2 intercetti. La scommessa di Huepel però, si chiama appunto Bru McCoy, che nelle prime cinque vittoriose uscite ha già migliorato i numeri della sua unica stagione giocata, mostrando sprazzi di un talento che può mettere in difficoltà l’affermata secondaria di Alabama in diretta nazionale. Per spegnere tutte le voci del recente tumultuoso passato e riprendere le fila di un futuro che sembrava luminoso. Più forte, maturo e consapevole che mai.

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