Uno sguardo al 2021: Miami Dolphins

“Le discese ardite e le risalite
su nel cielo aperto e poi giù il deserto
e poi ancora in alto con un grande salto…”

Lucio Battisti – Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi (1972)

 Nel 2021 i Miami Dolphins non si sono fatti mancare nulla, con una stagione trascorsa come un luuuungo giro sulle montagne russe. Le grandi speranze, l’inizio difficile, la caduta fragorosa, il risveglio improvviso, la rimonta inarrestabile, lo schianto improvviso, il finale speranzoso, la deflagrazione conclusiva. Non una emozione è stata risparmiata, non uno stato d’animo non è stato vissuto. Tutto perfetto per una meravigliosa stagione di Cool Bueno, ma un po’ meno per il morale dei tifosi. Ciak, riepilogo.

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COME DOVEVA ANDARE…

A 60 minuti semieffettivi dalla fine della regular season 2020 i Miami Dolphins, al secondo anno della gestione di Brian Flores, erano con un piede dentro ai playoffs. Ci avrebbero poi pensato i Buffalo Bills a levarglielo, e anche con una certa cattiveria. E vabbè, si diceva, sarebbe stato bello ma dài, onestamente i Bills erano più forti ma, ah, il prossimo anno…

Ed era arrivata l’offseason. Basta con le spesone di un anno prima, anzi, sai che c’è? Quasi quasi abbiamo dato troppi soldi in giro a gente che forse non li valevano. Via Lawson, via Van Noy, via Flowers, via Karras, via Fotzmagic, via persino Haack, il punter. Via gran parte dei veterani di esperienza reclutati solo 12 mesi prima, dentro un po’ di gente assortita, niente arrivi di nome ma focus sulla fascia di mezzo. E un meraviglioso servizio di navetta a collegare Boston e Miami e Dolphins e Patriots quasi a gareggiare a chi lo usava di più. Unico colpo ad effetto il WR Will Fuller: anche lui con un solo anno di contratto, dieci milioni tondi, arrivato con il preciso intento di aggiungere verticalità e velocità ad un attacco che avrebbe cambiato OC per la terza volta in tre anni, aggiungendone peraltro non uno solo ma ben due.

E poi il draft, con 4 picks nelle prime 50, e 3 nelle prime 81. La prima investita (fra le polemiche) nella ricerca di un playmaker per l’attacco, individuato nell’ex-Alabama Jaylen Waddle. La seconda spesa passando per l’ennesima volta su un runningback ma andando a cercare all’università di Miami, The U, il meglio che il draft proponeva in tema di pass rusher, Jaelan Phillips. La terza, gettata a sopresa su una safety che forse non ci serviva così tanto, Jevon Holland da Oregon. La quarta messa finalmente nella OL, andando a prendere un tackle dall’impeccabile carriera universitaria a Notre Dame, Liam Eichenberg. Oh, insomma, sembrava tutto fatto quasi per bene, sì, qualche mossa magari lasciava un po’ più perplessi ma quando mai non succede, e poi lo scorso anno abbiamo sfiorato i playoffs, siamo giovani, si può solo migliorare. Time is on our side! Fins Up!

…E COME E’ ANDATA

Eh, come è andata… E’ iniziata bene, con la vittoria all’esordio di un punto a Foxboro: cosa che ai Dolphins non è capitata poi così spesso negli ultimi 20 anni e ogni volta che capita non ci sta MAI male, e anche se è arrivata di un punto e non è stata così limpida va benone, dai dai dai che si inizia bene.

Poi SETTE sconfitte di fila. Qualcuna brutta (0-35 a Buffalo, mamma mia), qualcuna non proprio fortunata (tre maturate per un calcio allo scadere), qualcuna brutta brutta (si dice che ci sia stata una partita a Londra, ma non riesco a trovarne prove…): in buon sostanza non funziona quasi nulla, della squadra dello scorso anno, in teoria migliorata, non c’è più nemmeno l’ombra. La marea che monta crescente: cacciate Flores, cacciate Grier, cacciate Tua, cacciate la OL, no, quella no perchè prima bisognerebbe trovarne una, cacciate i due OC, tutti e due, cacciate anche il ragazzo del Gatorade, perché sì.

Poi sette VITTORIE di fila, roba da libro dei record. Perché Flores e i suoi ragazzi alla fine hanno sempre continuato ad allenarsi, ad impegnarsi, a provarci, e magari c’era solo bisogno che il vento iniziasse a soffiare dall’altra parte. E il vento cambia, la difesa cambia e si ritrova sulle orme di quella dell’anno prima, la OL inizia a capirci qualcosina, anche il calendario cambia e iniziano ad arrivare le vittorie. Anche con un po’ di fortuna, anche contro avversari in difficoltà, ma complessivamente giocando nettamente meglio rispetto alla prima parte di stagione. Si vede perfino un filino di running game, con l’eroe improbabile Duke Johnson prima seppellito sulla sideline e poi corridore da 100 yard in campo. Una dopo l’altra le W crescono, fino ad un improbabile numero record di sette dopo altrettante sconfitte e ad un altrettanto improbabile possibilità concreta di accesso alla postseason.

Poi lo schianto. Colossale e fragoroso. A Tennessee, nella nuova casa del grande ex Ryan Tannehill, contro una squadra superiore ma con una partita giocata assolutamente male, esattamente come un anno prima contro i Bills, sempre con l’accesso ai playoffs in palio. Per il secondo anno di fila, mentre stanno già annusando il premio, i Dolphins crollano venendo dominati nella partita decisiva.

Poi la vittoria all’ultima giornata, il record positivo e lo sweep stagionale dei Patriots che fa sempre bene al morale, soprattutto dei fans, che ci vedono una nuova ennesima luce di speranza per il futuro. E, infine, la clamorosa ed inattesa esplosione finale, roba da effetti speciali hollywoodiani: il licenziamento di Brian Flores dopo la seconda stagione di fila chiusa sopra il 50%, le accuse nei confronti di Stephen Ross, il caso giudiziario, le nubi all’orizzonte, i Dolphins sulla bocca di tutti per le ragioni sbagliate, un nuovo ennesimo progetto di rifondazione fallito, un nuovo ennesimo progetto di rifondazione destinato a cominciare. Tutto come in un gigantesco loop da giorno della marmotta, neanche fossimo a Punxsutawney e non a Miami.

COSA HA FUNZIONATO…

La nota più lieta dell’anno, indubbiamente, è stato il modo clamoroso in cui Brian Grier ha centrato il draft di quest’anno. Tutte le tre le prime scelte si sono rivelati giocatori di assoluto valore, ed hanno fornito un contributo ampiamente superiore alle previsioni già nel loro primo anno. Jaylen Waddle con le sue 104 ricezioni ha battuto il record NFL ogni epoca per un rookie, superando il primato che apparteneva ad Anquan Boldin e imponendosi all’attenzione senza se e senza ma come l’arma migliore nelle mani di Tua. Jaelan Phillips ha iniziato piano ma è emerso alla distanza, chiudendo la stagione con 36 tackle, 8,5 sack e una presenza costante nel lato opposto ed Emanuel Ogbah. E Jevon Holland si è rivelato forse la migliore safety di tutta la classe 2021, conquistandosi il posto da titolare dopo poche giornate e non lasciandolo più, giocando con dinamismo e intelligenza e chiudendo la stagione con 65 tackle, 2,5 sack, 2 intercetti e 10 passaggi deviati. Aver centrato in questo modo le tre scelte più alte del draft è senz’altro un motivo di grossa soddisfazione.

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La difesa, poi, ha finito col ritrovarsi. Non è chiaro cosa non abbia funzionato come doveva nella prima parte della stagione ma ad un certo punto, complici anche aggiustamenti dettati dallo stesso Flores, il reparto ha cambiato marcia, ha ritrovato schemi ed automatismi ed è tornato ad esprimersi su livelli più vicini a quelli del 2020. E infatti, come in quell’anno, è stata proprio la difesa il motore della rimonta e della serie di vittorie che hanno portato i Dolphins a sfiorare ancora la postseason (e, a posteriori, a cercare di mantenere il reparto più intatto possibile in vista del futuro). Il talento, del resto non manca, né in linea con gente come Raekwon Davis, Zach Sieler e quel Christian Wilkins che quest’anno ha avuto forse la stagione migliore di tutta la sua carriera, né in secondaria dove accanto alla punta di diamante Xavien Howard i Dolphins hanno costruito una coppia di safety giovani e forti (il già abbondantemente citato Holland e Brandon Jones) che tutti i tifosi sperano che duri a lungo. Si può migliorare nel mezzo ma i buoni pezzi ci sono e si sono visti.

…E COSA NON HA FUNZIONATO

Uno dei mantra di quest’anno di Cool Bueno (che gli ascoltatori avranno sentito anche troppe volte…) è stato questo: la vera scommessa di questa gestione è stato il cercare di costruire una linea offensiva esclusivamente tramite il draft. Vero o no questo assioma, è comunque chiaro a tutti che questa scommessa, purtroppo, non ha funzionato come ci si attendeva.

Le difficoltà in linea offensiva sono state forse il motivo principale delle fatiche dei Dolphins nel mettere in campo un attacco efficace. Intendiamoci, ce ne sono anche altre: in ordine sparso, una gestione dello staff offensivo rivedibile, una sottovalutazione costante dell’importanza di un runningback di peso, una sopravvalutazione del talento presente nella posizione di wide receiver, gli infortuni che non mancano mai, un playcalling inadeguato ad inizio stagione e quantomeno rivedibile a fine stagione. Ce n’è per tutti i gusti, ma è innegabile che gli errori fatti nella composizione (la scelta dei giocatori da avere a roster) e nella gestione (il modo in cui questi ragazzi sono stati allenati) della linea offensiva ha condizionato tutto. L’inadeguatezza della linea ha provocato l’infortunio di Tua Tagovailoa, ha impedito di avere un running game accettabile per almeno due terzi di stagione, ha reso quasi impossibile sfruttare la velocità di Waddle e gli spazi profondi in generale perché il quarterback raramente aveva due secondi per lanciare, ha condizionato il playcalling perché certi giochi non potevano essere inclusi perché la linea non era in grado di eseguirli… Oh, intendiamoci: qui non si vuole gettare la croce addosso a cinque/otto giocatori incolpandoli di tutto. Ma parlando di cosa non ha funzionato ai Dolphins è ovvio che la risposta è “l’attacco” ed è palese che il livello di performance della linea offensiva spieghi molto. Anche se non tutto…

L’intera gestione di tutto il reparto offensivo da parte di Brian Flores e dello staff che si era (faticosamente?) costruito non è stata, diciamo così, ottimale. La scelta di due Offensive Coordinator invece di uno non ha certamente pagato, soprattutto ad inizio stagione; idem quella di affidare la OL ad un allenatore magari valido ma alla primissima esperienza (ancorchè poi sia siato confermato quest’anno come assistente nel nuovo staff); e le scelte nel playcalling sono state spesso difficili da capire, specialmente ad inizio stagione, e raramente si vedeva un filo conduttore diverso dal voler ad esempio proteggere Tua Tagovailoa da non si sa bene cosa.

PARENTESI

I più attenti avranno probabilmente notato che il quarterback dei Dolphins è stato nominato finora in questo pezzo solo 4 volte, e soprattutto non è comparso in modo esteso né nella sezione “positiva” né in quella “negativa”. Non è un caso: la stagione di Tua è stata buona ma non ottima, scarsa ma non pessima, quindi non è ascrivibile a nessuna delle due categorie. Abbiamo visto sconfitte attribuibili a lui e vittorie attribuibili a lui, il che è perfettamente normale per un quarterback che finora ha giocato poco più di una stagione in due anni, a differenza di altri suoi colleghi. Diciamo che gli indizi che può davvero essere il franchise quarterback che i Dolphins anelano da vent’anni sono stati confermati, ma anche gli indizi di quanto lui stesso debba e possa migliorare hanno trovato convalida. E, comunque, con tutta la pressione mediatica che ha addosso (data dal fatto di giocare quarterback nella NFL, data dal fatto di farlo in una città che attende da 20 anni l’erede di un mito, data dal fatto che il giocatore scelto giusto dopo di te al draft sta facendo i numeri e tu no, data dalla gestione scellerata dell’affaire DeShaun Watson da parte della tua stessa società), una cosa di sicuro l’abbiamo capita: il ragazzo ha le palle.

E ADESSO?

E per non farsi mancare nulla, il botto finale: a gennaio, mentre le altre squadre si giocano playoff e Super Bowl, i Dolphins interrompono a sorpresa il rapporto con Brian Flores. A settimane di distanza, i motivi continuano a non essere completamente chiari, ma si è capito che non sono collegati ai risultati sul campo quanto a cose successe fuori dallo stesso. E mentre la gente cerca di farsi un’idea, Brian Flores fa causa al mondo intero e accusa il suo ex datore di lavoro di avergli proposto di perdere in cambio di soldi. La storia è nota, gli sviluppi che verranno ancora no, ma di certo c’è che di tutto questo circo mediatico i Miami Dolphins non avevano proprio bisogno.

Tralasciamo tutto il resto e rimaniamo sul football. Il nuovo allenatore dei Dolphins è Mike McDaniel, per qualcuno la vera mente dietro ai successi di Kyle Shanahan, per molti un autentico cervello da football, per tutti un personaggio completamente diverso da Brian Flores, e in termini di rapporti con i media la differenza si è già vista, eccome. Miami passa da una delle migliori menti difensive in circolazione a una delle migliori menti offensive in circolazione, con la speranza di riuscire a sistemare un attacco che nei tre anni di gestione Flores ha fatto parecchia fatica. Sull’altro lato del campo invece, d’accordo con il nuovo coach, lo staff difensivo è stato per larga parte riconfermato, a partire dal Defensive Coordinator Josh Boyer: l’ovvio intento è quello di favorire la continuità del reparto con quanto di buono realizzato e fatto vedere finora.

McDaniel porta con sé una filosofia di attacco che dovrebbe fare molto perno sul gioco di corsa e che chiederà un contributo notevole da parte della linea offensiva: visto quello che avete letto finora in questo articolo, è facile intuire che di lavoro ce n’è in abbondanza a tutti i livelli, a partire dalla prossima free agency alla quale i Dolphins si presentano con uno dei portafogli più gonfi della NFL. E poi, ovviamente, l’obiettivo di tutti è tirare fuori da Tua Tagovailoa, ora ufficialmente investito da tutta la franchigia del ruolo di #1 non solo per il numero di maglia, tutto il talento e il potenziale che ha e riuscire a tradurlo sul campo, visto che oggi nella NFL vai tanto lontano quanto il tuo quarterback riesce a portarti. Per i Dolphins, l’ennesimo progetto e l’ennesima sfida. Per i tifosi, l’ennesima speranza. Fins Up!

Cool Bueno S03E30 – Verso la free agency

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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