Area 54: Bears, QB Competition vince il compromesso

Stessa spiaggia, stesso mare. Un anno dopo.

La spiaggia è quella del Michigan Lake e le sue acque sono sempre molto fredde. Piatte ma gelide, anche d’estate. Un pò come la post-season dei Chicago Bears, che manca di quella fiammata capace di accendere le speranze dei tifosi, fiduciosi ed allo stesso tempo perplessi. La presa di consapevolezza in casa Bears dopo il record di 8-8 che ha ridimensionato gli entusiasmi post 12-4 del 2018 è evidente, l’ambiente ha fiducia nei propri mezzi ma ha capito che la difesa non può fare tutto. Nemmeno con l’innesto di un super edge come Robert Quinn. Dodici mesi indietro la competition era sui calci dei kicker, oggi è sui QB, ed è molto più sensata.

Le verità su Draft emergeranno a stagione in corso se non oltre, meglio non fantasticare troppo su giovani ragazzi appena usciti dal college sebbene le aspettative siano ottimistiche. Le altre verità, quelle per cui non serve scavare a fondo nelle indagini, sono uscite dal campo trascinandosi dietro delusioni e rinunce. Sono rimasti in pochi a credere che Mitchell Trubisky possa infatti ritrovare il ritmo e le gambe, perchè dopo tre anni quello che doveva essere, è già stato. Mahomes docet.

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Inutile girarci intorno, il pick è stato sbagliato clamorosamente e senza un Super Bowl in tasca nessuno cambierà idea riguardo Mr. Second Pick overall. Cosa che con ogni probabilità, se dovesse succedere, sarà lontano dall’Illinois!

L’aggravante è quella che Trubisky non è il QB di Matt Nagy, il coach ci ha provato, ha avuto il suo momento sì, figlio della novità e di quell’ondata anomala di prepotenza e appetito giunta con Khalil Mack sulla sua cresta, ma alla fine il castello di carte è crollato e i più scettici hanno addirittura parlato del pick di Trubisky come un dispetto architettato da coach John Fox. Caffè, amaro (in tutti i sensi), e conto. Tutto indigesto.

E poi spunta Nick Foles, come uno di quei pirati mezza leggenda e mezzo fantasma che a scadenza appaiono tra la foschia dei mari. Non certo una costante, ma un fascinoso pensiero di gloria che a Chicago trova senso nella costruzione della sua trade: ci sono infatti più motivi che si interconnettono nella scelta di Foles, e non sono esclusivamente legati alla possibilità di svincolarlo senza incidere sul cap futuro alla fine della prossima stagione.

La prima ragione porta il nome di Bill Lazor, nuovo coordinatore offensivo di Chicago che nel 2013 lavorava al fianco di Nick Foles nei panni di QB coach. Risultato: 27 Touchdown lanciati e solo 2 intercetti!

Poi abbiamo John DeFilippo, attualmente QB coach dei Bears, stesso allenatore dei Quarterback Eagles nel 2017 quando Nick Foles partì da backup per poi terminare la sua stagione da MVP del Super Bowl.

Infine il ritorno alle origini che chiude il cerchio, Matt Nagy, oggi capo allenatore di Chicago, ma nel 2012 Offensive Quality Control Coach quando Nick Foles era un rookie a Philadelphia, anno 2012.

Le scelte degli allenatori, ad eccezione di Nagy, sono state fatte con un senso piuttosto chiaro nella costruzione del nuovo sistema offensivo della Windy City, ed oggi, davanti a questi particolari, ci si sente quasi stupidi nel riascoltare tutti i nomi che abbiamo sparato durante il “totoquarterback” che precedette la trade di Foles.

Nagy non ha scelto Trubisky, e con ogni probabilità sceglierà il nuovo QB al quale affidare i destini del football Bears al draft NFL 2021, quando finalmente Chicago riavrà una prima scelta nell’iterazione dopo due anni di digiuno; fino ad allora, per salvare capra e cavoli (con riferimento a Pace e Nagy), Chicago partirà con Trubisky per non svalutare ulteriormente la credibilità di Ryan Pace utilizzando la scusa che Foles, injury prone, vada tutelato dagli infortuni e con la complicità del calendario Bears, morbido in fase d’avvio e più complesso verso l’inverno, Foles interverrà a tempo debito prendendosi la scena nel prime time.

Questa è la predizione di Area 54, solo il tempo potrà confermare.

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alex cavatton firma area 54

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