Uno sguardo al 2020: Miami Dolphins

Il 2020 dei Miami Dolphins si è chiuso solo all’ultima giornata di regular season, quando la sconfitta in casa dei (più forti) Buffalo Bills e una serie di concomitanti risultati sfavorevoli ha posto fine alle legittime aspirazioni di playoff dei ragazzi di Brian Flores. Ma andiamo con ordine.

COME DOVEVA ANDARE…

Più o meno 95 milioni di dollari di spazio nel cap e 14 pick al draft. Con questo tesoro in dote, accumulato nel corso di un indimenticabile 2019, Chris Grier e Brian Flores avevano rivoluzionato la squadra che in cinque mesi era passata da quasi barzelletta a quasi rivelazione. Free agency e draft erano stati utilizzati in modo complementare, puntando sui pezzi più interessanti in ognuno dei due, senza aver paura di spendere (Kyle Van Noy e Byron Jones su tutti) e di prendere dei rischi (Austin Jackson e Noah Igbinoghene al primo giro, 42 anni in due). E, su tutto, la ciliegina Tua Tagovailoa, scelto alla #5 assoluta, anche lui non esente da rischi ma individuato come l’uomo su cui puntare il futuro dei Dolphins. Per cui, la franchigia di Miami presentava una squadra ampiamente rivoluzionata rispetto all’anno precedente, molto migliorata ma con l’aggravante di una pandemia imperante e quindi di non poter avere una preseason a disposizione per allenarsi e conoscersi per bene. Le aspettative, quindi, erano buone, ma contenute. Un 7-9 sarebbe stato ottimo, della serie “facciamo meglio dello scorso anno ma non aspettiamoci troppo”. Ma, a Miami, era già tempo di “expect the unexpected” …

…E COME È ANDATA

E’ andata che, come si sa, i Dolphins hanno chiuso con 10 vittorie e 6 sconfitte, hanno mancato i playoffs solo all’ultima giornata, hanno battuto in modo convincente squadre ampiamente più quotate (Rams e Cardinals) e squadre più deboli (Jets e Bengals). Ma hanno anche perso male contro squadre più forti di loro (Bills) e più deboli di loro (Broncos), ed hanno perso bene contro squadre più forti (Chiefs) e vinto male contro squadre più deboli o lì lì (Raiders). Insomma, “aspettatevi l’inaspettato”, no? Hanno messo in mostra un Ryan Fitzpatrick oltre ogni aspettativa e nonostante tutto lo hanno sacrificato sull’altare di Tua, secondo quelli che tutti sapevano essere i piani. Hanno dimostrato che i piani possono riuscire bene, strapagando non uno ma due cornerback e poi usandoli per mettere in campo una difesa che per un po’ ha fatto venire il mal di testa anche a Patrick Mahomes. Si sono presentati con una squadra in cui un solo giocatore aveva più di trent’anni, e ovviamente era quello col barbone e pieno di figli, e hanno fatto vedere che tutti questi ragazzi, se sono scelti bene da un bravo GM e allenati bene da un uomo che DOVEVA essere coach of the year, beh, possono ridare il sorriso anche a una fan base che da troppo tempo aspetta di tornare ad appassionarsi sul serio alla sua squadra. E quel ragazzo con la maglia numero 1, il sorriso magnetico e gli occhi attenti una volta messo in campo ha fatto vedere che c’è, ma solo a tratti, perché il primo anno è sempre il primo anno, dopo un infortunio così poi…; ma così, mentre tutti impazzivano per quello scelto subito dopo di lui, ai tifosi aqua-arancio continuava a rimanere il tarlo, perché quando aspetti il nuovo Dan Marino da più di vent’anni ad un certo punto… non sai più cosa aspettarti. Però, dopo una stagione così, in fondo, te la godi e basta e sei contento lo stesso.

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COSA HA FUNZIONATO…

Numero 1: Brian Flores. Sì, è lo stesso punto numero uno dello scorso anno, ma ci vuole. Flores ha probabilmente perso il titolo di allenatore dell’anno con la sconfitta a Buffalo, come i Dolphins hanno perso i playoffs, ma è probabile che non gli dispiaccia più di tanto. In ogni piccola molecola di questa squadra c’è il suo stampo, ed è bello pesante.
Numero 2: Ryan Fitzpatrick. Oh, e anche questo è lo stesso punto numero due dello scorso anno. Il fatto è che nessuno si aspettava che alla soglia dei 40 anni Fitzmagic raggiungesse questi livelli, né in campo né fuori dal campo, una volta ceduto il posto a Tua. Nemmeno lui, per sua stessa ammissione. Molta parte dei successi di quest’anno sono merito di Fitzpatrick, come quarterback, come mentore e come uomo di spogliatoio.
Numero 3: Deee-fense! Il modo in cui da un anno all’altro questo reparto ha cambiato faccia è stupefacente. Gli investimenti in offseason sono serviti a modellare un reparto che Brian Flores e Josh Boyer hanno creato a loro immagine e somiglianza, con la forza di Christian Wilkins e Raekwon Davis davanti, i milionari Xavien Howard e Byron Jones dietro e il collante di Kyle Van Noy e Jerome Baker in mezzo. Se Miami ha vinto dieci partite la maggioranza dei meriti va a questa difesa e al modo quasi incosciente con cui ha saputo affrontare attacchi del calibro di Kansas City e Arizona. Può di sicuro essere migliorata, ma come base di partenza ci siamo, eccome.

…E COSA NON HA FUNZIONATO

Numero 1: il running game. La buona volontà di Myles Gaskin e Salvon Ahmed è bastata solo per brevi tratti ma ai Dolphins quest’anno il ground game è mancato come il pane. Matt Breida non è mai riuscito ad incidere, DeAndre Washington, arrivato a stagione in corso, men che meno e Jordan Howard, preso in offseason, è stato addirittura rilasciato dopo poche partite, consapevoli della sua inutilità alla causa. Certo, parte del ‘demerito’ va condiviso con la OL, incapace di creare spazi, ma la questione cambia poco: Miami, se vuole aiutare il suo quarterback, deve trovare il modo di correre e quest’anno non c’è riuscita.
Numero 2: gli infortuni. Sì, lo so, non sono una scusa, capitano a tutti, ‘next man up’, eccetera. Tutto assolutamente vero. Ma quando di quello che doveva essere il tuo reparto migliore (i ricevitori) fra covid e infortuni te ne rimangono sani due e devi andare a ripescare Isaiah Ford dal marciapiede, puoi giusto fare le nozze coi fichi secchi, perché quando gli altri ti hanno marcato DeVante Parker e Mike Gesicki non è semplice trovare qualcuno libero, e se non corri e non riesci neanche a lanciare in attacco resta pochino. Quindi, quest’anno, la fortuna in questo senso non ha aiutato molto.
Numero 3: la linea offensiva. Forse è un po’ ingeneroso, perché tre rookie schierati titolari di botto, con un left tackle di 21 anni, non sono una bazzecola da digerire e qualche ‘patema’ era da mettere in preventivo. In realtà in pass protection il reparto non è andato malissimo, anche se calato col procedere della stagione, ma i problemi nel running game portano alla conclusione che c’è da migliorare. Se ciò passerà per la crescita dei tre ragazzini o per nuovi innesti è da stabilire, ma un salto in avanti serve. E se poi avete notato che i tre punti alla voce “Cosa non ha funzionato” sono tutti riferiti all’attacco (e a quello di una squadra che ha comunque vinto dieci partite), allora avete già capito dove si andrà a parare nel prossimo paragrafo.

E ADESSO?

E adesso diventa sempre più difficile. Nel percorso di crescita immaginato con il contratto di cinque anni garantito fatto a Brian Flores i Dolphins sono evidentemente più avanti rispetto al previsto, perché dopo solo due anni si sono trovati già sulla soglia dei playoffs. Il che, purtroppo, vuol dire che migliorare sarà sempre più complicato. Fortunatamente, le idee sono abbastanza chiare e le armi non mancano quindi, sempre al suono di “Expect the unexpected”, i Dolphins hanno già iniziato i lavori di ristrutturazione per affrontare il terzo anno.
Siccome ogni ristrutturazione presuppone di cambiare qualcosa del vecchio, Chris Grier ha già iniziato a fare scelte dolorose (la separazione da Ryan Fizpatrick e Kyle Van Noy su tutte) e inattese (la trade di Shaq Lawson) ma con lo scopo di migliorare la qualità del roster e, soprattutto, di posizionarsi nel migliore dei modi per il draft. Miami non ha, in questo momento, nemmeno un giocatore sopra i 30 anni in rosa ed il draft è quindi il luogo principe dove trovare i pezzi che servono. E, come lo scorso anno è stato usato per issare i muri portanti della squadra, quest’anno lo sarà per trovare i playmaker, quelli che sanno fare la differenza al momento giusto. E tutti si aspettano un occhio di riguardo per l’attacco, un po’ perché è lì che l’attuale roster ha le carenze più grosse, un po’ perché la dotazione di pick a disposizione nel draft coincide con la disponibilità di giocatori che farebbero proprio proprio proprio al caso dei Dolphins…

E poi, inutile nasconderlo, la vera differenza potrà essere fatta solo dal percorso di crescita di Tua Tagovailoa. Nella offseason si sono rincorse e continuano a rincorrersi voci continue sui Dolphins interessati ad acquisire DeShaun Watson ed a scaricare Tua, ma tutte le scelte fatte da Grier fino a questo momento vanno nella direzione opposta, che è quella di costruire, con logica e metodo, attorno alla giovane ex-stella dei Crimson Tide e di mettergli a disposizione il giusto arsenale di armi da poter sfruttare, cosa un po’ venuta a mancare lo scorso anno. A ormai più di un anno di distanza dall’infortunio che ne ha condizionato il debutto in NFL tutti si aspettano da Tua che i lampi di classe intravvistisi lo scorso anno diventino la regola, perché dal ragazzo col numero 1 venuto dalle Hawaii passano tutte le aspettative dei Miami Dolphins.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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