Il Bowl delle deluse (Minnesota Vikings vs Indianapolis Colts 11-28)

Bowl delle deluse già alla seconda giornata? Sì, dopo quello che è successo all’esordio, per Indianapolis Colts e Minnesota Vikings la settimana numero 2 era già una chiave importante in vista del prosieguo della stagione.
Nella settimana inaugurale Indianapolis si era fatta sorprendere dai Jacksonville Jaguars, mentre Minnesota era stata sopraffatta pesantemente dagli arcirivali Green Bay Packers.

La vittoria 28-11 finisce nella colonna delle W dei Colts, che si rialzano. I Vikings scivolano in un baratro da cui non sarà facile rialzarsi, specie dopo aver perso per tutto il campionato anche Anthony Barr, specie con un calendario assai arduo che vede in arrivo Tennessee, Houston e Seattle. Agli infortuni paga dazio anche coach Frank Reich, che domenica ha perso subito Parris Campbell, giovane ricevitore che era in rampa di lancio e per l’annata la safety Malik Hooker.

Minnesota parte bene. Così come la settimana prima. Segna tre punti con un drive lunghissimo, in cui funziona la connessione Kirk Cousins-Adam Thielen e funziona Dalvin Cook. E tutto sembra volgere per il meglio quando anche l’altrettanto lungo drive dei Colts, in cui si infortuna Campbell, si conclude con l’intercetto in red zone di Eric Wilson.
Ma le buone notizie del pomeriggio vichingo finiscono qui. Il possesso successivo è un tre e fuori. Pure peggio fa Britton Colquitt con un punt da 36 yard che mette Philip Rivers in condizione di rifarsi immediatamente. E il 17 non si fa pregare. Due passaggini a Michael Pittman Jr e poi palla consegnata a Jonathan Taylor, leitmotiv della domenica sera (per noi italiani). E pensare che i giornalisti dei Colts temevano una domenica pomeriggio (americana) di sofferenza per le martellanti corse di Cook.
Altro tre e fuori, gialloviola, con penalità di Irv Smith, tutto fuorché convincente il tight end, e palla ai Colts. I padroni di casa non ne approfittano ma ricacciano i Vikings sulle loro “due” con una giocata di special team eccellente.

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Per la seconda settimana consecutiva cominciare un drive a ridosso della propria goal line per i Vikings si traduce in una safety. Ne escono altri tre punti per Indianapolis. Rivers non sembra ancora al meglio, eppure è più che sufficiente per affettare la burrosa difesa di Minnesota con il tight end di riserva Mo Alie-Cox. E le solite buone dosi di Taylor. 
Siamo quasi all’intervallo, il 12-3 è pronto a diventare 15-3. Indianapolis si muove come un gatto sulle uova. Minnesota è un pulcino smarrito. Dicevamo del 15-3. Con poco tempo sul cronometro Cousins deve lanciare. Ma il rapporto con Irv Smith è davvero acerbo e fioccano incompleti che finiscono per obbligare a un passaggio profondo. Intercetto. Rivers ringrazia ancora ed ecco il 15-3 che vi dicevo con un altro field goal. Va storto anche il tentativo di hail mary dell’8 gialloviola con il cronometro verso lo zero: intercettato pure questo.

Chi si aspetta un rientro dagli spogliatoi dei Vikings con la bava alla bocca resta presto deluso. Sì, i Colts vengono fermati subito ma Cousins si fa pizzicare di nuovo al secondo passaggio del secondo tempo. Nemmeno Rivers brilla, tant’è che arriva un altro FG. Basta ai Colts per prendere il largo: 18-3 e Vikings non pervenuti dopo il primo drive discreto. Indianapolis sente il sapore della vittoria. E se di fronte c’è una squadra con forse maggior talento complessivo di quei Jaguars visti da Darius Leonard e soci sette giorni prima, lo spirito con cui affronta i sessanta minuti è di tutt’altro tenore rispetto alla gang di Gardner Minshew. 
Un’altra penalità dell’ora dannoso Irv Smith, da 15 yard, condanna una promettente serie offensiva al punt. È la parola fine di una partita senza un inizio. Un’altra abbondantissima porzione di corse, un paio di passaggi degni del Rivers dei tempi belli, con il tight end Alie-Cox in mostra, ed ecco che se ne vanno più di sei minuti e arriva il 25-3 su ricezione di Zach Pascal. Game set and match.
Il quarto periodo è garbage time, con un altro field goal a fare 28-3 prima della segnatura di Cook che non addolcisce l’amara pillola per i Vikings.

Indianapolis si rimette sulla retta via anche se sono macigni gli infortuni del WR Parris Campbell, temporaneo, e della safety Hooker, per tutta la stagione. Già il capitolo infortuni era scritto fitto fitto nell’Indiana. Le buone notizie però non mancano: per la prima volta dall’ottobre 2010, quando a Washington Joseph Addai corse 128 yard e Pierre Garcon ricevette per 103, i Colts hanno avuto un running back e un ricevitore (il tight end Alie-Cox) con più di 100 yard nella stessa domenica. Soprattutto Jonathan Taylor ha dimostrato di potersi caricare sulle spalle l’attacco. Ecco spiegato perché è stato scelto al secondo giro nonostante Marlon Mack (ko per il tendine d’Achille alla prima giornata), Nyheim Hines e Jordan Wilkins fossero già a roster. Era dal 2012, poi, che un rookie dei Colts non superava le 100 yard. Allora fu Vick Ballard. In tema di numeri, Rivers agguanta Fran Tarkenton (caso vuole, una leggenda proprio dei Vikings) al nono posto della storia per vittorie (124) per un quarterback.
Coach Reich sorride anche per la buona prestazione difensiva, parzialmente aiutata dall’inettitudine e dalla prevedibilità dell’attacco vichingo.

Ecco in chiave Vikings i problemi non si contano. Che la difesa avrebbe sofferto era scritto nella roccia sin da aprile. A Indianapolis ha contenuto un minimo i danni costringendo i Colts a parecchi field goal. E si è intravisto un po’ di Yannick Ngakoue. I 28 punti sul groppone restano troppi, però. 
Chi non ci si aspettava potesse deludere così clamorosamente è l’attacco. Kirk Cousins con 15,9 di rating ha toccato il punto più basso della sua carriera, secondo più basso di sempre dei Vikings (peggio, con almeno 15 tentativi, solo Brad Johnson, 10,3 contro i Bears nel 2006). Dal 2010 ad oggi appena in 4 hanno fatto peggio di Cousins: Andy Dalton (2.0 nel 2014), Sam Darnold (3.5 nel 2019) e Brandon Weeden (5.1 nel 2012).
L’atteggiamento della truppa è l’aspetto che più dovrebbe preoccupare coach Mike Zimmer. Persi Everson Griffen e Stefon Diggs, sembra che Minnesota non abbia più leader emotivi in grado di trascinarla. Ne risente anche l’esecuzione dei giochi, spesso tutt’altro che impeccabile. Non aiuta un football ultra prevedibile come quello impostato da Gary Kubiak. Senza una scintilla la stagione dei Vikings rischia di precipitare.

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