L’anno di Dak Prescott

Nella passata stagione, al primo anno nel sistema offensivo del coordinatore Kellen Moore, Dak Prescott ha compiuto un deciso salto in avanti nel suo processo di maturazione, affermandosi come uno dei migliori interpreti della NFL nel ruolo di quarterback. Nonostante la filosofia offensiva veloce ed aggressiva di Moore si sia sposata alla perfezione con il profilo di Prescott, il quarterback ha comunque compiuto passi falsi nei momenti decisivi della stagione regolare, e questi errori, sommati alle mediocri prestazioni difensive dei Cowboys, hanno regalato alla franchigia texana una stagione da 8-8.

L’offseason ha portato diversi cambiamenti a Dallas, mirati a colmare le lacune che hanno rallentato i Cowboys nella corsa verso i playoff. In primis Mike McCarthy ha sostituito Jason Garrett nel ruolo di capo allenatore. Nei nove anni disputati sotto coach Garrett, la franchigia non è mai riuscita ad andare oltre il Divisional Round dei playoff, fattore che è risultato decisivo al fine del suo licenziamento, viste le perenni aspettative da Super Bowl di Jerry Jones. Con l’obiettivo di mettere in bacheca il sesto titolo, che a Dallas ormai manca dal 1995, il front office ha optato invece per il profilo di McCarthy, ex capo allenatore dei Packers che ha conquistato l’anello nel 2010, oltre ad aver compiuto diversi viaggi all’NFC Championship Game.

Per Dak Prescott quello attuale è decisamente il contesto più stimolante nel quale abbia mai giocato, con un attacco migliorato, un coordinatore offensivo con il quale lavora costantemente con l’obiettivo di limare i difetti del suo gioco e la motivazione di dimostrare che vale il contratto che ormai da due anni rappresenta un testa a testa continuo con il front office. Dopo il rinnovo stellare firmato da Patrick Mahomes in questa offseason infatti, non riuscendo a trovare un accordo con il front office, Prescott ha deciso di “accontentarsi” del tag (che gli procurerà comunque un ingaggio da 31 milioni) e di giocarsi la sua ultima opportunità nella stagione 2020 per convincere Jerry Jones di valere un ingaggio tra i cinque più ingenti della NFL. Sotto questo punto di vista però, i Dallas Cowboys hanno temporeggiato troppo a lungo con il contratto di Prescott. Se i rinnovi di Goff e Wentz potevano essere considerati un buon compromesso da tenere in considerazione per il rinnovo, le recenti cifre indirizzate a Mahomes e Watson sono una condanna per la dirigenza texana, la quale difficilmente potrà allontanarsi dai 35 milioni richiesti da Prescott. Tuttavia, nonostante Prescott sia destinato comunque a toccare quelle cifre, è giusto ammettere che il giocatore necessiti di dimostrare una volta per tutte di non essere soltanto un quarterback superiore alla media, ma di essere bensi un quarterback d’elitè, capace di mettere a referto ottimi numeri nella stagione regolare, ma anche di risultare decisivo ai playoff.

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GLI ALTI E BASSI DEL 2019

Se da una parte i Dallas Cowboys hanno avuto il migliore attacco della passata stagione in termini di yard totali conquistate e Dak Prescott ha concluso con la sua miglior stagione in carriera dal punto di vista statistico, come testimonia il valore DYAR più alto tra i quarterback (che indica quanto il giocatore abbia giocato meglio rispetto ad un pari ruolo di riserva) ed un ottimo passer rating (99.7), dall’altra l’ex prodotto di Mississippi State ha abbandonato la squadra nel momento del bisogno con errori decisamente significativi. Nelle otto sconfitte dei Cowboys del 2019, ci sono state una situazioni in cui Dallas ha avuto tra le mani la possibilità di ribaltare gli equilibri del match e possibilmente indirizzare la partita a proprio favore, ma in buona parte dei casi, ciò non è accaduto a causa di forzature ed imprecisioni di Prescott. Ed è proprio su questi aspetti del gioco che Prescott ha dichiarato di aver lavorato duramente nel corso dell’offseason. Un esempio significativo di quanto detto è quello proposto qui sotto, accaduto durante la partita di week 12 che i Dallas Cowboys hanno disputato contro i New England Patriots.

In questa situazione di 3rd&2 in un momento nel quale l’attacco dei Cowboys stava provando a riprendere vita dopo un avvio macchinoso, succede questo: Prescott riceve un brutto snap ma la linea offensiva svolge un ottimo lavoro ed il quarterback ha molto tempo a sua disposizione nella tasca per prendere una decisione. Amari Cooper, allineato come “X receiver”, lavora su una tracciashallow cross” con Stephon Gilmore in marcatura a uomo, Prescott però lancia frettolosamente compiendo un brutto errore di precisione, il lancio termina alle spalle di Cooper, e Stephon Gilmore in tuffo mette a segno l’intercetto.

Nonostante episodi come questo, non si possono certamente imputare a Dak Prescott le colpe della campagna fallimentare realizzata dai Cowboys. Il corpo difensivo nel suo intero infatti ha affrontato una caduta in picchiata rispetto alla solidità mostrata nella stagione 2018 e questo limite ha trascinato Dallas verso il fondo, nonostante l’attacco avesse una produzione da playoff.

L’ANNO DI DAK PRESCOTT

Una volta conclusasi la stagione 2019, l’ondata di Coronavirus esplosa negli Stati Uniti sembrava potesse essere un altro grosso ostacolo per i Dallas Cowboys, visto il cambio di capo allenatore. Proprio in situazioni come queste è fondamentale il lavoro che la squadre cominciano a fare sul gridiron sin dalla fine del mese di Giugno, al fine di permettere al coach di avere tutto il tempo a disposizione per inculcare nella testa dei propri giocatori il playbook e la sua filosofia di gioco. Da questo punto di vista però i Cowboys sono stati molto fortunati, in quanto Kellen Moore ha una grossa connessione con il tipo di attacco che è solito professare Mike McCarthy, andando dunque a semplificare enormemente il processo di apprensione del sistema offensivo.

Questa connessione nasce a Boise State nel 2008, dove Kellen Moore, nel ruolo di quarterback titolare, ebbe Chris Petersen come capo allenatore, il quale era solito utilizzare una variazione della “West Coast Offense”, che comprendeva molti movimenti pre-snap con l’obiettivo di allargare orizzontalmente la difesa avversaria, lasciando molta libertà al quarterback di fare letture alla linea di scrimmage, giocando dunque spesso senza huddle. Questo sistema si avvicina molto a quello applicato da McCarthy a Green Bay e che ha valorizzato al massimo Aaron Rodgers. Chris Petersen infatti imparò questo sistema di gioco all’Università di Pittsburgh dall’allora capo allenatore Paul Hackett e proprio nello staff di Hackett era presente anche McCarthy nel ruolo di allenatore dei ricevitori. Come riportato nella offseason, questa connessione primordiale tra Moore e McCarthy ha aiutato i due a sviluppare una grande intesa sin da subito, in un processo che ha portato l’head coach a confermare Moore nel ruolo di “playcaller”, visti anche i risultati della passata stagione.

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In questa giocata che ha scaturito il touchdown di Randall Cobb contro i New York Giants si può notare come sia stata eseguita alla perfezione la chiamata di Kellen Moore. Al momento del lancio Dak Prescott si ritrova con tre uomini completamente liberi a cui può lanciare: Ezekiel Elliott è l’opzione “checkdown” ovvero l’opzione di salvataggio nel caso tutti gli altri ricevitori siano occupati. Più in avanti troviamo libero anche Jason Witten (numero 82), che corre una traccia verso l’interno ed anch’egli si ritrova libero. Il quarterback però sfrutta l’errore di lettura del linebacker e Randall Cobb, in partenza dalla slot, si infila proprio tra lui e il safety ed indisturbato entra nella end zone.

Nel 2019 infatti il miglioramento compiuto dall’attacco texano è stato molto evidente. Un dato importante a conferma di ciò (oltre ai numeri “grezzi”) è quello del tempo impiegato per giocata. Nella passata stagione i Cowboys hanno avuto una media di 25.5 secondi impiegati per giocata offensiva, il secondo dato della lega. Questo significa che l’impronta fornita da Moore è stata quella di un attacco molto veloce, difficile da interpretare per le difese avversarie grazie alle motion ed alla libertà di lettura fornita a Prescott, salvo poi “uccidere il tempo” mantenendo il vantaggio e instaurando un running game solido.

Dunque in questo clima estremamente fertile per lo sviluppo offensivo, il front office texano nel Draft appena passato ha deciso di fare un ulteriore miglioramento all’attacco, andando a selezionare il ricevitore CeeDee Lamb al primo giro. Il prodotto di Oklahoma si andrà ad unire ad un pacchetto ricevitori che già contiene due reduci da una campagna da 1000 yard di ricezione, ovvero Michael Gallup e Amari Cooper, andando a formare presumibilmente il terzetto più pericoloso della lega. Per Dak Prescott questo non può esser altro che la ciliegina sulla torta di un attacco che sulla carta appare sostanzialmente uguale a quello dello scorso anno, ma con un capo allenatore che sposa per intero la filosofia offensiva di Kellen Moore e con un’arma in più del calibro di Lamb. Da questo punto di vista il risvolto tattico interessante riguarda la posizione nella quale verrà impiegato: con Gallup e Cooper destinati ad allinearsi sugli esterni, Lamb verrà allineato principalmente nella slot, posizione nella quale potrà sfruttare molti “mismatch” (vantaggi di accoppiamento in marcatura) contro i linebacker, con la possibilità di risultare una spina nel fianco per la difesa, grazie anche alle sue abilità dopo la ricezione.

Al fine di migliorare e non perdere tempo prezioso durante la pandemia, Dak Prescott si è anche fatto costruire un campo da 45 yard nel retro della sua dimora texana, campo che ha utilizzato proprio nel periodo più duro della crisi sanitaria per sviluppare un buon rapporto con il suo gruppo di ricevitori, che quest’anno, dopo l’addio di Jason Witten, vedrà anche un utilizzo maggiore del tight end Blake Jarwin, profilo che ha impressionato nel corso del training camp grazie alla sua dinamicità e presenza nella red zone.

Il resto dell’attacco sarà completato dal backfield di lusso composto da Ezekiel Eliott, probabilmente il running back più consistente dell’ultimo lustro e dall’intrigante Tony Pollard, che nella sua stagione da rookie, nonostante i pochi tocchi, si è messo in luce per efficienza sulle corse ed un’ottima abilità nel correre le tracce. Anche la linea offensiva rimarrà invariata rispetto allo scorso anno, con Joe Looney che andrà a rimpiazzare nel ruolo di centro l’ex pro bowler Travis Frederick (ormai ritirato), con il rookie da Wisconsin Tyler Biadasz a fargli da riserva.

L’etica del lavoro certamente non manca a Prescott, il quale è stato abituato sin da tenera età a giocare sotto pressione in un contesto con una fanbase che aspira sempre all’obiettivo primo, il Super Bowl. Il quarterback ha dimostrato anche di avere delle spalle enormi, sopportando piogge di critiche arrivate a partire dal suo secondo anno, un tipo di pressione al quale era abituato anche il suo predecessore Tony Romo e tipiche per il quarterback di una franchigia martellata dai media come i Dallas Cowboys. Ma Prescott ha sempre gestito con carattere e maturità la pressione, dimostrandosi all’altezza del suo ruolo.

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Sulla sua personalità ha speso parole al miele anche Mike McCarthy, il quale ha affermato: “Sono molto impressionato dalla personalità di Dak, è molto controllato e maturo, estremamente perfezionista in tutto quello che fa”.

Dopo un avvio di carriera promettente, Dak Prescott sembra arrivato al bivio decisivo e se dovesse incanalarsi nella giusta strada, ci sarebbero una profonda corsa ai playoff ed un ricco contratto ad aspettarlo. Quello attuale, è sostanzialmente un contesto perfetto al fine raggiungere i suoi obiettivi, in quanto nella sua prima stagione sotto Kellen Moore, il nativo della Louisiana ha fatto passi da gigante, riuscendo ad essere terribilmente efficiente sia nella tasca che sotto pressione. Proprio per questo non ci sarebbe da sorprendersi se Prescott dovesse concludere la prossima stagione con il premio di MVP tra le mani.

Per un giocatore che passa troppo spesso inosservato, con un attacco disegnato per valorizzarlo al massimo ed una difesa migliorata rispetto allo scorso anno, Dak Prescott ha tutte le carte in regola per prendersi le luci dei riflettori e trascinare l’America’s Team là dove non mette piede dagli anni ’90.

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