Il dominio silenzioso di Julio

Nessuna posizione nel football è più basata sull’ego di quella di Wide Receiver, i cui interpreti spesso sono gli atleti più spettacolari, più in vista e, per questo, pieni di sé fino a scoppiare. Nelle ultime settimane ne abbiamo avuta l’ennesima riprova prima grazie a Michael Thomas e ai suoi litigi da terza elementare con Davante Parker, poi con le dichiarazioni di DeAndre Hopkins, che ad ESPN ha affermato di essere il più forte, aggiungendo che se avesse avuto quarterback capaci d’intendere e di volere, avrebbe surclassato in qualunque statistica lo stesso Thomas e Julio Jones.

In tutto questo trambusto, l’unico a non aver detto niente è proprio Julio, che per queste discussioni ha sempre mostrato un disinteresse comprensibile alla luce della massima di Tywin Lannister: «Any man who must sayI am the king, is no true king». Ogni uomo che deve dire “sono il re”, non è un vero re.
Non sappiamo se Julio abbia sentito queste dichiarazioni, di sicuro non le ha commentate pubblicamente, restando fedele al suo mantra “Talking ain’t got nobody anything, actions always have”.

Julio Jones non parla quasi mai, né di sé ne dei suoi colleghi, ed è incredibile che uno dei più grandi giocatori della sua generazione sia così schivo, che una superstar del suo calibro sia allergica alla luce dei riflettori al punto che, in un’epoca nella quale anche il long snapper dei Bengals cerca di brandizzarsi, la sua presenza sui social network è inversamente proporzionale a quella sul tabellino.

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Dal 2011 ad oggi Jones ha molti più touchdown segnati (57) che post (24) sul suo profilo Instagram.
Julio è talmente fuori dal mondo che spesso da febbraio a settembre ci dimentichiamo della sua presenza, prima che il campo torni a parlare per lui.
Del resto la cosa a lui sta benissimo, non gli interessa né parlare di sé né far parlare di sé, e questo lo rende una sorta di mosca bianca in un mondo di OBJ e Antonio Brown.

Julio è talmente ermetico che, per capirlo, bisogna affidarsi ai racconti di chi lo ha conosciuto e lo ha visto diventare una leggenda in Alabama, come ha fatto Ben Baskin in questo pezzo su Sports Illustrated che raccoglie aneddoti quasi folkloristici sui suoi exploit collegiali, storie che in assenza di filmati si fa fatica a credere se non fosse che qualcosa di vero c’è, visto che Julio a 16 anni si trovava orde di padri di famiglia che gli chiedevano un autografo sulla fronte.

Da quando Julio è in NFL sappiamo che la gente di Foley diceva il vero, ma anche ora che le sue giocate sono riprese in HD da tutte le inquadrature possibili c’è una dimensione del suo dominio che rimane impossibile da catturare anche per gli obiettivi più sensibili, che si perde anche nel grado di separazione ormai minimo tra campo e TV. Per afferrarla, bisogna affidarsi alle parole di chi quel dominio è costretto a subirlo e a contrastarlo ogni domenica.

gerarld mccoy jones

Abbiamo qualche mutante in questa lega, non è possibile che siano nati da un altro essere umano. Julio Jones è uno di quei mutanti.
Gerald McCoy

Quando un giocatore NFL parla di Julio Jones, quasi sempre il primo riferimento è alla perfezione, al mix di tratti fisiometrici (100 chili per 193 centimetri), tecnici e atletici che sembrano dosati col misurino per renderlo il ricevitore perfetto o, per usare le parole di Doug Baldwin, «un uomo tra gli uomini». Tanti suoi avversari non sono nemmeno troppo sicuri che Julio sia un uomo come gli altri: Mike Daniels ipotizza che è stato creato in un laboratorio, Gerald McCoy aggiunge che per lui Julio è uscito da un uovo.

julio jones week 12

Detto molto semplicemente, Julio Jones è tra i 2-3 ricevitori più completi della storia della NFL, e la sua mancanza di punti deboli è quasi demoralizzante per chi deve provare a fermarlo. Per questo negli anni Malcolm Jenkins ha imparato ad accettare la superiorità di Julio con serena rassegnazione: «a volte devi accettare che c’è qualcuno più benedetto [dal talento] di te».

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Burnett Dix Jones

Intervistatore: Julio Jones… cosa lo rende uno dei migliori giocatori della lega?
Clinton-Dix: *ride*… cosa c’è da dire, perché stiamo parlando di lui?

Burnett:  Non si può descrivere a parole
Clinton-Dix: *esita* Non ho niente da dire, è una bestia

Davanti a Julio solo qualche veterano navigato come Jenkins riesce a mantenere un minimo di serenità. La sensazione più comune è la paura al cospetto di quello che Glover Quin ha definito «un mostro». Quinn dettaglia il suo primo, traumatico incontro con Jones, avvenuto a Londra nel 2014:

quin jones

Siamo a Londra, Julio riceve uno screen, riesco a forzarlo verso la sideline e a quel punto mi tira uno stiff arm […] ho pensato “holy shit that what scary” […] è stato che se mi  fosse arrivato addosso un treno […] ho lasciato quella partita pensando “woah”».

I cornerback della NFC South avrebbero tutte le ragioni per istituire una class action per molestie sul posto di lavoro. Julio ne ha traumatizzati parecchi, come il povero Ryan Smith dei Buccaneers, bersaglio principale della furia di Jones in una partita da 12 ricezioni per 253 yard  in week 12 della stagione 2017.

Nel 2016, quando Julio massacrò la secondaria dei Panthers per 300 yard, James Bradberry era un rookie alla quarta partita in carriera. Bradberry ebbe un assaggio del trattamento di Julio prima di infortunarsi e assistere dalla sideline mentre i suoi compagni di reparto concedevano la sesta miglior prestazione per un ricevitore nella storia NFL.

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Mesi dopo quel monster game, il povero Bradberry disse ad un compagno «quella notte [dopo la partita] non sono riuscito a chiudere occhio».
La paura spesso è un sentimento irrazionale o ingiustificato. Per un rookie alle prese con Julio, invece, è spesso l’unica risposta concepibile.

hill jones

È tipo me, ma alto 1.90, è una bestia, bisogna ammetterlo.
Tyreek Hill

Del resto come si può non aver paura di un Tyreek Hill sovradimensionato? Di uno che a 100 chili e con un piede fratturato ha corso una 40 yard dash giusto un pelo più lenta di quella di Desean Jackson?
Nonostante il suo tonnellaggio Julio è una deep treath fatta e finita, di un livello leggermente inferiore ad altri alieni come Calvin Johnson o Randy Moss ma comunque più che sufficiente per terrorizzare qualunque difensore, che ha l’impressione – raccontata da Jenkins – di dover rincorrere un cavallo imbizzarrito.
Il problema gigantesco per gli avversari è che, oltre a correre più veloce di loro, nel 90% dei casi Julio è anche più fisico e feroce al catch point, e questo gli permette di giocare a bully ball quando il pallone è in aria.

Per quanto possa sembrare controintuitivo, la velocità di Julio si apprezza di più non sulle ricezioni profonde, ma su quelle corte che diventano touchdown di 50-60 yard, vedasi quello contro i Packers nel NFCG del 2017. Lì si vede quello che il suo compagno Kemal Ishamel ha ammirato centinaia di volte in allenamento, ovvero un giocatore che ha «tre marce diverse di velocità» e la capacità di scalarle a piacimento. Il soprannome “Jet” da questo punto di vista è perfetto: avete presente quel momento, poco prima del decollo, in cui l’aereo accelera e ti schiaccia contro lo schienale? Quando Julio ingrana l’ultima delle sue tre marce, la sensazione è esattamente la stessa.

butler jones

«Se dovessi creare un ricevitore a Madden, sarebbe molto simile a Julio […] 1.93 per 100 e passa chili, veloce 4.3, sa ricevere il pallone in aria e fare grandi ricezioni e allo stesso tempo sa muoversi come un ricevitore più piccolo, quasi come Antonio Brown»
Darius Butler

Il motivo per cui è così difficile da contenere, e quello per cui Darius Butler lo ha definito un bug in stile Madden, è che Julio unisce un fisico da centometrista ad un route running immacolato che gli permette di correre tutte i rami dell’albero delle tracce.

Il route running di Julio segue un principio molto semplice: “Everything is vertical untili it’s not”, ogni traccia è verticale fino a che non lo è più. In questo modo gioca con la paura del cornerback di farsi battere profondo per manipolarlo e guadagnare separazione in tutte le zone del campo. Il risultato, dice Xavier Rhodes, è che «il problema di Julio è che non sai mai cos’aspettarti». Josh Norman, ha detto che per contenere Julio «devi diventare uno 007, devi sapere quello che stai facendo, devi conoscerlo perfettamente, e poi devi giocare come un assassino».

Nessuno lo ha spiegato meglio di un cultore del route running come Doug Baldwin.

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«Julio è imprevedibile perché non cambia il suo linguaggio del corpo. Durante una conversazione se tu mi dici qualcosa e io alzo il sopracciglio tu allora pensi di aver detto qualcosa di sbagliato […] stessa cosa con il linguaggio del corpo in campo: se inizio a rallentare o alzo il mio corpo il difensore capisce che qualcosa sta per succedere. Con Julio no, lui arriva al massimo della velocità e non sai se cambierà direzione o ridurrà la velocità […] per me è arte in movimento e non c’è niente che il difensore possa farci.»

Keanu Neal aggiunge che quello che separa Jones è il «saper chiudere la traccia senza decelerare minimamente», le sue tracce sono inconfondibilmente violente perché Julio cambia direzione alla massima velocità, come se prendesse un tornante senza mai staccare il piede dal gas, ed è l’unico a riuscirci. Non a caso Julio ha una traccia che è una sorta di Movimento Cassina. Si chiama Blaze Route, anche se spesso la si chiama Julio Route proprio perché Jones è l’unico in grado di effettuare la transizione dall’interno all’esterno in un unico movimento.

[clear]

Giocare contro Julio può rivelarsi un’esperienza terrificante, ma se il suo modo di giocare spesso scatena paura, il suo modo di approcciare il gioco gli è valso un rispetto incondizionato.

kuechly

A Foley si racconta ancora di quando Julio schiacciò in testa a DeMarcus Cousins. Mentre tutto lo stadio impazziva e gli arbitri erano costretti a sospendere l’incontro per invasione di campo, Julio impassibile era già tornato nella sua metà campo, pronto a difendere, come se avesse appoggiato al tabellone e non posterizzato un futuro all star in NBA.

Anni dopo, il suo atteggiamento da anti-divo gli è valso l’ammirazione di tutti i colleghi. Morgan Burnett rispetta il fatto che «Julio è tranquillo per tutta la partita, non dice niente. Entra in campo, fa il suo lavoro, poi ti stringe la mano, esce dal campo e passa al prossimo avversario». Per questo Luke Kuechly, che pure da Julio si è preso l’umiliazione più grande della sua carriera – ha affermato che Julio interpreta il gioco “the right way”, nel modo giusto.

Jackson

Ogni tanto l’ammirazione diventa ossessione, come nel caso di Josh Norman, che per prepararsi agli scontri con Julio ricorreva ad una sorta di metodo Stanislavskij per cornerback: Norman guardava decine di ore di filmati, ascoltava la musica che Julio ascolta per caricarsi nel prepartita, voleva immedesimarsi fino a diventare Julio per prepararsi a quella che chiamava «la dolce sensazione della morte senza morire».
Per Norman ogni Falcons-Panthers era una sorta di libidine sportiva che non ha provato contro nessun altro wide receiver, «la più dolce sensazione in battaglia per me è Julio Jones, mi costringe ad un livello in cui mi sento Super Sayan».

Non è tanto il livello tecnico esagerato, quanto il fatto che persino nel climax di questa battaglia Norman sapeva che non si sarebbe mai usciti da una sorta di etichetta cavalleresca: «quando gioco contro OBJ (i due si sono quasi ammazzati a vicenda nel 2015) cerco solo di sopravvivere ed evitare che quello faccia qualche stronzata […] con Julio so che non devo preoccuparmi di un colpo basso o di una scorrettezza, sto crescendo nel gioco […] non ci parliamo, non litighiamo. Il nostro gioco è il nostro parlare».

Norman non è l’unico ad ammirare questo lato di Julio.  Anche Richard Sherman, uno che sarebbe capace di fare trash talking anche ad un manichino, non ha nient’altro che rispetto per Julio e il suo modo di giocare: «ogni volta che ci incrociamo è uno scontro epico […] anche chi gli da il massimo del credito non gliene sta dando abbastanza».

RIDLEY

«Julio mi allena su qualunque cosa, anche se la faccio bene mi dice “potevi farla meglio”, è come avere un altro coach in campo, continua a guardare quello che facciamo tutti per aiutarci a migliorare.»
Calvin Ridley

L’errore da evitare è prendere il silenzio di Julio per insicurezza o modestia. Come qualunque ricevitore d’élite, Jones è profondamente convinto di essere il più forte di tutti e che non ci sia un cornerback al mondo capace di fermarlo. Eppure, nel suo ritenersi il numero uno non c’è traccia della spocchia narcisistica di altri suoi colleghi, che dietro l’arroganza, il trash talk e lo showboating spesso nascondono un ego tanto grande quanto fragile (hey AB), bulimico di catch e statistiche e per questo incapace di tollera sia le critiche (salve Coach Tomlin) sia qualunque tipo di competizione interna alla squadra (Juju Smith-Schuster has entered the chat).

Julio declina la sua self confidence nel fregarsene «di quelle stronzate», tipo se Michael Thomas ha cento ricezioni in più di lui, se Nuk dice di essergli superiore, se Patrick Peterson promette di cancellarlo dal campo, se Matt Ryan non gli lancia quindici target a partita.

L’unica cosa che gli interessa è aiutare la sua squadra a vincere, e non si tratta del solito cliché, perché nessuno lo ha mai sentito lamentarsi del suo numero di target, nemmeno nel corso di una striscia di 10 partite senza un touchdown, nemmeno quando la sua squadra si è squagliata a 17.12 minuti dalla gloria, vanificando un catch che avrebbe dovuto scrivere la storia del Super Bowl.

Tutti però dicono quanto ci tenga a fare da mentore e leader del reparto ricevitori e dell’intera squadra. Per un WR di quel livello questo atteggiamento altruista mostrato dalla posizione più individualista del football è più impressionante di qualunque record di produzione in campo.

La grandezza di Julio va oltre un talento da first ballot Hall of Famer ed è cristallizzata in una singola frase, una delle poche d’impatto mai regalate alle telecamere. Una frase che andrebbe apposta sotto il suo busto a Canton e che, secondo chi scrive, separa Julio Jones in cima ad una classifica che non si può misurare: «When you’re great, you bring other people with you». È grande chi sa elevare le altre persone.

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Alberto Cantù

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