Uno sguardo al 2021: Chicago Bears

Dopo un 2020 deludente, sebbene la qualificazione ai playoff abbia consentito alla coppia Nagy Pace di restare a galla, dal 2021 dei Chicago Bears non ci si attendevano particolari miglioramenti. Nemmeno a fronte del trade up in sede di draft che ha portato il quarterback Justin Fields da Ohio State nella città del vento via New York.

COME DOVEVA ANDARE…

Non molto diversamente da come poi è andata. Nella nostra previsione del 2021 avevamo pronosticato un 8-9 come primo record perdente in 4 anni di gestione Matt Nagy. Siamo stati un filo ottimisti perchè il calendario avrebbe potuto favorire leggermente i Bears nella fase finale della stagione e nel nostro piccolo non ci siamo andati lontanissimi.

La firma di Andy Dalton prima del draft 2021 aveva lasciato intendere che i Bears erano pronti ad arrendersi e a sventolare la famigerata bandiera bianca; ma nella notte del draft a Ryan Pace è stata concessa un’ultima possibilità. Il general manager della Halas Hall si assicura quello che fino a qualche mese prima era stato il giocatore che alcuni mock draft davano come top 2 nella sua classe (per un periodo ricordiamo che Fields era davanti a Trevor Lawrence nei mock).

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Stessa idea ma con volumi d’impatto minori per la ristrutturazione della linea offensiva che faceva acqua ovunque. I Bears salgono al secondo giro del draft con un secondo trade up e portano a casa Teven Jenkins da Oklahoma State con la pick n°39 del second round.

Tutto fantastico, un’ondata di vitalità che porta entusiasmo e aria di innovazione ai Bears. Peccato, però, che chi gestisce la baracca non ha idea da che parte iniziare a sviluppare il potenziale di Fields e quindi si riparte da Andy Dalton…

In linea teorica i Bears, dopo le due qualificazioni ai playoff in tre anni, si sarebbero dovuti ritrovare per alzare l’asticella degli obiettivi. Ma il progetto era imploso dall’interno già da tempo e Nagy aveva perso la fiducia del suo spogliatoio ben prima della fine della stagione 2020. Chicago si sarebbe trascinata ad un lento ed agognato epilogo, cosa che poi effettivamente è successa.

…E COME E’ ANDATA

Peggio, decisamente peggio del previsto. Le uniche speranze di Chicago erano di potersi aggrappare (ancora una volta) alla difesa; ma l’uomo simbolo del reparto, Khalil Mack, ha interrotto la sua stagione prima del giro di boa per operarsi alla caviglia che lo ha tormentato negli ultimi due anni.

Dalton poco incisivo, Fields usato solo sporadicamente (quantomeno in una prima parte), Foles dimenticato nella cantina di lusso situata sotto alla panchina Bears. Una linea offensiva, che è peggio di quanto ci ricordavamo, concede 9 sack ai Cleveland Browns mettendo a repentaglio salute futuro di Fields. Un attacco che non muove la catena e la manovra dei Bears è inchiodata come un vecchio trattore arrugginito: mancano le idee e per di più Nagy si ostina a non mollare il playbook perchè l’orgoglio personale viene prima di tutto il resto

Aggiungiamo al minestrone la questione di Allen Robinson II: il forte ricevitore, tornato agli splendori di un tempo, viene emarginato da Nagy e tagliato fuori dai giochi. A Robinson, che doveva essere l’uomo di punta per dare stabilità all’attacco di Fields, Nagy non rivolge menneno la parola e i due non si parlano addirittura per alcuni mesi (fatto che verrà alla luce solo dopo il licenziamento di Nagy). Insomma, una situazione che viaggia a metà strada tra l’imbarazzo e lo scempio.

Senza Mack la difesa si aggrappa al talento superlativo di Roquan Smith e alle incursioni di un ritrovato Robert Quinn (che poi sigillerà il nuovo record di sack nella storia di Chicago in singola stagione regolare), ma non basta. Eddie Jackson è l’ombra dell’ombra del BoJack dei tempi d’oro, l’addio di Fuller ha lasciato un buco incolmabile nella secondaria, Hicks non regge fisicamente e nemmeno il ritorno di Eddie Goldman dopo la pausa di un anno per il Covid aiuta. Quella che era una forte difesa a protezione della città, diventa un tour panoramico sul quale passeggiare senza pensieri.

La stagione gode di rari momenti positivi, più che altro regalati dalle giocate di Justin Fields che elettrizza il suo stadio come contro i San Francisco 49ers e costruisce prospettiva menne menti dei tifosi nonostante la sconfitta immeritata.

Finisce 6-11, con i Giants a sfregarsi le mani ad ogni singola sconfitta dei Bears visto che la prima scelta 202 di Chicago è nelle mani di New York. Ma Chicago è serena, perchè a conti fatti sembrerebbe che nel prossimo draft un QB del livello di Fields non ci sia proprio e quindi nessuna recriminazione. Poi il futuro ci dirà chi aveva ragione; il futuro, perchè ora è troppo presto.

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COSA HA FUNZIONATO…

L’innesto di Jenkins e Borom ha parzialmente funzionato. Le corse di David Montgomery hanno avuto il loro effetto nel trascinare l’attacco, specie quando le cose non giravano per il meglio. I singoli campioni della difesa non hanno tradito, ma comunque a football si difende in undici e quindi nonostante Smith e Quinn…

Ha funzionato una trade in corso d’opera, quella che ha portato Jakeem Grant ai Bears da Miami in cambio di una sesta scelta. Grant si è inserito bene negli schemi (se così possiamo definirli) di Chicago, molto incisivo sui ritorni e altrettanto determinante nel ruolo di ricevitore. Per poco, addirittura, grazie a Grant non ci scappa l’impensabile beffa a Lambeau Field!

Funziona anche la velocità di Darnell Mooney, ma il wideout soffre le amnesie di Nagy che se lo dimentica troppo spesso. Stessa sorte per Cole Kmet, al quale Nagy non concede spazio, nè visibilità. E quindi tra una offensive line che crolla ad ogni snap, un capo allenatore che sembra esser finito lì per caso e una difesa che non regge l’urto, gli attaccanti dei Bears devono più che altro arrangiarsi con mezzi propri ma i risultati sono quelli che sono.

Nell’unico gettone infilato nella giostra ha funzionato anche Nick Foles, il quale è risultato essere il miglior giocatore in occasione della sfida vinta contro i Seattle Seahawks a fine stagione sotto la neve. Ma detto tra noi, di cosa stiamo parlando?

…E COSA NON HA FUNZIONATO

L’arroganza di Nagy ha ucciso i Chicago Bears tanto quanto l’inadeguatezza di Ryan Pace. Inutile girarci intorno, questa combo HC-GM ha devastato destini e speranze, nonchè compromesso il futuro della squadra in modo grave, impiccando il salary cap e smazzando via scelte ai draft come se non ci fosse un domani!

Prima del 2021 Chuck Pagano si era dimesso da coordinatore difensivo e lo aveva fatto per le continue controversie con la peronalità di Nagy. La società aveva furbamente fatto passare la sua figura come quella del responsabile in sede di fallimento. Fallimento che però non era così evidente agli occhi della proprietà perchè due Wild Card game persi in tre anni hanno risollevato le apparenti economie della franchigia riposizionando Chicago sulla mappa. Solo che lo standard è davvero basso e dunque nessuno si interessa di raggiungere i la post-season se poi la si perde senza ragione alcuna, se poi la si perde come contro i New Orleans Saints senza giocarla…

Non funzionano i vertici societari, non può funzionare tutto il resto perchè se mancano le basi non si può costruire puntanto in alto.

Chicago ha pagato dazio con la mossa errata al tempo di Trubisky e quando si fanno certe scelte le ripercussioni si sentono ritornare come l’eco in montagna; nel tempo l’onda d’urto provocata da un’importantissima decisione sbagliata si riperquote. I tifosi soffrono mentre il rincaro dei biglietti e del merchandising aumenta arricchendo le già immensamente ricche casse dei McCaskey.

E ADESSO?

Adesso viene il bello. L’ennesimo anno zero, o come lo abbiamo definito a Bears Italia l’anno zero.5 che farà ripartire la giostra. Via Nagy, via Pace. Champagne!

Arriva la mente di Ryan Poles a dirigere la baracca, lo stesso cervello che in quel di Kansas City aveva coordinato i processi di scouting per draftare Trevis Kelce, Patrick Mahomes e Tyreek Hill. Serve aggiungere altro? Non credo.

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Cambio anche sulla panchina dove siederà Matt Eberflus; su quest’ultimo ci sono delle forti riserve perchè nel ruolo di defensive coordinator a Indianapolis, Eberflus non ha fatto male ma il mestiere del capo allenatore è ben altro. Servirà sincronia con l’ambiente ma soprattutto con il nuovo offensive coordinator Luke Getsy, l’uomo che ha lavorato per diversi anni alle spale di un certo Aaron Rodgers. Getsy sembra l’uomo perfetto per lo sviluppo di Justin Fields sebbene allo stato attuale delle cose le armi a sua disposizione siano veramente poche.

L’inversione di tendenza ai vertici della società fa ben sperare perchè ora sembra esserci un progetto lineare e concreto: Poles ha ceduto Khalil Mack, scelta dolorosa ma necessaria perchè Chicago non era a un Khalil Mack sano dal poter competere e dunque era meglio ricevere qualche scelta al draft per rifondare. Poles ha firmato Larry Ogunjoby e lo ha rilasciato in meno di 48 ore perchè la condizione fisica del DT ex Bengals non aveva convinto lo staff medico dei Bears, una decisione singolare che però evidenzia l’accuratezza nelle manovre di Poles.

Il nuovo direttore generale della Halas Hall ha preferito sacrificare questa stagione indirizzandola verso una direzione logica, che richiede tempo e pazienza ai tifosi. I quali sembrano tutto sommato d’accordo con le scelte prese. Il 2023 invece sarà il vero momento di svoltare perchè in quel frangente gli schemi e gli stili di gioco del team dovrebbero essere collaudati nella stagione 2022 che possiamo definire di rodaggio; inoltre i Bears avranno qualcosa come 122 milioni di dollari di cap space liberati da Poles e saranno sicuramente una delle organizzazioni più aggressive sul mercato NFL.

alex cavatton firma area 54

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