Viviamo nel mondo di Pat McAfee

Fra i tanti significati dell’acronimo NFL emerge tetramente “Not For Long”: una carriera nel football americano professionistico, volenti o nolenti, si protrae a fatica per un paio d’anni.
In un paio d’anni, quindi, un individuo deve trovare modo di far fruttare decenni di lavoro totalizzante, quasi maniacale, nella speranza di mettersi nella posizione di ricevere il secondo contratto e non dover più preoccuparsi del proprio futuro finanziario… circa.
Uno degli aspetti ai quali il giocatore di football americano medio fatica maggiormente a adattarsi è il terrorizzante “dopo”, il ritorno nel mondo reale, quel mondo fatto principalmente di noia, inerzia e precarietà: per tantissimi giocatori l’esatto momento in cui armatura ed elmetto vengono appesi al chiodo rappresenta l’inizio della fine.
Come ci si reinserisce in una società molto più civile – e al contempo cinica – e nevrotica del piccolo clan di prescelti dello sferoide prolato?
Leggiamo con mesta frequenza di individui in bancarotta o costretti al crimine a pochissimi anni di distanza dal ritiro dal football americano giocato, ma per ogni esempio di persona che non ce l’ha fatta basterà semplicemente citare un nome per ritrovare l’ottimismo: questo nome, come avrete potuto intendere dal titolo, è Pat McAfee.

Pat McAfee, a questo punto, è ben più di un esempio virtuoso di persona che scommettendo su sé stessa ce l’ha fatta: Pat McAfee è un impero, un nome sulla bocca di un numero costantemente in crescita di americani e non, una figura sempre più centrale nello spietato mondo dell’entertainment americano.
Sì, tutto quello che appena scritto è riferito a un punter, al portabandiera di una posizione che molti pagani ritengono essere quella che c’entri meno in assoluto con il football americano: mi permettete di riadattare l’iconico punters are people too a punters can be stars too?

Che Pat McAfee non fosse un punter normale avevamo avuto modo di intenderlo sul campo: quanti punter recuperano autonomamente onside kick a sorpresa?
Quanti punter sono umanamente in grado di prevenire un touchdown con un tackle del genere?

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https://twitter.com/PAFC/status/1241246913959100417

Certo, fermare il buon Trindon Holliday non è proprio come atterrare Deebo Samuel in campo aperto, ma apprezzate lo sforzo.
McAfee, nel corso della propria carriera, non solo è stato consistentemente fra i migliori nella – sottovalutata – posizione, ma ha pure avuto modo di muovere a proprio piacimento le colonne d’Ercole del ruolo, ridefinendo cosa competa a un punter e cosa no: tutto per ribadire il concetto che malgrado le malelingue un punter sia un giocatore di football americano come chiunque altro.

In un certo senso, quindi, ciò che seguiva era totalmente preventivabile, quasi naturale.
Se c’era un giocatore di football americano in grado di fare quello che McAfee sta facendo, era proprio McAfee.
Il ritiro, arrivato nel febbraio 2017 a qualche mese di distanza del suo trentesimo compleanno, aveva sconvolto pressoché chiunque poiché solamente a fine dicembre era stato inserito nel First Team All-Pro, riconoscimento che lo ha di fatto incoronato come miglior punter della lega: recenti operazioni e apparenti dissapori con l’allora GM dei Colts Ryan Grigson sembravano, ai tempi, essere le principali motivazioni dietro la sua imprevista scelta.
In realtà era solo una tappa obbligatoria di quello che, con il senno di poi, sarebbe stato il passo decisivo per completarne la metamorfosi in autentico fenomeno mainstream, ossia l’ingresso in Barstool Sports.

Fatico immensamente a spendere parole positive per Barstool Sports, quella che è nata come compagnia il cui obiettivo era parlare di sport in modo scanzonato e goliardico si è velocemente trasformata in ricettacolo di bomberismo con inquietanti simpatie alt right: il fondatore, David Portnoy, è fra le singole persone che più disprezzo su questo pianeta, perciò permettetemi di saltare a piè pari la sua avventura con gli amanti dello sgabello.
Anche perché è stata proprio la scelta di abbandonare Barstool Sports, arrivata solamente due anni dopo l’ingresso, a permettergli di decollare e trasformare il proprio nome in un brand.

Il Pat McAfee Show, liberatosi dalle maglie di Barstool Sports, si è istantaneamente affermato come uno dei punti di riferimento per ogni appassionato sportivo americano – e non, ringraziamo la potenza dell’inglese come lingua franca -, uno show che per apprezzarlo non è necessario seguirlo dall’inizio alla fine ma che è facilmente digeribile grazie alle tante clip rese disponibili su YouTube: se vi interessano solamente dieci minuti di trasmissione molto probabilmente li potrete reperire su YouTube nel giro di pochissime ore sotto forma di video a sé stante.
Sono ben consapevole che oramai tutte le trasmissioni sportive abbiano adottato questa formula, ma sono altresì convinto che uno dei segreti dello show sia proprio il rapporto simbiotico con la piattaforma, in quanto per seguirlo integralmente non è necessario alcun tipo di abbonamento, basta semplicemente aprire il Tubo.

https://twitter.com/evanfoxy/status/1508128732061577216

Il Pat McAfee Show non è in alcun modo paragonabile a mostri sacri come il Rich Eisen Show o il Dan Patrick Show, McAfee non è un giornalista e ciò ci è costantemente ribadito dalla sua comica incapacità di essere critico o porre domande scomode all’intervistato di turno – come per esempio quando Aaron Rodgers beffò l’intera NFL riguardo il suo status vaccinale: quando ha intervistato Vince McMahon, che non si concedeva a una diretta televisiva esterna alla WWE letteralmente da decenni, più che un’intervista abbiamo assistito a una sessione di religiosa adorazione del suo superiore.

Questo è uno show che sovente sconfina in un entusiasmo che mi ricorda da vicino l’insensata euforia adolescenziale che porta i giovani a perdere il senso della vergogna dopo un paio di shottini: a volte la gioia di McAfee può decisamente risultare eccessiva e fuori luogo, così come le urla dei suoi “ragazzi” ricordano molto da vicino quelle dello spogliatoio vittorioso di qualsiasi squadra possiate immaginare, ma il motivo per cui ci facciamo andare bene tutto ciò sta nella genuinità del personaggio, malgrado ammetto che a volte l’incontrollabile clima da confraternita mi spinge ad abbandonare la visione.

Quello che vedete sui vostri schermi è semplicemente Pat McAfee l’essere umano, non Pat McAfee lo showman: anche se a volte vorremmo che abbassasse di un paio di decine di decibel la propria voce non possiamo riuscire nell’impresa di arrabbiarci o stancarci di lui, perché in un mondo sempre più insopportabilmente finto una ventata di genuinità, per quanto a volte possa risultare ingenua e petulante, è ciò che basta per guadagnare l’affetto incondizionato di milioni di persone.
Anche se ha fornito e continua a fornire una piattaforma ad Aaron Rodgers per dare voce ai propri deliri da complottistici, è impossibile non volergli bene.

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La rinfrescante genuinità di McAfee non è sicuramente passata inosservata e poco prima della fine del 2021 ha annunciato un accordo quadriennale con FanDuel, compagnia di scommesse che gli darà circa 30 milioni di dollari l’anno per utilizzare esclusivamente le loro quote durante i segmenti della trasmissione dedicati alle scommesse.
Trenta milioni all’anno, siccome siamo pur sempre in un sito di football americano, lo collocherebbero all’undicesimo posto nella classifica per yearly average in NFL alla pari con Tyreek Hill, il nuovo ricevitore più pagato della lega.
Un punter.

La sua genuinità ed entusiasmo hanno convinto l’oramai sempre più derelitta WWE ad affidargli l’importante ruolo di commentatore tecnico a Smackdown, dove a differenza del collega Michael Cole viene tenuto all’oscuro di ciò che succederà durante l’episodio in modo che le reazioni siano il più naturali – ergo rumorose – possibile: questa è una rarità assoluta nel mondo di Vince McMahon, probabilmente uno dei più grandi maniaci del controllo che abbiano mai messo piede su questo pianeta.
McAfee, però, continua a essere pure un ottimo atleta e per questa ragione, di tanto in tanto, viene utilizzato pure come wrestler: non deve quindi sorprendere che sia stato in grado di ritagliarsi uno spazio nella card di WrestleMania, o se volete il Super Bowl del wrestling.
È letteralmente ovunque.

Sarebbe alquanto noioso parlare del suo successo come trionfo del coraggio e della voglia di reinventarsi, non siamo mica sulla homepage di LinkedIn – postaccio se ce n’è uno al mondo -, ma permettetemi di essere estremamente affascinato dal successo che un punter è stato in grado di riscuotere immediatamente dopo il ritiro dall’attività agonistica.
Quello in cui viviamo, la nostra piccola bolla nella quale le stagioni astronomiche sono sovrastate dalle stagioni delle varie leghe sportive, sta sempre più diventando il mondo di Pat McAfee che per conquistarlo, contrariamente a tante figure autoritarie, non ha avuto bisogno di ricorrere a colpi di stato o violenza, gli è bastato semplicemente essere sé stesso, con tutti i suoi limiti.

Vedere Tom Brady essere fisicamente incapace di troncare il rapporto con quella che per decenni è stata la sua unica ragione per trascinarsi fuori dal letto la mattina ci potrebbe spingere a pensare che il momento del ritiro rappresenti un trauma insuperabile per ogni giocatore, ma fortunatamente il controesempio fornitoci da McAfee ribadisce che ci sia vita dopo, soprattutto per chi non ha rinnegato la propria personalità in nome dello sferoide prolato.
Tutto questo è stato fatto da un punter.

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Mattia Righetti

Mattia, 27 anni. Voglio scrivere per vivere ma non so vivere. Quando mi cresce la barba credo di essere Julian Edelman. Se non mi seguite su Twitter (@matiofubol) ci rimango malissimo.

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