Texas e Oklahoma verso la SEC

Il 2021 sarà ricordato comeil ‘68 del college football”, “l’anno che sconvolse il mondo”.
Tre sono state le decisioni che hanno reso del tutto fuori luogo il prefisso “off” affibbiato solitamente a questo periodo della season sportiva.
I primi due, però, a differenza dell’ultimo di cui parleremo oggi, si può dire che fossero in qualche modo “attesi”, o, perlomeno, agognati da giocatori, scuole e tifosi.
Perché se da un lato l’espansione dei Playoff e l’approvazione del NIL hanno ben poche controindicazioni, dall’altro, il prossimo cambio di conference di Texas e Oklahoma è fornito di un foglietto illustrativo piuttosto lungo.

La notizia dell’ipotetica volontà delle due superpotenze della BigXII di abbandonare la propria conference per rispondere alle allettanti sirene della SEC è giunta come un fulmine a ciel sereno nel pomeriggio del 21 luglio scorso, proprio durante il “Media Day” della SEC, che ci ha concesso così di osservare le reazioni “a caldissimo” di giornalisti e coach. Tra i primi il sentimento più diffuso era l’incredulità, mentre le reazioni dei secondi le possiamo riassumere con quella di Jimbo Fisher (HC di Texas A&M) che, quando interrogato sull’argomento, rispose: “non so nulla, ma immagino i motivi per cui vogliano venire in SEC”.
Brave sono state dunque le due scuole a nascondere le loro intenzioni fino quasi a cose fatte, non consentendo all’opinione pubblica e alle altre istituzioni contrarie a questo movimento di potersi schierare e lottare per dissuadere i due amici/nemici Longhorns e Sooners dal completare la loro mossa.

Venerdì 30 luglio i 14 membri della SEC hanno votato all’unanimità per l’ampliamento degli inviti, rendendo di fatto ufficiale il prossimo passaggio di UT e OU nella conference del South East (e, ormai, non più solo di quello), passaggio che, per quanto si sa ora, dovrebbe avvenire a partire dalla stagione 2025, ovvero al termine del contratto che lega ancora i due atenei alla BigXII in termini di diritti televisivi.
La stessa Texas A&M, l’acerrima storica rivale di Texas che compì il medesimo “salto” nel 2012, alla fine si è schierata a favore dei cugini, nonostante i logici svantaggi ne deriveranno in termini di recruiting nello stato del Texas: gli Aggies, dal 2025, non potranno più mettere sul tavolo delle trattative la loro appartenenza alla “miglior conference della nazione” per convincere i ragazzi a scegliere loro invece dei più rinomati Longhorns.
Ma, come pare chiaro da ogni sfaccettatura di questa vicenda, è il denaro a giocare il ruolo di protagonista, e gli Aggies, facendo un paio di calcoli, si sono accorti che economicamente potrebbe giovare il far parte della Super League del college football, quale la SEC diventerebbe. E le somiglianze con la Super League europea ci sono eccome: a partire dall’annuncio in fretta e furia e senza preavviso, passando per il fine meramente economico del tutto, arrivando alla netta e totale incuranza di ciò che lo status quo rappresenta(va) dal punto di vista sociale e culturale. Ma ci arriviamo.

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Il passaggio potrà avvenire prima del 2025?

È possibile. BigXII tornando a casa da una giornata di lavoro ha trovato quella che credeva fosse una moglie devota (UT/OU) a letto con il proprio vicino di casa, più ricco e avvenente. Ha realizzato che il tradimento era in atto da tempo, nonostante tutte le attenzioni che le regalava. La separazione è stata brusca: sono volati piatti e bicchieri e anche qualche parola. E per questo è difficile credere che i due ex innamorati possano continuare una convivenza serena per quattro anni (!) fintanto che la nuova casa della moglie sarà pronta.
Uscendo dalla metafora: la BigXII non potrà certo attendere il 2025 per fare le proprie contromosse, poiché se arrivati a quel tempo resterà solo con gli attuali 8 membri, non durerebbe un giorno. Crollerebbe il valore dei diritti tv, così come l’appeal della conference, e questo, nel mondo di oggi, significa una sola cosa: fallimento.
Se la BigXII dovesse decidere il proprio destino prima di quel 2025, quindi, via libera a Texas e Oklahoma di aggregarsi ai nuovi compagni per dar vita alla Super League, in anticipo sulla data prevista.

Cosa ne sarà della BigXII?

Il commissioner della BigXII Bob Bowlsby si è scagliato nei giorni scorsi contro l’emittente televisiva ESPN, accusandola di favoreggiamento della American Athletic Conference (ad ora, la “prima” delle Group of Five conference) al saccheggio dei resti della sua conference. Secondo Bowlsby ESPN avrebbe ingaggiato la AAC per strappare dai 3 ai 5 membri alla BigXII, promettendo un grosso esborso per i futuri diritti tv.
Le vie, per la BigXII, sono ovviamente due: da un lato c’è la possibilità che essa “resista” e apra le sue porte a dei potenziali interessati (e ce ne sono, specialmente dalla AAC, per esempio: UCF, Memphis, USF, Houston) mantenendo il suo status di “Power 5” pur venendo logicamente declassata dopo la perdita dei pesci grossi.
Dall’altro c’è la possibilità che la BigXII si sfaldi definitivamente, e che le 8 squadre facenti ad ora parte di essa si distribuiscano tra le varie altre conference – il cosiddetto “realignment” già visto e vissuto alla morte della Big East Conference – alcune, quindi, nella AAC, e le altre divise tra Pac-12, Mountain West e ACC.

Come cambierà la SEC?

Anche qua le possibilità sono fondamentalmente due: o si mantiene il sistema a 2 divison (East e West), che diverranno di 8 squadre e vedranno lo spostamento di Auburn e Alabama a Est e l’introduzione di Texas e Oklahoma a Ovest; oppure si dividerà la conference in 4 gruppi (o “pods”) di 4 squadre, mantenendo il sistema 3-6 (ovvero 3 partite contro avversarie fisse e 6 contro avversarie variabili a turno della conference).

Cosa ci guadagna il college football?

Ogni cambiamento radicale delle nostre abitudini ci prende sempre di sorpresa e tende a farci reagire con scetticismo e malinconia.
Gli aspetti positivi, però, ci sono eccome.
Anzitutto, una super lega in qualsiasi sport è qualcosa che merita attenzione perché mostra il meglio che lo sport possa proporre.
La SEC è la conference più “calda” – non solo per ragioni climatiche – del college football, quella con le atmosfere più infuocate, i tifosi più folli e le rivalità più sporche. L’aggiunta di Texas e Oklahoma ci regalerà delle partite memorabili e con un grado di attesa unico.
Ogni singolo weekend di SEC proporrà almeno due match imperdibili, il che vorrà dire 7 ore continuative del meglio del college football, una overdose ogni settimana.
Inoltre, “caso” ha voluto che Texas e Texas A&M si ritrovassero in una nuova conference, per ristabilire una delle rivalità più violente (sportivamente e non) della NCAA, che non vediamo l’ora di poter (ri)vivere. E quindi, per delle rivalità che muoiono, ce ne sono altre che si ritrovano e, magari, altre ancora che nasceranno.

Cosa ci perde?

Una delle caratteristiche fondamentali del mondo sportivo collegiale è, da sempre, la sua territorialità. Il college football è scontro tra “popoli” vicini, che sono costretti a condividere la terra, senza condividere gli ideali. Oppure, quando anche gli ideali risultano affini, si tratta di semplice campanilismo, difesa a spada tratta della propria alma mater. E questo lo si vede e lo si vive in ogni situazione della vita, anche nelle più semplici e più banali. Si tratta di sfottò mentre si è in fila al supermercato. Di litigi mentre ci si riunisce sotto l’unica bandiera della squadra NFL locale, tifata sì, ma non con lo stesso calore. Si tratta della lotta per colorare la via, la città, lo stato con i colori della propria scuola e non lasciare che quelli della scuola rivale li sopraffacciano. Inezie. Forse poco importanti per i “decisori”, ma che sono il vero cuore pulsante di questo sport.

Texas e Oklahoma, in tutto questo, nulla hanno a che vedere con la SEC. Come non ce lo dovrebbero avere Arkansas e Texas A&M e neppure Missouri. Come Nebraska nulla ha a che vedere con il Midwest (e la BigTen) e idem dicasi per le scuole della costa atlantica Maryland e Rutgers. Colorado nella Pac-12 è una forzatura esattamente come lo è West Virginia nella BigXII.
Tutte scuole che si sono mosse in questa inarrestabile caccia all’oro, abbandonando a cuor leggero tradizioni secolari ancora rimpiante dai tifosi più anziani.

Fa male vedere il college football che rinnega i suoi ideali e scappa dalle origini che lo avevano reso così straordinario e, soprattutto, così diverso dallo sport professionistico. E non sarà il NIL a rompere l’incantesimo (che i giocatori guadagnino sulla propria immagine e possano fare ciò che vogliono dei loro social media, a mio modo di vedere, è sacrosanto). Ciò che rischia di distruggere la magia è questo tentativo di avvicinare il college football ad una lega professionistica, che persegue gli interessi economici cercando di “migliorare l’offerta”, ossia mirando ad un “prodotto migliore”, come potrebbe essere per esempio “Texas-Alabama”, senza preoccuparsi di perdere, per esempio la Border War tra Kansas e Missouri, sfida epica e rimpianta dai nostalgici, che però, al di fuori dei due stati interessati muoveva troppo poco interesse (leggere: diritti tv).

Il college football non potrà per ovvie ragioni mai competere con la NFL sul piano tecnico, e dunque perché sacrificare ciò che davvero questo mondo aveva di unico e irripetibile per avvicinarsi a quell’altro mondo, che in termini di offerta televisiva avrà sempre un vantaggio competitivo?
Ora il college football gode ancora dell’aura magica nella quale è da sempre avvolto, e quindi, essendo l’interesse di per sé molto alto, le grandi partite sono sicuramente più richieste e più pagate di quelle tra squadre di seconda e terza fascia.
Ma se si tira troppo la corda e quell’aura piano piano svanisce – perché si perdono le rivalità, le tradizioni, e magari pure gli stadi “vintage” che caratterizzano questa lega – la conseguenza sarà una lega non molto distante da una NFL di serie B.
È chiaro che il processo è lungo, ma sembra, procedendo così, inesorabile.

Occorrerebbe un “UNESCO” dello sport, che protegga i patrimoni dell’umanità come Michigan – Ohio State, Clemson – South Carolina e, sì… anche Oklahoma – Oklahoma State.
Se i Romani avessero voluto uno stadio più comodo, per massimizzare i guadagni e rendere più confortevole l’esperienza, oggi non avremmo il Colosseo.

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Riassumendo: Texas e Oklahoma in un futuro ancora non ben precisato entreranno a far parte della SEC. Questo è l’unico dato certo. Su tutto il resto bisognerà discutere, trattare e decidere, ma ad oggi fare previsioni non è altro che semplice esercizio intellettuale.

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