Come stanno andando i quarterback di “The Playbook”

Nella nostra guida tattica alla NFL 2020 abbiamo dedicato un intero capitolo ai giovani quarterback nell’anno “make or break”, la stagione della verità che stabilirà se le loro squadre punteranno su di loro anche in futuro. I quarterback in questione sono Mitch Trubisky, Baker Mayfield, Josh Allen e Sam Darnold. Di seguito tireremo le somme sulle indicazioni che queste prime giornate ci hanno offerto sulla stagione dei quattro QB. Prima, però, pubblicheremo un estratto del libro (che trovate da oggi in sconto su Amazon) sull’importanza della rookie quarterback contract window (RQCW), la finestra temporale che permette ai team di pagare i propri rookie QB a cifre ridotte per i primi cinque anni di contratto.

In un lega che, come abbiamo visto, è sempre più orientata verso i passaggi, avere un quarterback d’élite è un game changer, un vantaggio che rende tutto il resto del lavoro di un GM incredibilmente più sereno. Ma c’è un problema, anzi due. Primo, i quarterback d’élite, comunque si voglia definirli e classificarli, sono rari. Secondo, averne uno a roster significa doverlo pagare, e quindi sacrificare una percentuale elevata del proprio salary cap, a svantaggio della competitività del resto della squadra. La mole dei contratti dei rookie fino al 2010 contribuì a far sì che nel contratto collettivo firmato l’anno successivo comparisse il concetto di rookie wage scale: da quel momento in poi, i contratti dei rookie, dalla prima scelta agli undrafted free agents, sarebbero stati calmierati di modo da non superare certi cifre. Questa norma andava a creare uno scarto enorme tra il costo di un quarterback veterano e quello di uno nel suo rookie contract. Parliamo di 20-30 milioni, e le franchigie NFL non ci hanno messo molto a realizzare i vantaggi che questa disparità di compensazione avrebbe garantito a chi fosse riuscito a mettere le mani su un quarterback giovane e pronto da subito.

Le squadre che hanno un quarterback nel contratto rookie hanno un vantaggio incalcolabile rispetto a quelle che devono svenarsi per pagare un veterano, perché possono allestire un roster più competitivo grazie ad un salary cap molto più vasto. Se ci guardiamo indietro, molte delle squadre più dominanti degli ultimi anni hanno seguito questa strada, quella della Rookie Quarterback Contract Window, che per comodità chiameremo d’ora in poi RQCW. Sfruttando i contratti da rookie di Carson Wentz e Jared Goff, Eagles e Rams hanno rotto il protafoglio per attirare free agents e rifirmare giocatori chiave, allestendo dei roster ultra competitivi che hanno permesso a entrambe le squadre di arrivare ad un Super Bowl. Seguendo l’esempio di Rams ed Eagles, altre franchigie si sono gettate nella corsa al rookie QB pronto da subito. Il vantaggio dato dalla RQCW è talmente importante da avere di fatto eliminato l’apprendistato per i quarterback. Fino ad una decina d’anni fa, spesso i quarterback potevano contare su qualche anno di gavetta come backup prima di essere gettati nella mischia, oggi sono sempre più i ventenni chiamati al battesimo del fuoco nelle prime stagioni. La fretta di tante franchigie è comprensibile, perché gli ultimi anni sembrano suggerirci che il percorso più veloce verso un Super Bowl si sviluppi su queste tappe:

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1) Scova un buon quarterback in uscita dal college (se quello che hai trovato non ti convince, scegline un altro)
2) Affidalo ad un coaching staff in grado di farlo crescere
3) Circonda il tuo QB con quanto più talento possibile.

Semplice, no? Non proprio, perché il tempo è poco, e soprattutto perché basta che una sola delle tre componenti venga a mancare perché il progetto di all in vada in briciole. Cosa succede se il contesto è eccellente ma il quarterback si rivela un bust? O se il QB è ottimo ma il front office firma i free agent sbagliati? O se il giovane quarterback si trova a che fare con allenatori incompetenti? Succede che la finestra di quattro anni si chiude senza che la squadra si avvicini alla vittoria. Perché il giochino funzioni c’è bisogno di tutte e tre le componenti: talento di base, coaching staff e supporting cast. Nella prossima stagione saranno tanti i giovani QB chiamati alla stagione della verità per evitare la fine di Rosen. Baker Mayfield, Sam Darnold, Josh Allen e Mitch Trubisky sono solo alcuni dei signal caller che dovranno dare risposte sul campo per scampare il tritacarne che aspetta chi non conferma le aspettative. Tutti e quattro i quarterback che andremo ad analizzare hanno incontrato qualche difficoltà perché almeno uno dei tre ingredienti è venuto a mancare. In questo capitolo analizzeremo una ad una le loro situazioni, per cercare di capire chi dei quattro ha più possibilità di affermarsi.

BAKER MAYFIELD

COS’AVEVAMO DETTO SU THE PLAYBOOK

Baker era regredito tantissimo dalla prima stagione alla seconda, anche a causa di un pessimo coaching staff, incapace di cucirgli un attacco su misura. Baker aveva esasperato la sua tendenza a lasciare la tasca (soprattutto verso destra) prima del dovuto, andandosi a ingarbugliare in situazioni scomode che troppo spesso finivano con il pallone lanciato in bocca ad un difensore. L’arrivo di Kevin Stefanski prometteva un ottimo running game e la capacità di disegnare giocate da play action perfette per esaltarlo e per “proteggerlo da sé stesso”, chiamando giocate efficaci e semplici nelle letture. Il supporting cast si prospettava di ottimo livello e anche la linea offensiva dava idea di poter diventare un vantaggio anziché una zavorra.

COM’È ANDATA FINORA

Baker ha iniziato malissimo la stagione contro i Ravens, ma quello era comunque un avversario di livello troppo alto per fare da cartina tornasole dei miglioramenti. In Week 2 contro i più malleabili Bengals, si sono viste cose più interessanti. Come promesso, il running game è esploso, trascinato da Chubb e Hunt e da una linea offensiva a tratti impressionante. Sono arrivate anche le giocate da playaction, come questa bomba per OBJ.

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Baker ha ancora diversi aspetti da migliorare nella gestione della tasca e nella valutazione dei rischi. In week 3 ha flirtato pericolosamente con gli intercetti e, in generale, non ha giocato una partita pulita. Detto questo, i Browns sono comunque 2-1 e danno l’idea di poter vincere anche senza chiedere gli straordinari al proprio giovane quarterback.

COME FINIRÀ

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Inutile girarci intorno, del Baker versione 2018 ci sono ancora poche tracce. È anche vero che ogni settimana che passa permette al QB dei Browns di trovare comfort nel nuovo sistema. Verosimilmente Baker si assesterà verso metà classifica nei QB Rankings, ed è probabile che questo gli possa bastare per guadagnarsi almeno un altro anno di fiducia grazie all’attivazione della franchise tag del suo contratto.

MITCH TRUBISKY

COS’AVEVAMO DETTO SU THE PLAYBOOK

Eravamo stati categorici: l’era di Mitch Trubsiky è finita. I limiti tecnici e mentali erano troppo evidenti e gravi per venire superati nel giro di un’offseason. L’esperimento dei Bears di approfittare della RQCW era fallito miseramente, come certificato dall’innesto di Nick Foles. Era fin troppo chiaro che alle prime difficoltà Trubisky sarebbe finito a scaldare la panchina.

COM’È ANDATA FINORA

In Week 1 Trubisky ci ha quasi fregato, riscattando con un ultimo quarto fenomenale i disastrosi primi tre, dove era apparso spaesato come nel 2019.

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Sette giorni dopo ha battuto i derelitti Giants, guadagnandosi un’altra settimana da titolare. Il suo coach Matt Nagy non aspettava altro che un pretesto per toglierlo dal campo. Pretesto che è arrivato nella partita contro i Falcons. Matt Nagy si è dovuto rassegnare al solito gameplan incolore fatto di 4 verticals, curl/flat e slant/flat, gli unici schemi talmente semplici da risultare digeribili anche per Mitch. Nel terzo quarto, quando Trubisky ha lanciato un intercetto che sarebbe inaccettabile anche per il Pop Warner football, Nagy ne ha avuto abbastanza: Fuori Mitch, dentro Nick Foles. A giudicare da com’è andata a finire, tutto fa pensare che Trubisky in panchina ci resterà per un bel po’.

via GIPHY

Da una formazione insolita i Bears corrono un comunissimo mesh concept. Anziché accorgersi che Allen Robinson è liberissimo a metà campo, Trubisky non distoglie gli occhi dalla shallow cross di Jimmy Graham e finisce per lanciare un intercetto sanguinoso.

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COME FINIRÀ

Verosimilmente, quella di domenica scorsa potrebbe essere l’ultima partita di Trubisky in Orange and Navy. A meno di infortuni o catastrofi sportive, Foles terrà il posto di QB fino a fine anno, quando il contratto di Trubisky arriverà a scadenza senza che i Bears attivino la clausola per il quinto anno. A quel punto, Trubisky seguirà il destino di Marcus Mariota, un’altra seconda scelta assoluta che non ha saputo rispondere alle attese e che ha dovuto accontentarsi di un ruolo da backup.

JOSH ALLEN

COS’AVEVAMO DETTO SU THE PLAYBOOK

Dopo un’annata da rookie sicuramente sotto la media, Josh Allen ha compiuto un deciso passo avanti. Nonostante la grossa incognita rappresentata dal gioco sul profondo (oltre le 20 yard, nel 2019 Allen ha lanciato ben al di sotto la media sia nella zona destra che quella centrale del campo), il numero 17 dei Bills ha dimostrato di essere un valido passatore sul medio corto. Essenziale al suo miglioramento è stato l’arrivo di Brian Daboll come offensive coordinator. L’ex allenatore con un lungo passato ai Patriots ha installato un sistema di gioco atto a semplificare la vita ad Allen in termini di letture, e i risultati sono stati sotto gli occhi di tutti.

COM’É ANDATA FINORA

Dopo tre giornate, i Bills sono ancora imbattuti, e Josh Allen è uno dei quarterback più in forma della Lega. Al di là dei (prematuri) discorsi su di lui come un candidato MVP, è palese che Allen abbia fatto un ulteriore passo in avanti nel proprio gioco. Nel 2019, Allen era undicesimo – assieme a svariati altri QB – per completed air yards per pass attempts, statistica che, banalmente, misura la lunghezza di ogni passaggio prima che arrivi al target designato, con 3.8 yard.
In queste prime tre giornate è primo con 5.5 assieme a Russell Wilson. È anche terzo per passaggi on target, con l’83%, mentre l’anno scorso ha finito al ventesimo posto, con il 73.2%. L’aggiunta di un route runner come Stefon Diggs, con cui il rapporto sembra essere già solido, è sicuramente una manna dal cielo; allo stesso tempo, lo abbiamo visto spingere il pallone a fondo campo con una precisione finora sconosciuta.

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Qui i Bills eseguono il dagger concept, una combinazione di dig route (una traccia che converge al centro del campo, eseguita in questo caso da Dawson Knox), e una traccia lunga, una go route, con l’obiettivo di costringere la safey alta a fare una scelta. Come si vede bene in questo caso, la safety è molto aggressiva sulla in breaking route, salvo poi capire che era solo un diversivo per liberare il fondo del campo: quando se ne accorge è ormai troppo tardi. Peraltro, il pallone di Allen non è perfetto. Anziché puntare verso la endzone tende alla linea di fondo, e Gabriel Davis è bravo a ricevere tenendo i piedi in campo.

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Questo, invece, è un esempio del nuovo Josh Allen, che serve alla perfezione Beasley, partito dalla posizione di slot receiver. L’ex Cowboys corre un crosser che si interseca con quella di Diggs – partito dall’altra parte del campo. La traccia del Z receiver (che dovrebbe essere Gabriel Davis) è volta unicamente a tenere impegnata la safety alta dall’aiutare sulla traccia di Beasley. Questo è un lancio che difficilmente avremmo visto fare ad Allen la scorsa stagione: non certo perché gli manchi il braccio, ma perché è necessaria una precisione e una delicatezza nel lancio che ancora non aveva sviluppato.

COME FINIRÁ

È vero che il calendario di Buffalo non è stato impegnativo finora (Jets, Dolphins e Rams, la prima vera sfida di un certo livello), ma è altrettanto vero che nell’inizio da imbattuta della squadra allenata da Sean McDermott c’è tanto di Josh Allen. Che sia merito del sistema offensivo o dell’arrivo di Diggs poco importa: il quarterback da Wyoming ha mostrato di essere più avanti del previsto nella curva dell’apprendimento. A prescindere dal fatto che riesca a mantenere certe cifre nell’arco di sedici partite, questa è la stagione che ci potrebbe dire con più certezza che tipo di giocatore Josh Allen possa diventare.

SAM DARNOLD

COSA AVEVAMO DETTO SU THE PLAYBOOK

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Durante la stagione da rookie, Darnold ha compiuto evidenti passi in avanti, diventando un giocatore molto poco spettacolare ma piuttosto efficiente sul medio corto (slant, comeback e tracce similari). Il tutto, nonostante un supporting cast davvero di basso livello. Nella stagione da sophomore, però, I suoi miglioramenti si sono arenati, complice anche un fastidioso caso di mononucleosi che, verosimilmente, l’ha condizionato anche dopo il rientro in campo. Tutto ciò, unito ad una incostanza di fondo e ad un attacco povero di talento e di idee (Adam Gase, parliamo di te), rende veramente difficile valutare il ragazzo.

COM’É ANDATA FINORA

C’è poco da dire: finora, Darnold si sta giocando con Carson Wentz lo scettro di peggior quarterback in questa stagione. Al suo terzo anno tra i pro, l’ex giocatore di USC è addirittura regredito rispetto ai due anni precedenti. Chiaro, il discorso della povertà di talento attorno a lui e del pessimo coaching staff sono due grosse verità; altrettanto vero, però, è che Darnold non sta facendo veramente nulla per cambiare la propria condizione (come peraltro ammesso dal diretto interessato domenica scorsa dopo la gara contro Indianapolis). Letture lente, prevedibili, ricevitori aperti e mancati e un braccio molto poco sfruttato sono i suoi problemi. Darnold è ultimo in NFL (a parimerito con altri tre QB) per numero di passaggi oltre le 20 yard (7), e terzultimo per intended average air yards, cioè la media di yard percorse da ogni passaggio tentato (prima che tocchi le mani del ricevitore, però). Semplicemente un disastro.

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Questa è la prima delle due pick six commesse contro Indianapolis. È chiaro fin dall’inizio che la sua prima e unica lettura sia Cager, in alto sullo schermo, isolato contro Xavier Rhodes. Il ricevitore dei Jets non corre bene la sua traccia, una comeback, ma Darnold lo fissa per tutto il tempo dopo aver ricevuto lo snap, ed è facile per l’ex Vikings intuire che il bersaglio sarà proprio il suo marcatore.

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Altra lettura non colta. Berrios, uno dei ricevitori nel bunch a destra, corre una option route (una traccia la cui traiettoria dipende dal modo in cui si comportano i difensori: in questo caso, il giocatore vede che l’esterno del campo è libero, e ci si dirige). Una volta partita la bootleg, il ricevitore è libero, ma Darnold non lo serve, esponendosi al sack.

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Questo, invece, è una delle occasioni sprecate da Darnold in queste prime quattro giornate. Hogan corre una deep cross ed è in ottima posizione per ricevere il pallone. Darnold lancia in maniera pulita – zero pressione attorno a lui – mancando però il suo compagno.

COME FINIRÁ

Per Darnold le cose non sembrano mettersi benissimo. Detto di tutte le difficoltà che sta incontrando ad imporsi, e detto del suo rendimento mediocre, i Jets sono lanciati verso la prima scelta assoluta. Con un eventuale arrivo di un franchise quarterback come Trevor Lawrence e di un nuovo play caller al posto del disastroso Gase, Darnold verrebbe accantonato. Il serio rischio è di dover ripartire da capo altrove. Non è detto che sia un male, ma potrebbe volerci tempo.

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Alberto Cantù

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