Allargamento del College Football Playoff: il compiersi dell’inevitabile

L’allargamento dei Playoff-a-4 è un argomento vecchio almeno quanto i Playoff stessi, introdotti nella stagione 2014 con un formato che fin dal principio presentava alcuni vizi.

Ciò che, negli ultimi anni, ha fomentato maggiormente gli animi di tifosi e appassionati, non è stato tanto il formato in sé, quanto l’inspiegabile immobilismo della NCAA di fronte a alle petulanti richieste di innovazione da parte non solo degli utenti ultimi, che comunque foraggiano la baracca coi loro portafogli tramite abbonamenti e merchandise, ma anche degli stessi atenei, ruote fondamentali dell’ingranaggio del football FBS, prodotto di punta dell’NCAA.
Prima di venire alle considerazioni personali e alle ipotesi sullo sviluppo della situazione, meglio illustrare i fatti. O, perlomeno, le novità.

Cosa sappiamo

Il 23 aprile scorso la College Football Playoff Management Committee, che è una sorta di massoneria che regola le sorti della competizione, formata da 11 commissari: (uno per conference più l’AD di Notre Dame), al termine di un incontro, rilasciò la dichiarazione che da anni ci aspettavamo: “The Committee is exploring expansion models”. Tanto è bastato per far esplodere i sempre pacatissimi fan, che hanno intasato Twitter con le ipotesi più varie e strampalate sul nuovo format.
La dichiarazione della Commissione era, comunque, piuttosto vaga, e lasciava più dubbi che certezze, alcuni dei quali si è premurato Bill Hancock, executive director della Commissione, di sciogliere, dicendosi convinto che non ci fossero rischi effettivi nello “scoprire il lenzuolo” che avvolge sempre sinistramente le attività della NCAA, rendendone partecipe il pubblico. E meno male.
Hancock ha affermato che, comunque, per le prossime due stagioni a meno di ribaltoni il Playoff resterà a quattro squadre, e che tutte le ipotesi fatte potranno essere attuate non prima della stagione 2023.

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Le ipotesi fatte”, ha aggiunto, “vanno dal Playoff-a-6 al Playoff-a-16, e in tutto sono state considerate ben 63 combinazioni” tra numero di squadre e modalità di selezione delle stesse.

Otto degli undici commissari si sono detti “aperti al cambiamento”, e sembra ci sia l’aria giusta per poter convincere in un futuro prossimo anche gli ultimi tre, per ora ancora arroccati sullo status quo.
Più o meno le dichiarazioni ufficiali si fermano qua, e per saperne di più toccherà attendere il 17-18 giugno, quando è previsto un nuovo incontro del gruppo e una nuova conferenza di Hancock.

Perché no

Il partito del no è quello costituito dall’ala giacobina della nazione, i conservatori vecchio stampo che ancora rimpiangono l’era ante Playoff (BCS) e che vede nell’allargamento degli stessi la morte del college football che li ha fatti innamorare e appassionare. Analizziamone dubbi e argomentazioni.

Punto uno. Se il playoff dovesse essere a 12 (o 16), che sono le ipotesi più allettanti, quando si giocherebbero le partite?

Un playoff a 12 (o 16) prevede un massimo di due partite in più dell’attuale sistema, portando una squadra a poter giocare fino a 17 gare in un anno, un numero decisamente elevato per dei ragazzi il cui lavoro a tempo pieno “dovrebbe” essere lo studio. Questo potrebbe essere risolto diminuendo il numero di partite in regular season, da 12 a 11, rimuovendo, per esempio, una delle 3 partite di non-conference utile solitamente solo a sovraffollare il calendario. Va detto, però, che la stagione regolare di college football è già ridotta ai minimi termini e, inoltre, che ne sarà delle 118 (o 114) squadre che non si qualificherebbero ai Playoff? Ne avrebbero come unico risultato quello di giocare una partita in meno, con meno visibilità e meno introiti per il proprio ateneo.

Punto due. Dove si giocherebbe?

Questo è il problema di più facile risoluzione, basterebbe infatti mantenere l’attuale schema dei Playoff, con due bowl importanti come semifinali e una finale in campo neutro, e giocando invece i primi turni con un fattore campo.

Punto tre. Che ne sarà del Bowl system?

Questo è, a mio modo di vedere, il punto più delicato. I bowl, ovvero le partite a invito che chiudono la stagione di college football e che sono parte della cultura e della tradizione di questo sport, hanno sempre più perso interesse negli ultimi anni, giungendo addirittura ad essere considerati poco più che “amichevoli”, invece che “finali”, con i prospetti più talentuosi che non di rado si chiamano fuori anche dai bowl maggiori (vedi quanto accaduto quest’anno tra Florida e Oklahoma), poiché i benefici ottenuti dal giocare una partita del genere sono divenuti ben inferiori dei rischi.
L’Head Coach di Alabama Nick Saban, interrogato sull’argomento, con la solita lucidità che lo contraddistingue, ha detto che “è chiaro come il sistema dei bowl e un Playoff-a-16 non possano coesistere”, poiché l’interesse (leggi: “soldi”) andrebbe tutto sull’evento più grosso, lasciando le briciole al resto, che diverrebbe non solo poco profittevole, ma quasi “sconveniente” per le scuole e, per questo, destinato a morire.

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Punto quattro. E le rivalità? Moriranno anche loro?

No. Non moriranno. Però potrebbero essere, ahinoi, un po’ ridimensionate, nel senso che non saranno più “le partite più importanti dell’anno”, ma “le partite più importanti dopo i Playoff”, cosa che per qualcuno (leggi: Alabama/Clemson/Ohio State/Oklahoma) è già così.

Punto cinque. Un playoff a 16 non ci salverebbe da Clemson-Alabama in finale.

E su questo potrei essere d’accordo. Un esempio calzante ne è la March Madness di quest’anno: da ottobre si sapeva che la stagione si sarebbe, prima o dopo, ricondotta ad una sfida tra Baylor e Gonzaga – le due squadre migliori – e un tabellone a 68 non è riuscito ad evitare l’inevitabile: Baylor vs Gonzaga è stata la finale: numero 1 vs numero 2 del ranking, quod erat demonstrandum.
Un Playoff a 16, secondo il partito del no, non solo non ci salverebbe da una finale tra le due squadre migliori, ma anzi la favorirebbe, perché un potenziale passo falso dell’una in regular season potrebbe non esserle fatale – come fu invece, per esempio, ad Alabama l’Iron Bowl del 2019.
Ma la domanda è: vogliamo davvero essere “salvati” da una sfida tra le due migliori squadre?

Perché sì

Punto uno. Quattro squadre per una lega di 130 non è un campione rappresentativo.

E questo, a mio modo di vedere è il punto cardine. Basti pensare che, limitandoci a guardare il mondo NCAA, ogni sport da essa “governato” che non sia il football fa accedere alla propria post-season un campione di squadre compreso tra il 18% e il 25% del totale. Nel college basket, delle 350 scuole che compongono la Division I, ben 68 arrivano al “playoff”: il 19,4%. Nel college football, ad ora, siamo al 3% (4 su 130), percentuale che verrebbe alzata ad un più consono 12% nel caso di Playoff-a-16.

Punto due. I soldi.

Altro punto fondamentale, per due ragioni. La prima è che un Playoff espanso genererebbe un ingente aumento dei diritti televisivi: secondo una stima, un’espansione ad 8 porterebbe un aumento di almeno 420 milioni di dollari per i diritti dell’evento, e i soldi, si sa, non fanno ribrezzo a nessuno. La seconda è che ci sarebbe una spartizione migliore di questa “grande torta” a cui, ad ora, hanno accesso solo pochi oligarchi.

Punto tre. La competitività della lega.

Inutile negarlo, nell’Era Playoff si è assistito ad incremento vertiginoso del divario tra “i migliori” e “gli altri”, e tale forbice sembra destinata ad allargarsi sempre di più. Il college football, essendo una lega “non professionistica”, nella quale i giocatori ufficialmente non percepiscono retribuzione – e, semmai dovessero iniziare a percepirla, non sarebbero gli atenei gli eroganti, bensì sponsor e tifosi – ha fondamentalmente un principio egualitario che lo domina. L’offerta di Alabama, perlomeno sul piano teorico, può essere “pareggiata” da una Ball State qualunque. Cosa offre però Alabama che Ball State non potrà mai offrire? Le facilities (vedi la voce “soldi”), un coaching staff di livello eccellente (vedi ancora la voce “soldi”) e la visibilità. Un Playoff-a-16 garantirebbe una possibilità di essere on the biggest stage anche ad università di secondo livello, e ciò potrebbe rendere anch’esse appetibili per i recruit five star e da ciò potrebbe conseguirne una migliore spartizione del talento.

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Punto quattro (e ultimo). L’ineluttabilità.

Il meccanismo messo in moto dall’apertura dei Playoff nel 2014 porterà logicamente ad un allargamento degli stessi. Perché per quanto noi tifosi die hard possiamo continuare ad amare una Purdue-Indiana tanto quanto i Playoff, la realtà è che “il grande pubblico” la pensa diversamente.
Alzi la mano chi si guarda tutti gironi di Champions. Alzi la mano chi segue la regular season NBA, piuttosto che MLB. Alzi la mano chi guarda il primo turno di Wimbledon oppure i primi 100 chilometri della tappa del Tour. Ora guardatevi attorno e scoprirete di essere in pochi ad avere la mano alzata. Ecco perché un’espansione dei Playoff è inevitabile.

La formula migliore

Credo che ogni formula che preveda meno di 12 squadre sia solo una soluzione temporanea, destinata ad un ulteriore successiva modifica. Credo altresì che 12 sia il numero ideale per due ragioni: la prima è che non sempre ci sono 16 squadre “da Playoff” (per esempio quest’anno in un ipotetico Playoff-a-16 si sarebbe qualificata anche Iowa, che, con tutto il rispetto, non mi è sembrata una corazzata), e la seconda è che garantirebbe comunque un turno di bye alle Top 4, che, essendo quelle con le possibilità maggiori di arrivare in fondo, potrebbero vedersi risparmiare una partita.
Sull’eleggibilità delle squadre, credo che la soluzione migliore sia garantire 5 posti ai 5 campioni delle Power 5 conference, 1 posto alla miglior squadra delle Group of 5 e gli altri 6 posti basati sul ranking.

In conclusione

La novità è che la NCAA abbia finalmente deciso di scrollarsi di dosso la fama da “statua di sale” che aveva ormai da oltre un lustro e iniziare il processo di rinnovamento che tutti ci aspettavamo prima o poi avvenisse. A noi non resta che attendere le prossime mosse, nella speranza che vadano nel verso giusto e che rendano la FBS (che sta per Football Bowl Subdivision e che, quindi, potrebbe dover cambiare nome in FPS, Football Playoff Sub.) una competizione migliore.

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