In questa NFL non può esserci spazio per Jon Gruden

Uno non può nemmeno godersi la pace mentale regalata da una partita stupenda di Lamar Jackson, quel genere di partita in grado di prendere a pesci in faccia chi dopo anni continua imperterrito a definirlo “running back”, che si trova costretto a tentare frettolosamente di metabolizzare le dimissioni di Jon Gruden: la cosa più imbarazzante di vicende del genere, oltre che al viscidume dei protagonisti di tali gesta, è la consapevolezza che una frangia piuttosto ingente dell’Internet si indignerà per il troncamento “volontario” – ne riparleremo a breve – del rapporto di lavoro fra Jon Gruden ed i Las Vegas Raiders.

Prima di tutto, perché Gruden si è dimesso?

La risposta è meno intuitiva e più mesta di quanto possiate immaginare: non si è dimesso per aver completamente fallito in tutto e per tutto, per scelte al draft ed in free agency rivedibili, per aver snaturato un roster svendendo qualsivoglia giocatore in grado di aumentare anche solo di qualche decimale le loro possibilità di vittoria o per non essere riuscito a convincere la propria squadra del fatto che una stagione duri sedici – o diciassette – partite e che, pertanto, giocarne seriamente solo una decina non sia particolarmente congeniale per raggiungere i playoff.
No, non si è dimesso per motivi tecnici, non ha rinunciato al proprio faraonico contratto dopo che un’illuminante epifania gli ha aperto gli occhi mettendolo davanti al proprio fallimento nella gestione dei Las Vegas Raiders.

Negli ultimi giorni sono emerse delle email spedite da Gruden a vari individui che definire interessanti sarebbe un eufemismo.
Tutto è cominciato la scorsa settimana quando il “Wall Street Journal” riportò di una mail in cui Gruden derise con poco gusto il presidente della NFLPA DeMaurice Smith facendo velati – ma non troppo – commenti razzisti alle dimensioni delle sue labbra: Smith è afroamericano, perciò lascio a voi il compito di collegare i punti.
Di cattivo gusto, assolutamente evitabile ma non compromettente.

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Ieri, però, è scoppiata una vera e propria bomba quando il “New York Times” ha messo il mondo davanti ad altre mail di Gruden inviate al presidente degli allora Washington Redskins Bruce Allen: all’interno di queste mail Gruden ha ricoperto Roger Goodell di epiteti omofobi lamentandosi di come il commissioner pressò l’allora allenatore dei Saint Louis Rams Jeff Fisher a selezionare al draft Michael Sam, il primo giocatore apertamente gay scelto al draft.
Ma non finisce qui, poiché in altre mail affermò che Eric Reid, uno dei più convinti sostenitori dell’inginocchiamento durante l’inno nazionale, non avrebbe più dovuto lavorare in NFL, ed in ulteriori mail si scambiò, da buon pervertito che dà al genere femminile tutti i motivi del mondo per non fidarsi dell’uomo, foto di cheerleader di Washington coperte, per così dire, solo dalla vita in giù: spero non vi siate dimenticati di quello che hanno dovuto vivere quelle povere ragazze.
In questo piatto c’è veramente di tutto, razzismo, omofobia, sessismo e, in generale, una visione del mondo obsoleta, semplicistica e tremendamente bigotta che non dovrebbe appartenere ad uno il cui compito è anche quello di tenere unito uno spogliatoio etnicamente e culturalmente variegato: nel 2021 una persona nella sua posizione, con un ruolo del genere, non può essere così.

Le dimissioni di Gruden, di questo potete starne certi, non sono state spontanee, non c’è alcun tipo di rimorso dietro il suo gesto, una volta uscito il reportage del “New York Times” erano diventate mera formalità: un bambino sorpreso con le mani nella marmellata, nel momento in cui la mamma gli chiede cosa stia facendo, come prima reazione istintiva toglie le mani dal vasetto, o sbaglio? O tenta di giustificarsi leccandosi le dita ed approfittando di qualche distrazione del genitore-giudice per mangiarne ancora?
Gruden, esposto al mondo per quello che è veramente ha semplicemente fatto quello che doveva fare, ossia estromettersi – momentaneamente? – dalla scena dimettendosi, ma non è questo il mio problema: come ha fatto un individuo del genere a vivere una carriera simile?
Come è riuscito, nel caso in cui ci abbia provato, a nascondere una mentalità così bigotta dallo sguardo scrutatore di chi ha deciso di affidargli le chiavi della propria franchigia?
Quanto bene ha scrutato l’occhio scrutatore?
Gruden è così abile nel mutare carattere e dialettica a seconda dell’interlocutore di turno da essere riuscito ad ingannare Mark Davis?
Sono domande a cui temo di non essere in grado di trovare risposta.

Credete veramente che Jon Gruden sia l’unico allenatore con una mentalità del genere? Siete sufficientemente ingenui da non credere che il machismo tossico di Gruden sia un caso isolato?
Non posso parlare con certezza, ma credo proprio di no e ciò non può che risultare beffardamente deludente per una lega che nell’ultimo anno e mezzo ha deciso di promuovere il cambiamento sociale, anche se in tutta sincerità nutro parecchi dubbi sulla genuinità di tali iniziative: nella lega più ricca al mondo nel 2021 non può e non deve esserci spazio per persone del genere, è inutile che i piani alti sognino di esportare il football americano su Marte al fine di permettere la crescita del brand National Football League per poi essere rappresentata da soggetti del genere.

Ma poi, mi domando, proprio i Raiders?
Perché ad un bigotto del genere sono state consegnate le chiavi di una franchigia che nel corso degli anni ha rotto numerose barriere?
I Raiders sono stati i primi – nell’era moderna – ad assumere un allenatore di colore dando una possibilità ad Art Shell nel 1989, sono stati i primi a mettere una donna in una posizione di potere all’interno del loro organigramma promuovendo Amy Trask a Chief Executive nel 1997 e, non dimentichiamolo, qualche mese fa sono passati alla storia grazie al coming out di Carl Nassib, primo giocatore apertamente omosessuale a giocare una partita in NFL: come ha potuto una franchigia di veri e propri pionieri non accorgersi di nulla?
O Gruden è un fantastico camaleonte o, molto semplicemente, chi di dovere si è semplicemente girato dall’altra parte assegnando maggior importanza ai potenziali risultati in campo piuttosto che a valori sui quali è stata costruita la franchigia: Al Davis, in questo momento e non solo, si sta seriamente rivoltando nella tomba.

Dinanzi alle sue affermazioni non posso che interrogarmi sullo stato d’animo di Carl Nassib: come può sentirsi uno che ha appena scoperto che colui che lo aveva messo sufficientemente a suo agio per aprirsi alla squadra ed al mondo usi la parola “faggot” come intercalare?
Anche aspetti apparentemente marginali come questo legittimano le dimissioni di Gruden, un uomo del genere non può avere nulla a che fare con uno spogliatoio che ha deciso di accogliere per quello che è un omosessuale; certo, in un mondo ideale non ci sarebbe bisogno di “accettare” un omosessuale, perché “accettarlo” implica che questo si trovi in una posizione in cui chi gli sta attorno debba decidere se sia “accettabile” o meno che una persona abbia un orientamento sessuale diverso dal suo: ciò è infinitamente triste, le persone si accettano a prescindere da orientamenti sessuali o colori di pelle, ma in un mondo ricolmo di testosterone e mascolinità tossica come lo è quello NFL già solamente questo è tanto.

Questa vicenda ha enormi ripercussioni pure all’interno della nostra comunità, in quanto già so che ci sarà chi bollerà tutto ciò come “dittatura del politicamente corretto” stracciandosi le vesti dinanzi allo strapotere del “pensiero unico” poiché «quello che ha detto Gruden nel privato deve rimanere nel privato e non ci riguarda»: quindi una persona può essere schifosamente razzista ed omofoba a patto che non manifesti ciò in pubblico?
Volete dirmi che non bisogna combattere omofobia, sessismo e razzismo nel tentativo di sradicarli dalla nostra società, ma che piuttosto bisogni contrastare in ogni modo le manifestazioni d’essi?
Non credo, o meglio, spero che pure la vostra risposta sia tutt’altro che affermativa.

C’è chi tramite discutibili post sui social riscuoterà indignati like mungendo le raggrinzite mammelle della “dittatura del politicamente corretto”, totalmente non conscio del fatto che il fine ultimo di tale “dittatura” sia quello di eliminare dal mondo la cattiveria gratuita e la discriminazione, non quello di renderci automi totalmente identici per forma e contenuto: ciò, lo ammetto, continua e continuerà a farmi ridere, soprattutto perché chi si è eretto a paladino della libertà di pensiero molto spesso minaccia azioni legali nei confronti di chi esprime il proprio dissenso in modo colorito, perché alla fine ognuno può dire ciò che vuole fintanto che non offenda o critichi “me”, commenti misogini, razzisti ed omofobi agli altri sono sempre accettabili in quanto “diversi” e, per questo motivo, garanti di democrazia.
Per favore, cresciamo, tiriamo fuori la testa dalla sabbia e rendiamoci conto una volta per tutte che nel 2021 interpretare la realtà a slogan non sia più possibile.

Cari lettori, è molto importante che ci sia una certa unità d’intenti in questa occasione, è fondamentale che la nostra comunità convenga che Gruden non è un martire del politicamente corretto ma semplicemente una persona discutibile che è stata esposta per quello che è, un bigotto in una posizione di potere che in quanto tale non solo non è meritevole del proprio lavoro ma che intralcia l’espansione e lo sviluppo di questa lega aumentando la tossicità di questa cortina di obsoleta mascolinità che continua a permeare questa comunità.

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Una vicenda del genere non può essere compendiata con slogan o monosillabici pensieri il cui unico scopo è quello di scroccare like, il Grudengate – mi sono buttato avanti – deve essere visto come un’importante occasione per riflettere su tutto ciò che non va in questo sport e questa lega perché fino al momento in cui la NFL non si sarà liberata di tutti i Gruden di questo mondo non potrà mai crescere ed affermarsi come una lega veramente per tutti.

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Mattia Righetti

Mattia, 27 anni. Voglio scrivere per vivere ma non so vivere. Quando mi cresce la barba credo di essere Julian Edelman. Se non mi seguite su Twitter (@matiofubol) ci rimango malissimo.

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13 Commenti

  1. “quindi una persona può essere schifosamente razzista ed omofoba a patto che non manifesti ciò in pubblico?”
    Si, almeno che lo psicoreato non sia già realtà.

  2. Complimenti, bellissimo articolo.
    Tra l’altro viene da pensare che il personaggio abbia danneggiato anche il tecnico, visto che determinate cessioni alla luce di quanto accaduto potrebbero trovare spiegazione.

    A questo punto è lecito pensare che alcuni giocatori abbiano piantato i piedi per non essere agli ordini di un personaggio del genere. Sono solo congetture che tali rimarranno, ma di sicuro d’ora in poi ben pochi giocatori avrebbero voluto associare il proprio nome a quello di Gruden.

    1. Gruden è in NFL da più di 20 anni se si sommano le esperienze da allenatore e commentatore, ha avuto a che fare con centinaia e centinaia di giocatori e in tutto questo lasso di tempo mai nessuno di loro ha mai detto che Gruden fosse un razzista..

      Giudicare lo scambio di corrispondenza privata di un personaggio che ha da sempre linguaggi a dir poco “coloriti” , anche in pubblico, quindi non oso pensare in privato, è un qualcosa che maneggerei con cura prima di etichettarlo come razzista omofobo conterei fino a 100 e cercherei di farmi qualche domanda in più…

      Di 650.000 mail trovo singolare che siano uscite solo le sue e non ad esempio le risposte di coloro che interagivano con lui… ed ora che lui si è dimesso, la nfl fa sapere che non uscirà più nulla sulle indagini svolte a Washington..
      Bene ma non benissimo….

      1. mi spiace per le povere ragazze di Washington ma dare del pervertito ad uno che manda video di donne in topless in chat private mi pare un po eccessivo.
        a meno che io non sia l’unico che riceve video e foto di nudo su whatsapp con cadenza giornaliera.
        idem per il “faggot” e la sua versione italiana.
        non penso proprio che Gruden sia l’unico ad usarlo come intercalare.

        chi è senza peccato scagli la prima pietra, diceva qualcuno un paio di migliaia di anni fa

  3. Brutta storia il processo alle opinioni. Non è mai finita bene.1984 non ha insegnato nulla.

    1. Essere razzisti, sessisti, misogini e chi più ne ha più ne metta -> processo alle opinioni. 1984 non ha insegnato nulla a chi non è in grado di leggere, mi sa. 🙂

  4. Come coach una pippa, ha avuto la fortuna di allenare tampa ormai pronta per vincere.

    1. Peccato che i raiders del 2002 fossero la squadra creata e plasmata da lui. Senza Gruden Tampa Bay non avrebbe mai vinto il super bowl. E’ riuscito a tirare fuori il meglio da Brooks e Sapp, che lo ha pure difeso nella storia delle mail, se non erro.
      Dare della pippa a Gruden… contento te…
      Gruden e’ un grande coach. It’s my coach.

  5. cambio in corsa … o c’è un evidente cambio di passo o tracollo totale (e sai che novità!)
    auguri a Bisaccia.

  6. Certo che avergli fatto fare in passato anche il commentatore non è stata proprio una scelta intelligente secondo me!!!

  7. Jon Gruden e’ un grandissimo allenatore. Molto meglio di macdaniels. Sapp lo difende, se non erro, e basta vedere come abbracciava Brooks nel super bowl 2002, per capire che potrebbe essere una montatura per distruggerne la carriera. Ciò detto, il giudice per ora, salvo errori, ha dato ragione a Gru contro la NFL.
    Io a un coach come Gru darei la vita.

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