Deshaun Watson: una grande, possibile, delusione

Il football americano, per me e molti altri, altro non è che una magnifica, totalizzante ed estremamente soddisfacente valvola di sfogo che mi – ci – permette di entrare in un’altra dimensione, un mondo tutto mio la cui popolazione negli ultimi mesi è cresciuta esponenzialmente grazie alla comunità italiana ed alla redazione di Huddle Magazine: una storia come quella di Deshaun Watson, molto egoisticamente, mi fa male perché lo ha sconquassato portando dentro a questo pianeta – facciamo città, dai – ideale drammi della vita vera dalla quale tento disperatamente di trovare rifugio proprio grazie al football.

Quanto appena detto potrebbe suonare terribilmente egoista e miope, sembra quasi che i possibili atti deplorevoli di Watson siano un affronto a me ed alle mie certezze, non dei possibili crimini che segneranno per sempre l’esistenza di altri esseri umani che forse avranno decisamente più bisogno di me di evadere della realtà, ma lasciatemi spiegare: a rendere tutto ciò difficile da digerire – anche se per il momento non si ha alcun tipo di certezza –  è un mio senso di vergogna che nasce dal fatto che un prominente abitante di questo mio mondo immaginario possa essere stato in grado di compiere quello di cui è stato accusato e, anche se sono assolutamente consapevole che non abbia senso, mi sento terribilmente in colpa ad avergli offerto una dimora e vari gigabyte di pensieri e riflessioni.

Non siete al corrente dello scandalo di cui Deshaun Watson è protagonista?
Ecco a voi una precisa timeline fornita da The Athletic: se non siete abbonati a The Athletic non preoccupatevi, l’inimitabile Giorgio Prunotto durante il settimanale appuntamento di Scusate il Disturbo ha riassunto l’intera vicenda con l’eleganza e la precisione che lo contraddistinguono.
Non voglio discutere il principio giuridico della presunzione di colpevolezza, Watson al momento non è colpevole di nulla oltre ogni ragionevole dubbio e malgrado lo squallore che la storia trasuda ogni singola parola che leggerete – ed avete letto – deve essere filtrata da un banale ma più che mai utile “se i fatti sussistono”: innocent until proven guilty non è solo una frase buttata lì dal procuratore Jack McCoy durante una delle sue ispirate conversazioni con il proprio superiore, ma un pilastro della nostra società di cui troppo spesso tendiamo a dimenticare l’esistenza giungendo a conclusioni affrettate.
Da un giorno all’altro potrebbe saltare fuori che Deshaun Watson non sia colpevole di nulla e che tutto quello di cui abbiamo parlato negli ultimi mesi altro non fosse che una montatura: me lo auguro, non tanto per Watson, ma per il semplice fatto che più di venti donne non abbiano subito intollerabili molestie sessuali e che tutto ciò non sminuisca in alcun modo vicende reali o la reazione pubblica dinanzi ad eventuali accuse del genere ad una celebrità in un futuro non troppo lontano.

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Lo ammetto senza eccessiva vergogna, all’inizio pensavo che questa fosse una montatura orchestrata dai Texans – ricordiamo che l’avvocato Buzbee, colui che rappresenta l’accusa, è amico dell’owner Cal McNair – per mettere a tacere le richieste di cessione del quarterback: a spingermi in questa direzione era soprattutto l’immagine che mi sono fatto di Deshaun Watson come persona negli ultimi anni, accuse del genere non aderivano sicuramente a questa mia idea, oltre al fatto che nessun avvocato serio utilizzerebbe Instagram come palcoscenico per annunciare al mondo l’inizio della propria battaglia legale, soprattutto dinanzi a crimini così seri.
In campo, Watson è uno dei giocatori più spettacolari ed interessanti della lega, un quarterback in grado di caricarsi la propria squadra sulle spalle e condurla alla vittoria indipendentemente da tutto e da tutti, un fautore della hero ball per il quale ogni singola giocata deve portare ad un guadagno poiché lanciare semplicemente la palla fuori dal campo e sopravvivere per un altro snap non è nel suo DNA: tutte queste caratteristiche, molto ingenuamente, le ho proiettate anche sulla persona, sul vero Deshaun Watson, persona appartenente a questa società come tutti noi.

Sembrava piuttosto facile pensarla come me, avvolgerlo in un mantello ed elevarlo a supereroe.
In un nonnulla Watson è diventato un pilastro della comunità di Houston dando continuità a quanto fatto dal suo idolo e “padrino” Warrick Dunn, ex-running back di Buccaneers e Falcons che ha concretamente dato al quarterback una casa nella quale crescere: l’obiettivo della Warrick Dunn Charities Foundation era infatti quello di fornire una dimora ai membri dei ceti sociali più a rischio per garantire loro una vita dignitosa ed una parvenza di futuro.
Ciò ha intuitivamente cambiato la vita a Watson che, una volta trovata la propria posizione nel firmamento NFL, non ha esitato ad emulare quanto fatto da Dunn attraverso la propria fondazione: la simmetria della vicenda è incredibilmente soddisfacente e, perché no, commovente.
Solamente in un paio d’anni, fra eroismi fuori e dentro il campo, Deshaun Watson è diventato uno dei nostri giocatori preferiti, una sorta di Russell Wilson per il quale – indipendentemente dalla propria fede – è impossibile non fare il tifo anche per la bontà della persona sotto l’armatura e la maglia.

A questo punto credo possiate capire il giudizio che avevo su di lui fino a febbraio, credo possiate comprendere come mai lo considerassi un patrimonio per la NFL e per noi tifosi: una persona del genere ti rende fiero di adorare questa disciplina… finché è precitato tutto.
Ripeto, anche se premesso a più riprese, Watson al momento non è colpevole ed in un certo senso aver già avuto l’audacia di mutare la concezione su di lui potrebbe essere considerato ingiusto nei suoi confronti, ma accuse del genere fanno semplicemente ribrezzo poiché ci mettono davanti ad un uomo senza empatia che non ha esitazioni a sfruttare il proprio status di celebrità per ottenere quello che vuole, in questo caso perversi ed oggettivamente disgustosi rapporti sessuali con massaggiatrici che avrebbero solo voluto fare il proprio lavoro: veramente?
Veramente nel 2021, in un’era nella quale teoricamente noi uomini dovremmo aver imparato qualcosa sul rispetto delle donne, uno mostra una totale mancanza di sensibilità, rispetto ed umanità per un maledetto rapporto sessuale?

La violenza sessuale è deplorevole indipendentemente dal perpetratore, non si carica di serietà in funzione della notorietà dell’agente, ma molto puerilmente posso dirvi che il suo nome era l’ultimo che mi sarei immaginato potesse essere accostato ad accuse del genere: ciò non fa che aumentare una delusione che mi mette a disagio.
Mi mette a disagio perché, nonostante tutto, il mio inconscio continua a vomitare pensieri come “perché proprio lui?” o “ma come fai a sacrificare tutto ciò per un rapporto sessuale?” che non tengono in considerazione le possibili vittime e, francamente, me ne vergogno, perché non possiamo dimenticare che l’unica cosa di cui dovrebbe importarci è che, in caso, sia fatta giustizia per le vittime mettendo in chiaro, ancora una volta, che un concetto basilare per il corretto funzionamento della società come il rispetto per l’umanità delle donne non può essere scavalcato da nulla, nemmeno da soldi o fama.

Si sta già iniziando a vociferare di un possibile patteggiamento che, sinceramente, mi lascerebbe disgustato in egual misura a quanto lo farebbe una sentenza di colpevolezza, perché il patteggiamento mi sembra solo un modo per chiudere il più in fretta possibile e mettere sotto al tappeto l’intera vicenda nel tentativo che, pure questa, dopo un po’ di tempo scivoli nell’oblio: patteggiare, ai miei occhi, sarebbe un’ammissione di colpevolezza poiché qualsiasi essere umano decente, se veramente non ha commesso le oscenità di cui è accusato, lotterebbe fino alla morte affinché venga fatta chiarezza ed il proprio nome non sia associato ad uno dei crimini più insopportabili e spregevoli di cui una persona decente possa essere accusata.

Patteggiano? Per me Watson non esisterebbe più come giocatore e come persona, perché malgrado creda con sincera convinzione che chiunque meriti una seconda opportunità, un soggetto del genere non deve sicuramente godere del privilegio di stare in campo ed erigersi ad esempio per generazioni che sembrano finalmente avere tutti gli strumenti necessari per liberare la società dall’intrinseco razzismo e sessismo sui quali tali società è stata fondata: colpevole? Fuori dalla lega, fine.
La serialità e la premeditazione sfoggiate da Watson – qualora fosse vero, mi pare necessario ribadirlo – denotano avvilenti mancanze di valori e principi basilari – o molto semplicemente, di umanità – sui quali dovrebbe lavorare per il resto della propria vita, altroché training camp o OTA NFL.

Faccio fatica a parlare di Watson, sia per l’imbarazzo che più volte ho palesato per alcune considerazioni totalmente egoiste e puerili, sia per la viscidità e nebulosità della situazione – principio di colpevolezza, ricordate? – e, infine, per la sincera stima che provavo nei suoi confronti e che potrei provare nuovamente solo in caso di assoluzione totale: non mi interessa se “16 accusatrici sono inattendibili”, ne basta una.
Il beneficio del dubbio è ufficialmente evaporato, sto attendendo la verità giuridica prima di trarre le mie conclusioni, ma nel caso in cui tutto ciò dovesse trovare conferme in un verdetto od in un patteggiamento, vorrei che la NFL cogliesse la palla al balzo per dare un fortissimo segnale alla società “radiando” Watson dalla lega e, così facendo, dimostrando finalmente di non aver alcun tipo di tolleranza per crimini che in questo mondo, nel 2021, non hanno alcun motivo d’esistere.

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Mattia Righetti

Mattia, 27 anni. Voglio scrivere per vivere ma non so vivere. Quando mi cresce la barba credo di essere Julian Edelman. Se non mi seguite su Twitter (@matiofubol) ci rimango malissimo.

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4 Commenti

  1. Non voglio enfatizzare su quanto mi ha colpito il tuo articolo,quindi mi limito ha sottolineare la profondità del tuo disagio espressa,sintetizzando,il tuo disagio è lo stesso che ho provato e provo io.

  2. Concordo su tutto quanto scrivo salvo che di una cosa: il patteggiamento, se si fa, lo si decide fra le parti.
    Personalmente 20 persone oggetto di violenza mi sembra un numero spropositato, mi fa riflettere.
    Se si facesse il patteggiamento, a volerlo sarebbero anche quelle 20 donne che accetterebbero magari denaro in cambio della libertà di Watson.
    Io spero che quelle persone non accettino soldi ma vadano fino in fondo perché in caso contrario qualche dubbio circa la fondatezza delle accuse esisterebbe.

    1. Ciao Cristian,
      essenzialmente sono d’accordo con te, anche se non credo di essere nella posizione di poter giudicare tale eventuale scelta da parte delle vittime, qualora dovessero effettivamente accettare il settlement.
      È una questione molto scivolosa e piena di aree grigie, ed a questo proposito ti ringrazio per la sobrietà e pacatezza del commento, consapevole che sull’intero passaggio del patteggiamento io non sia stato particolarmente chiaro e, magari, coerente.
      Ti ringrazio e ti auguro una buona giornata!

  3. Questa storia mi sembra poco chiara, grottesca addirittura, visto il numero di accusatrici che si sono aggiunte nel corso del tempo, come nel caso Weinstein.
    In effetti il sospetto che dietro possano esserci i Texans c’è, (giustamente) incavolati per la richiesta di Watson di essere scambiato.
    In questo caso la richiesta di patteggiamento potrebbe non bastare.

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