Il Riassunto delle Semifinali Playoff NCAA

Partiamo dall’epilogo: la finale dei College Football Playoff del 10 gennaio sarà il rematch del SEC Championship tra Alabama e Georgia. Una storia già sentita? Circa: nel 2017/2018 la finale fu proprio questa – la famosa vittoria di Bama all’overtime con il touchdown Tua-to-Devonta – e il rematch avvenne l’anno seguente nell’SEC Championship.

Kirby Smart e tutta la fanbase dei Bulldogs tutto avrebbero voluto meno che ritrovarsi ancora una volta di fronte la squadra di Nick Saban, autentica nemesi per le tinte rossonere. Ma c’è anche una parte della stessa fanbase, quella più inguaribilmente ottmista che è contenta dell’accoppiamento. Perché sono anni che Georgia è considerata un “little brother” per Bama, e sappiamo come questa concetto sia considerato la più alta forma di disprezzo nel college football. Sono anni che i Bulldogs subiscono, a volte meritano di vincere, ma infine incassano, prendono grossi vantaggi e poi li gettano all’aria. Sono anni che Kirby Smart cerca di battere il suo amato ed inarrivabile maestro Nick Saban, senza farcela mai. E quale miglior scenario per porre fine a questa fastidiosa retorica del “miglior palcoscenico che il college football possa offrire”, ovvero la finale per il titolo nazionale? Chiaramente se dovesse andare male anche sta volta il dolore sarà difficile da lenire, ma se invece i Dawgs dovessero farcela a conquistare l’agognato titolo nazionale – che manca ad Athens dal 1980 – farlo contro Alabama renderebbe la già di per sé enorme conquista ancora più goduriosa. A noi spettatori neutrali non resta che preparare i pop corn.

Ma veniamo a quanto accaduto nella notte di fine anno.

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La “notte playoff” è iniziata alle 21.30 italiane con il Cotton Bowl Classic tra Alabama e Cincinnati – chiuso 27-6 –, il primo match playoff per una squadra di una “group of five” conference, ovvero quelle conference che solitamente non godono del grande interesse delle tv nazionali e della commissione playoff. L’impatto di Cincy coi playoff è stato piuttosto duro: Alabama ha orchestrato un primo drive old school, correndo sopra al fronte a 6 dei Bearcats, rivelatosi inadeguato a contenere l’esplosività e i chili di una offensive line massiva.

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Bama ha voluto imprimere sul match un marchio fisico: si è vista la Alabama del primo Saban, quella che sfornò due Heisman Trophy nella posizione di runningback. Al termine del match Brian Robinson ha collezionato 26 portate per 204 yard, 23 in più delle yard lanciate da Bryce Young in 28 tentativi. Aggiungendo le corse del QB e quelle dell’altro runningback Trey Sanders, Bama in totale ha corso 47 volte, ovvero nel 63% degli snap giocati, percentuale piuttosto altina per gli standard odierni. Per avere un termine paragone: nella finale dei playoff della passata stagione, vinta da Alabama contro Ohio State, i Crimson Tide avevano corso nel 46% degli snap giocati.

In modo forse controintuitivo, però, Saban si è affidato al suo QB nella redzone: i 3 touchdown di Alabama, infatti, sono arrivati tutti dalle mani di Bryce Young: uno per Ja’Corey Brooks, uno per Slade Bolden e uno per Cameron Latu.

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Cosa non ha funzionato per Cincy? Sarebbe troppo facile dire “tutto”. In realtà così non è. Non voglio dire che un 27-6 contro Alabama sia un “buon risultato”, perché non renderei il merito dovuto alla squadra di Luke Fickell, però non è poi la fine del mondo. Intanto Cincinnati ha “costretto” Alabama a correre: troppo impauriti i Tide di una secondaria che è stata la migliore per passing defense efficency nella stagione. Correndo, per quando lo si possa fare in modo molto efficace, è difficile segnare molto, ed infatti Bama si è “fermata” a 27 punti: Bama non segnava così poco in una partita di playoff proprio dalla sopracitata sfida contro Georgia del 2018.

Il problema, semmai, è stato l’attacco. Desmond Ridder è stato messo in enorme difficoltà dal fronte di Alabama, che più volte a deviato i suoi passaggi ed è arrivato a mettergli una pressione alla quale, probablmente, non era abituato. Ridder ha lanciato appena sopra al 50% di completi (17/32) che rispetto al 66% stagionale è una percentuale davvero troppo bassa. Quasi completamente annullato Alec Pierce, WR1 di Cincy e mattatore di qualunque difesa incontrata negl ultimi 2 anni: limitato a 2 sole ricezioni per la miseria di 17 yard – ed un pallone sradicato dalle sue mani in endzone che avrebbe potuto forse cambiare la storia della serata.

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Finisce così la favola dei Bearcats, che ora saranno attesi – tra un anno? Due? Tre? – dall’ingresso nella BigXII, dalla quale potranno più facilmente irrompere negli schermi nazionali e, perché no, ripresentarsi ai playoff tra qualche anno – magari aiutati da un’espansione a 12 degli stessi.

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Il secondo match di serata è stato l’Orange Bowl di Miami Gardens, vinto da Georgia su Michigan per 34-11. Partita molto simile alla precedente, con la squadra di SEC che riporta laddove gli compete il nome della conference del Sud-Est, dopo che negli ultimi giorni era stato bistrattato in seguito alle non brillanti prestazioni dei suoi membri nella Bowl Season. Georgia, come ampiamente atteso, ha cercato di maltrattare i Wolverines con suoi chili, specialmente in difesa. Cade McNamara prima e J.J. McCarthy poi – schierato dopo il secondo intercetto lanciato da McNamara – sono stati messi costantemente sotto pressione e hanno trovato con scarsa precisione i loro bersagli. Dall’altro lato c’è invece stato uno Stetson Bennett incredibilmente performante: 20/30 per 313 yard 3 TD e 0 INT, a cui ha aggiunto 32 yard su corsa. Una stat line che dopo averlo visto zoppicare contro Alabama non avremmo creduto possibile. Condita anche da alcune perle come quelle qui sotto.

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Georgia ha ritrovato quello che aveva smarrito nel match contro Alabama: la capacità della difesa di creare turnover e un attacco, che se proprio non può farti vincere, perlomeno non ti fa perdere le partite. Il resto lo ha fatto la offensive line, che ha concesso 0 sack (!) e solo 2 TFL ad una delle linee difensive più impressionanti del panorama collegiale. In particolare il left tackle Jamaree Salyer è stato l’unico giocatore capace di annullare quasi completamente Aidan Hutcinson quest’anno, si è detto contento della prestazione dell’intera squadra perché, citando in modo un po’ incerto Martin Luther King “Ciò che ci definisce è come si risponde alle avversità”, e il rimbalzo che ha avuto Georgia dopo la disfatta di tre settimane fa è stato davvero notevole.

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Ma i veri protagonisti, forse inattesi, del match di Georgia sono stati il già citato Stetson Bennett e l’offensive coordinator Todd Monken, restato forse troppo sotto traccia per tutta la stagione. In particolare, i primi due drive di UGa sono stati perfettamente chiamati da lui: l’uso di misdirection, la continua variazione del ritmo di gioco, il dink & dunk di Bennett ed infine, il trick play che ha portato alla segnatura del 14-0: un passaggio del RB Kenny McIntosh per James Cook, il quale, intervistato a fine gara, si è detto sorpreso della chiamata di Monken, in quanto “in una settimana di allenamenti McIntosh non era riuscito a lanciarmi una singola palla buona, e per questo non credevo potesse chiamare questo schema in partita”.

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E poi, come detto, Stetson Bennett, su cui è giusto tornare perché pur non essendo il QB “sexy” che piace alle masse e che ruba gli schermi, è stato tremendamente efficace prendendosi una enorme rinvincita sulla nutrita schiera di hater che annovera. Stetson Bennett è l’eroe di cui abbiamo bisogno e per il quale l’America impazzisce: un ex walk on – studente senza borsa di studo – che si pagava gli studi consegnado la posta – da cui il soprannome di Mailman, postino – che sembra uscito totalmente da un’altra epoca sportiva e non: non ha un braccio potentissimo, non è un dual threat, non è fisicamente imponente e non è neppure biondo. Non ha social network e dicono utilizzi un telefono a conchiglia solo per le chiamate. Un personaggio positivo nello spoglatoio, come riportato dal RB James Cook a fine partita, un leader che ama il football e che, anche grazie al suo “vivere fuori dalla realtà virtuale dei social media”, riesce a farsi scorrere addosso le critiche senza farsi il sangue cattivo. Insomma un personaggio al quale è difficile non voler bene, e per il quale è difficile non essere felici quando, come ieri notte, viene insignito del premio di MVP offensivo del match e avvolto dagli “Stet-son! Stet-son! Stet-son!” del suo pubblico.

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Ce la farà a ripetersi contro Alabama? Appuntamento al 10 gennaio per scoprirlo.

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