Black Lives Matter – Il piccolo passo dell’elefante NFL

Premessa: sono un uomo bianco nato e cresciuto in Italia, che non è mai stato negli USA neanche in vacanza, e non ho quindi la pretesa di sapere cosa significhi essere un afro-americano. Sono però una persona che ama leggere, informarsi, ragionare e gli avvenimenti di questi ultimi giorni sono stati l’ennesimo stimolo per osservare la complessità della società americana.

Abbiamo probabilmente visto tutti il video di George Floyd, steso a terra con un poliziotto che gli teneva un ginocchio sul collo impedendogli di respirare. La morte di Floyd per le complicazioni causate da questo trattamento è stata la miccia che ha fatto esplodere le proteste in tutto il paese. Migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro la brutalità della polizia e contro il razzismo più in generale.

Centinaia di sportivi hanno utilizzato le piattaforme social personali per comunicare il proprio sgomento per l’accaduto, per chiedere riforme sociali e per chiedere che i poliziotti responsabili di quella e di altre violenze non necessarie venissero adeguatamente puniti.

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Unnecessary roughness

I defensive back degli anni 60 e 70 erano famosi per picchiare duro anche quando non c’era necessità, anche quando l’avversario era indifeso. L’idea di base era “questa è la mia zona, se passi di qui ne pagherai le conseguenze fisicamente”; i ricevitori e i running back avversari dovevano avere paura, prima ancora che l’azione iniziasse, dovevano entrare in campo con le gambe molli… e la difesa avrebbe avuto un vantaggio psicologico importante che avrebbe favorito la conquista della vittoria.

Unnecessary roughness. Uso questa analogia con una penalità del football per introdurre un argomento certamente difficile da affrontare, perché credo che, di fondo, il ragionamento di base sia simile. Essere un poliziotto non deve essere semplice, la propria vita sempre a rischio. Sottovaluti un sospettato e questi ti può sopraffare, abbassi la guardia, sei un po’ lento di riflessi e rischi la tua incolumità o quella di un tuo collega. A volte la scelta, sbagliata ad osservare dal proprio comodo divano, è quella di usare una violenza maggiore di quella strettamente necessaria, incutere timore, spingere l’adagio “prevenire è meglio che curare” fino ai limiti… ed oltre.

Police brutality

Quando ho visto il video dell’arresto di George Floyd e i tanti altri video che negli ultimi anni hanno messo in evidenza la brutalità di certi esponenti delle forze dell’ordine la mia prima reazione è stata di incredulità. Mi sono chiesto se fosse la sensazione di essere al di sopra della legge a fa sì che questi poliziotti si sentissero liberi di usare tanta violenza non necessaria nonostante fossero inquadrati dalle telecamere dei cellulari delle persone che stavano assistendo sgomenti alla scena. E’ il senso di impunità che ha portato quel poliziotto a tenere il ginocchio sul collo di un uomo steso per terra e inerme? E’ stato il senso di impunità a portare i suoi colleghi a non intervenire nonostante Floyd stesse implorando aiuto perché non respirava?

E’ su questo che gli esponenti della società civile, indipendentemente dal colore della propria pelle, chiedono di intervenire: punire i responsabili di atti di violenza non necessaria.

Certamente negli anni abbiamo visto tanti video ed abbiamo letto di tanti casi di pestaggi non necessari o di uccisioni di persone di colore da parte della polizia. Razzismo? Sicuramente anche il razzismo gioca un ruolo importante.

Dei tanti messaggi che gli sportivi hanno pubblicato sui propri social, quello che più si avvicina al mio pensiero è stato quello dell’ex DB dei Raiders e Packers Charles Woodson.

https://www.instagram.com/p/CA9xs1AAYnC/

Woodson nel suo discorso tocca un punto importante:

“Ci saranno persone che commenteranno questo post dicendo ‘la polizia uccide più bianchi che neri’. Davvero? Io non ho evidenza di questo. Ma se è così dovete chiamare i network e dovete riportare quello che accade nella vostra comunità. Perché io non lo vedo. Non ho visto un uomo bianco con un ginocchio sul collo per 10 minuti fino a che non è morto per mano della polizia con tutto il mondo testimone. Non lo ho visto. E aggiungo, se la polizia sta uccidendo più bianchi che neri voi dovreste essere più infuriati di quanto lo siamo noi. E se lo siete, se sta accadendo questo, siete i benvenuti per lottare insieme a noi”.

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La bandiera, una benda sugli occhi degli americani

L’argomento non è certamente una novità. Non era forse la protesta per le brutalità della polizia che aveva portato l’ex QB dei 49ers Colin Kaepernick ad inginocchiarsi durante l’inno nazionale prima delle partite?

Kaepernick, ed in seguito altri giocatori della NFL, volevano lanciare un messaggio, attirare l’attenzione su un problema sociale, ma per le persone che non volevano vedere, per le persone che preferivano guardare il dito anziché la luna che quel dito indicava, questi giocatori stavano mancando di rispetto all’inno, alla bandiera, ai soldati.

Questa falsa convinzione è stata urlata talmente tanto che nel 2017 un più ampio gruppo di giocatori si è sentito in dovere di unirsi e di mandare un messaggio alla politica e alla società americana. Tanti giocatori, neri e bianchi, si sono inginocchiati o hanno unito le loro braccia a formare una catena umana. Ma il messaggio è caduto nel vuoto, anche perché la NFL stessa remava contro i propri giocatori.

Onorare la bandiera, le truppe, l’inno… una comoda benda per non affrontare il discorso più complesso, per non rischiare di trovarsi in una situazione scomoda, per non rischiare di perdere introiti.

Il mondo è cambiato in tutti questi anni? Probabilmente no.

Subito dopo la morte di Floyd, Yahoo Finance ha pubblicato una video intervista al QB dei New Orleans Saints Drew Brees.

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L’intervistatore cita le proteste di Kaepernick di qualche anno prima e sottolinea che erano contro le brutalità della polizia e chiede “Molta gente prevede che vedremo i giocatori inginocchiarsi di nuovo. Come pensi che la NFL risponderà a questo e quali pensi siano le tue responsabilità come leader in un momento come questo?”. Con il mondo scosso dagli avvenimenti e dalla violenza mostrata in video, ci si sarebbe aspettata una presa di posizione sull’argomento da parte di Brees, invece il pensiero del QB corre subito alla bandiera: “Non sarò mai d’accordo con chiunque manchi di rispetto alla bandiera degli Stati Uniti d’America o al nostro paese”. Per il minuto che segue Brees parla di sé stesso e delle sensazioni che lui prova durante l’inno, sviando coscientemente o meno l’attenzione dal problema.

Sia chiaro, Brees può legittimamente ritenere che il momento dell’inno non sia quello adatto a mandare un messaggio di protesta, ma in questa intervista mostra una miopia preoccupante e fa un assist a chi ha tutti gli interessi a non affrontare la vera ragione delle proteste.

A seguito delle polemiche che hanno seguito questa intervista, degli attacchi ricevuti anche da diversi compagni di squadra, Brees ha pubblicato un messaggio di scuse su Instagram, seguito anche da un messaggio video dopo che le scuse del messaggio precedente erano state da tanti accolte come il lavoro del team di pubbliche relazioni del QB.

Le scuse di Brees non erano state accolte favorevolmente dal presidente Donald Trump, da sempre grande megafono per il messaggio distorto “chi si inginocchia manca di rispetto alla bandiera”

La risposta al POTUS da parte di Brees è un altro chiaro esempio di come sia radicata la stortura.

“Non possiamo più usare la bandiera per far voltare le spalle alla gente e distogliere l’attenzione dai problemi reali che le nostre comunità nere stanno affrontando”.

Perché Brees, in passato era invece lecito usare la bandiera come benda da mettere davanti agli occhi?

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L’elefante NFL

Dopo l’omicidio di Floyd, la NFL ha pubblicato un comunicato del suo Commissioner Roger Goodell che è stato accolto freddamente dalla maggior parte dei giocatori neri, che sono la grande maggioranza dei giocatori NFL. Goodell si diceva dispiaciuto per la morte di un uomo nero disarmato per mano di un poliziotto bianco, estendeva le sue condoglianze alla famiglia di Floyd e a quella di altri morti recenti come Breonna Taylor e Ahmaud Arbery e comunicava l’impegno della lega ad affrontare i problemi del sistema insieme ai giocatori, alle squadre e ai partner commerciali.

Nessun riferimento diretto al razzismo, né alla brutalità dimostrata in tante occasioni dalla polizia, né tantomeno una ammissione di responsabilità nell’aver contribuito a zittire le proteste dei giocatori negli anni passati.

Il comunicato era necessario, non si poteva soprassedere, ma a quanto riportano testimoni diretti che lavorano per la NFL nel campo dei social media, la lega era già pronta a voltare pagina e a riprendere la pubblicazione di highlight e notizie sul football.

Il sito di informazione The Athletic è a pagamento (parere personale, vale ogni centesimo speso) e quindi molti di voi non avranno la possibilità di leggere il resoconto scritto da Jourdan Rodrigue e Lindsay Jones. Rielaborerò per voi i passaggi più importanti.

A quanto riporta l’articolo, molti degli impiegati della NFL che lavorano nel campo dei social media e della creazione di contenuti della lega erano insoddisfatti del contenuto del comunicato diffuso e della mancanza di impegno concreto della NFL nel seguire le proteste, che vedevano partecipare anche tanti giocatori. Questi impiegati avevano iniziato a tenere delle riunioni virtuali, in cui esternare le proprie perplessità.

Uno di questi impiegati, il content creator Bryndon Minter, pur consapevole di mettere a rischio il suo posto di lavoro, ha deciso di attivarsi per aiutare i giocatori a mettere pressione sulla lega. Insieme al WR dei New Orleans Saints Michael Thomas, uno dei più attivi critici della passività della lega, Minter ha iniziato a buttar giù delle idee su un messaggio forte da parte dei giocatori. Thomas non ha avuto difficoltà a convincere tanti colleghi a partecipare alla realizzazione: Tyrann Mathieu e Patrick Mahomes dei Chiefs, Saquon Barkley dei Giants, Odell Beckham Jr. dei Browns, e tante altre star.
Il messaggio, pubblicato sui profili social dei giocatori, è stato forte e diretto.

“Sono passati 10 giorni da quando George Floyd è stato ammazzato in maniera brutale . Quante volte dovremo chiedervi di ascoltare i vostri giocatori? A cosa dovremo arrivare? Che uno di noi sia ucciso dalla brutalità della polizia? E se fossi io George Floyd?

 “Io sono George Floyd. Io sono Breonna Taylor. Io sono Ahmaud Arbery. Io sono Eric Garner. Io sono Laquan McDonald. Io sono Tamir Rice. Io sono Trayvon Martin. Io sono Walter Scott. Io sono Michael Brown Jr.. Io sono Samuel DuBose. Io sono Frank Smart. Io sono Phillip White. Io sono Jordan Baker.

 “Non ci faremo ridurre al silenzio. Noi affermiamo il nostro diritto a protestare in maniera pacifica. Non dovrebbe servire così tanto tempo per ammetterlo. Per cui, a nome della National Football League, questo è ciò che noi, i giocatori, vorremmo sentirvi dire: Noi, la National Football League, condanniamo il razzismo e l’oppressione sistematica dei neri. Noi, la National Football League, ammettiamo di esserci sbagliati nell’impedire ai nostri giocatori di protestare in maniera pacifica. Noi, la National Football League,crediamo che le vite dei neri contino (Black Lives Matter)”

La lega è stata messa alle strette, è stata sfidata sul campo mediatico a reagire, e Goodell non si è potuto tirare indietro. Qualche giorno dopo la pubblicazione del video dei giocatori il Commissioner ha registrato, dal suo seminterrato, un video di risposta che non poteva che citare alla lettera le richieste fatte da Thomas e compagni.

“E’ stato un periodo difficile per il nostro paese, in particolare per i neri nel nostro paese. Per prima cosa voglio estendere le mie condoglianze alle famiglie di George Floyd, di Breonna Taylor, di Ahmaud Arbery e di tutte le famiglie che hanno dovuto subire gli effetti della brutalità della polizia.

 “Noi, la National Football League, condanniamo il razzismo e l’oppressione sistematica dei neri. Noi, la National Football League, ammettiamo di esserci sbagliati nel non ascoltare prima i nostri giocatori e non averli incoraggiati a parlare e protestare pacificamente. Noi, la National Football League,crediamo che le vite dei neri contino.

 “Io, personalmente, protesto con voi e voglio essere parte del necessario cambiamento in questo paese. Senza i giocatori neri non ci sarebbe la National Football League e le proteste in tutto il paese sono il frutto di secoli di silenzio, ingiustizia e oppressione su giocatori neri, allenatori, tifosi e membri dello staff. Noi ascoltiamo, io ascolto, e mi metterò in contatto con i giocatori che hanno alzato le proprie voci e con altri per capire come possiamo migliorare e procedere.per creare una migliore e più unita famiglia NFL.”

E’ solo un piccolo passo per l’elefante NFL. Quando e se inizierà la stagione NFL si scopriranno maggiormente le carte e si capirà da quale parte tenderà l’ago della bussola della lega. Non sarà facile trovare delle soluzioni, ma se una enorme piattaforma come la National Football League sarà disposta a mettersi in gioco per convogliare un messaggio di giustizia sociale e di cambiamento, se riuscirà a rendere chiaro al pubblico bianco che nessuno intende mancare di rispetto alla bandiera o all’inno, se riuscirà a puntare i riflettori sui veri problemi che affliggono quel grande e complesso paese, allora forse ci sarà uno spiraglio per il cambiamento.

Questa notte Donald Trump non ha fatto mancare la sua furiosa risposta alle dichiarazioni di Goodell con una domanda ovviamente retorica.

Vedremo se questa domanda cadrà nel vuoto o se ci sarà una risposta da parte della NFL.

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Mako Mameli

Appassionato di football americano fin dall'infanzia, gioisce e soprattutto soffre con i suoi Raiders e aspetta pazientemente che la squadra torni a regalargli qualche soddisfazione, convinto che sarà ancora in vita quando Mark Davis solleverà il quarto Lombardi Trophy. Nel tempo libero gioca a flag football e mette in pratica gli insegnamenti di Al Davis lanciando lungo ad ogni down... peccato che abbia una percentuale di completi peggiore di quella di JaMarcus Russell.

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