Le cheerleader: icona mediatica con qualche ombra

Quando ero piccolo qualsiasi film ambientato in una high school americana o nelle università avevano nella trama un comune denominatore. Se c’era un protagonista bello e popolare ecco che quasi sempre aveva una fidanzata che negli stereotipi dell’immaginazione e della trama aveva alcune caratteristiche ben definite. Era bionda, era bella anzi bellissima, era la reginetta del ballo di fine anno ed era sicuramente la leader del gruppo locale delle cheerleader. In Italia non c’era nella scuola e nello sport nulla di paragonabile.
Poi lo sport a stelle strisce in televisione è arrivato davvero e per la prima volta abbiamo potuto notare come in realtà si trattasse di un elemento fondamentale degli eventi. Un ingrediente irrinunciabile, uno spettacolo nello spettacolo.

Al giorno d’oggi in Italia il movimento è cresciuto esponenzialmente tant’è che esiste una Federazione di Cheerleading e Cheersport nata nel 2013 che si chiama Ficec alla quale le società sportive possono affiliarsi.
A Varese dal sessantesimo anniversario della Pallacanestro Varese nel 2005 ogni partita casalinga è caratterizzata dalle coreografie delle “Crazy Dolls”, a Milano il gruppo delle Comets Cheer Team propone complicate coreografie durante le partite non solo dell’Olimpia ma anche in molti eventi sportivi meneghini come la Milano City Marathon, le partite del Milan e anche il supporto agli eventi degli Harlem Globetrotters. E via dicendo in altre parti d’Italia
Noi tifosi NFL le vediamo ogni domenica sera e in questo articolo vi raccontiamo alcuni aspetti che forse non sapete su questo mondo.

È decisamente nota la polemica che investì le squadre NFL nel 2018 in merito alle regole rigidissime alle quali le cheerleader devono attenersi. I New Orleans Saints licenziarono Bailey Davis rea di aver postato una foto in lingerie su Instagram contravvenendo alle regole di condotta del team. Davis denunciò il team evidenziando le contraddizioni di regole che però permettevano di mostrarsi quasi senza veli per la realizzazione di calendari i cui proventi non arrivavano nemmeno alle dirette interessate. La polemica in quelle settimane fu mediaticamente importante.
In sostanza ogni squadra NFL redige anche per le cheerleader delle regole di buon comportamento al di fuori dello stadio. Le “TopCats” dei Panthers devono coprire ogni tatuaggio e durante la partita possono bere solo quando i Panthers sono in attacco in determinate yard, quelle dei Ravens vengono pesate regolarmente. Prima del “caso Davis” i Bengals imponevano loro un peso forma che non poteva sforare le tre libbre dal peso ideale.
Le regole sono state analizzate anni fa dal New York Times. Nell’analisi sono emerse alcune regole che definire bizzarre è dir poco. Le disposizioni includono suggerimenti per l’igiene personale, come le tecniche di rasatura e l’uso corretto degli assorbenti interni…
In alcuni casi, è vietato indossare pantaloni della tuta in pubblico.

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In tutta la NFL, le squadre cercano persino di porre ampi controlli su come le cheerleader conducono le loro vite fuori dal lavoro. Ciò include pesanti limitazioni della loro attività sui social media e anche delle persone con cui scelgono di uscire e socializzare. Restrizioni anche sullo smalto per unghie e gioielli da indossare.
Il rapporto poi con i giocatori è un tabù assoluto. Non possono nemmeno parlarsi. Le cheerleader non possono seguirli sui social e se in un locale individuano un giocatore devono obbligatoriamente allontanarsi.

Emerge fin qua un quadro tutt’altro che invitante. Quadro reso ancora più scoraggiante se si considera che a differenza dei giocatori le cheerleader non hanno un sindacato e anche a livello tributario e di retribuzione le regole non sono molto definite.
Sono facilmente sostituibili e in generale non è immediatamente individuabile un altro ambiente lavorativo così sbilanciato in termini di potere verso il datore di lavoro.
Le denunce hanno iniziato a diventare numerose e la NFL, già scottata in quel periodo dai casi di violenza domestica dei propri giocatori, ha preferito non commentare anche per non entrare in dinamiche che tecnicamente riguardano i team e le proprie modalità.
Nel 2016 tuttavia i Jets hanno fissato una regola interna volta a far ottenere più benefit e uno stipendio concordato alle loro “Flight Crew”. Le Raiderettes di casa ora a Las Vegas hanno ricevuto più di 1 milione di dollari di arretrati.
Nonostante queste inquietanti dinamiche la domanda supera enormemente l’offerta.
In ogni squadra ci sono mediamente una trentina di cheerleader scelte dopo audizioni finali che coinvolgono centinaia di candidate. I Saints propongono contratti di 4 anni passati i quali obbligatoriamente si è sostituite.

Il quadro fin qua pare essere decisamente poco invitante, tuttavia non per tutte l’esperienza di cheerleading a questo livello è stato così negativo. Flavia Berys è una ex cheerleader dei Chargers, ha scritto tanti libri su come diventare una professionista nel settore svelando i trucchi nelle audizioni.
Ora è un avvocato, ecco un suo ricordo:

Quando ero una cheerleader nella NFL ho imparato molto su come si parla e ci si relaziona con i media, ho imparato le regole del buon comportamento e della professionalità. Ci è stato insegnato a come si interagisce con lo staff, i giocatori. L’allenamento quotidiano che abbiamo avuto è stato tutto per un motivo e, guardando indietro, penso sia stato fatto per i giusti motivi.

Molto spesso i programmi di cheerleading interni alle squadre NFL sono gestiti da donne eppure nonostante esse facciano parte integrante dello spettacolo domenicale ormai dato per scontato da emittenti televisive e spettatori vige la regola che “il sesso vende” quindi si vestono in abiti succinti, spesso le pose sono provocanti e pensate per un pubblico maschile.
Per anni (emerge sempre dal rapporto prima citato) le Saintsations avevano il compito di uscire dallo stadio prima di ogni partita a vendere 20 calendari personali in bikini.

Eravamo terrorizzate, gettate nella mischia di persone che facevano apprezzamenti di ogni tipo, spesso con qualche birra di troppo bevuta.

Altre situazioni dimostrano come effettivamente il cheerleading fosse considerato come cosa di poco conto o quantomeno non meritevole di tutela da parte dei proprietari NFL.
Oltre alle già citate regole a Buffalo le Jills prima di sciogliersi a seguito di un’azione legale dovevano obbligatoriamente acquistare 50 loro calendari e rivenderli al 30% in più senza intascare un dollaro.
Il manuale consegnato alle Raiderettes includevano un’enormità di multe: 10 dollari se portavano i pon pon sbagliati o gli stivali non lucidati, se dimenticano anche solo una parte del loro vestiario automaticamente non venivano pagate, istruzioni anche su come mangiare agli eventi (“il pane si spezza con le mani e il cibo si passa alla propria destra“), le Gold Rush di San Francisco devono disattivare il GPS dei propri cellulari il giorno della partita.

Qualcosa sta cambiando. Intanto ora sono presenti anche uomini. Hanno iniziato nel 2018 i Rams e i Saints a introdurre nel corpo di ballo anche elementi maschili e suo modo anche questo è stato un evento storico. Napoleon Jinnies che fa parte del corpo di ballo dei Rams è stato il primo cheerleader uomo a ballare durante un Super Bowl (quello naturalmente tra Rams e Patriots nel 2019).
E pochi sanno che il cheerleading fu inventato nel 1898 da un uomo, tale Johnny Campbell all’università di Minnesota e pure che gli strumenti del cheerleading come i pon pon e i movimenti base dei balli anch’essi furono creati da un uomo, Lawrence Herkimmer che creò anche la ancora presente National Cheerleader Association.
Introdotte ufficialmente nel 1954 dai Baltimore Colts le cheerleader ebbero poi sempre più appeal e successo anche e in gran parte dovuto negli anni settanta quando le ragazze dei Dallas Cowboys si specializzarono sempre più in coreografie per l’epoca originali.
Attualmente in NFL 26 teams su 32 usufruiscono di questo spettacolo: Bills, Bears, Browns, Giants, Chargers e Steelers non hanno cheerleader mentre i Packers utilizzano un gruppo del locale college.
Di conseguenza il Super Bowl XLV tra Steelers e Packers è stato il primo e unico senza cheerleader.

Sono brave e sicuramente belle, per alcune di loro questo ruolo diventa un trampolino di lancio verso luminose carriere in altri settori.
Si avverte come qualcosa si stia muovendo sotto tanti punti di vista, forse la notizia di qualche giorno fa è passata via tra l’indifferenza generale, ma il Washington Football Team ha sciolto dopo cinquant’anni il proprio corpo di cheerleader a favore di una squadra di ballo mista più performante e meno legata alle modalità tradizionale e questo potrebbe cambiare per sempre la percezione del fenomeno.
Nel progetto di riposizionamento del brand del team della capitale non c’è più spazio per questa tradizione.

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Le indagini di mercato mostrano come la gente voglia qualcosa di nuovo, di diverso… di moderno. Qualcosa di ancora più atletico. un corpo di ballo in grado di eseguire trucchi e acrobazie mai viste.

Solo il tempo ci dirà se nei futuri stereotipati telefilm americani ancora ci sarà spazio per quella famosa e popolare biondina, reginetta al ballo di fine anno e ovviamente capitana delle cheerleader.

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Luca Rossi

Tifoso NFL dagli ultimi anni di Dan Marino. Tifoso Dolphins molto paziente. Settimanalmente parlo della squadra della Florida in Cool Bueno. Presento The Drive, unico gioco a quiz sullo sferoide prolato. In The Snap in 10 minuti ogni settimana racconto una storia prolata.

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