La Serra di Huddle: The Greatest Show on Turf

Tra il 1999 e il 2001, i St. Louis Rams avevano gli occhi dell’America addosso. Con il loro stile di gioco spettacolare, esplosivo ma efficace che li ha portati a due Super Bowl in tre stagioni, i Rams sono stati la principale attrazione di una Lega che giocava a dama mentre loro giocavano a scacchi. Nonostante il loro gioco offensivo non fosse originale al 100% – ne parleremo tra poco – i Rams hanno ripreso e anticipato alcuni dei trend abituali nella attuale NFL. Sebbene si possa dire che abbiano effettivamente raccolto meno di quello che ci aspettava e forse meritavano, non c’è dubbio sul fatto che i Rams abbiano scritto una pagina fondamentale del manuale di questo sport, e soprattutto rappresentino una storia che va ripresa, raccontata e goduta.

QUI SI FA LA RIVOLUZIONE

I St. Louis Rams di quel triennio non sono stati semplicemente una delle più influenti di sempre, ma erano a tutti gli effetti una vera e propria cenerentola, una favola di quelle a cui ogni tanto vogliamo assistere.Nel 1997, la squadra fu affidata a Dick Vermeil, coach di lungo corso in NFL reduce però da 14 (!) anni sabbatici, per così dire, dalla sideline, dopo l’ultima avventura come allenatore dei Philadelphia Eagles: il motivo, un esaurimento nervoso. Il St. Louis Post Dispatch, il principale quotidiano locale, accolse la notizia con una prima pagina che esprimeva una incredulità volutamente mal celata: il titolo era semplicemente “Dick Vermeil?”. L’obiettivo dell’ex coach degli Eagles era quello di far diventare i Rams una squadra d’elite sull’arco di tre anni; stiamo comunque parlando di una squadra che all’epoca dei fatti non faceva i playoff dal 1989 e, in quelle otto stagioni non era mai andata oltre le 7 vittorie stagionali. Il piano di Vermeil si rivelò di difficile attuazione, con la squadra che, nelle prime due annate con lui alla guida, raccolse solo 9 vittorie totali, mentre i giocatori ormai stavano perdendo pazienza e speranze di grandezza.

La stagione 1999 sarebbe dovuta essere quella della verità, ed è per questo che la squadra si attrezzò di conseguenza. Per prima cosa, venne assunto Mike Martz come offensive coordinator, cioè l’architetto di questo progetto. Martz proveniva dai Washington Redskins, di cui era stato quarterback coach nelle due stagioni precedenti. In realtà, quello di Martz era un ritorno, avendo ricoperto lo stesso ruolo, oltre che quello di coach dei wide receiver, per i Rams tra il ‘92 e il ’96.

Pubblicità

Martz era un discepolo di Don Coryell, ex allenatore dei Chargers nonché inventore del cosiddetto sistema che da lui prende il nome, l’Air Coryell. Si tratta di un sistema offensivo molto spettacolare basato su un ritmo di gioco molto alto, con quanti più ricevitori in campo contemporaneamente per costringere le difese a doversi spendere su tutto il campo; movimenti pre snap per mostrare le intenzioni della difesa (cioè se le squadre avversarie marcavano a zona o a uomo) e impedire che i cornerback mettessero le mani addosso ai ricevitori direttamente allo snap; grande tempismo e precisione nel correre le tracce per aiutare il quarterback nella progressione e, soprattutto, tanti lanci lunghi. Quando Don Coryell allenava alla San Diego State University, Mike Martz era un adolescente che andava al liceo in quella stessa zona e spesso era sugli spalti a vedere le partite della squadra guidata dallo stesso Coryell.

Per costruire il sistema che Martz aveva in mente, serviva innanzitutto un passatore adatto: è per questo che dalla free agency arrivò Trent Green, ex QB di Washington che aveva già lavorato con lui. Vermeil ha raccontato di aver avuto un incidente in macchina mentre stava andando a pranzo per discutere del contratto con Green; nonostante questo si presentò lo stesso con dei vetri del finestrino ancora conficcati nella mano: lì Green capì che la squadra voleva veramente puntare su di lui. Successivamente, i Rams fecero una trade per acquisire Marshall Faulk – uno dei running back migliori della Lega – da Indianapolis in cambio di una seconda e una quinta scelta al draft. Faulk aveva chiesto ai Colts la rinegoziazione del proprio contratto, cosa che la dirigenza della squadra non voleva prendere in considerazione (ecco il perché del prezzo irrisorio pagato dai Rams per averlo). Faulk iniziò a guardarsi attorno in cerca di acquirenti e aveva dato mandato al suo agente di dare la precedenza a squadre che giocassero in città con un bel clima e che avessero un progetto vincente. Ah, e poi voleva giocare sull’erba. I Rams e St. Louis non avevano nulla di tutto questo.

Infine, dal draft arrivò il wide receiver Torry Holt, scelto con la sesta chiamata assoluta da NC State per togliere un po’ di pressione dall’ottimo Isaac Bruce.

A completare l’attacco che in quelle tre stagioni mise a ferro e fuoco la NFL c’erano anche Az-Zahir Hakim, ottimo slot receiver e il third down receiver Ricky Proehl. Il tutto orchestrato dietro una ottima linea d’attacco di cui il leader era il left tackle Orlando Pace, un Hall Of Famer. Nel complesso, era un reparto qualitativamente e quantitativamente eccellente, con giocatori in grado di correre tracce eccellenti, di creare problemi alle difese sul profondo e creativi col pallone in mano. C’era tutto quello di cui Martz aveva bisogno per mettere in atto il suo sistema.

In pre-season, però, Trent Green ricevette un colpo basso da Rodney Harrison, safety dei Chargers, e si ruppe il ginocchio. Nella conferenza stampa post-partita, un commosso Vermeil annunciò che la squadra avrebbe reagito alle avversità senza arrendersi. Il posto di Green fu quindi preso da uno sconosciuto quarterback che nel suo curriculum aveva alcune stagioni passate nella Indoor Football League e un passato, neanche troppo lontano, da garzone in un negozio di alimentari in Iowa a poco più di 5 Dollari l’ora.

Il riscatto dei Rams e l’ascesa al top della Lega è stato repentino e improvviso come lo sbocciare della carriera di Warner, il miglior QB della storia nelle sue prime quattro partite da titolare: 1217 yard, 14 TD, 3 intercetti e un passer rating di 136, mai nessuno come lui. A fine stagione saranno 4353 yard con 41 touchdown e 13 intercetti, numeri che gli sono valsi il premio di MVP (ne avrebbe vinto un altro nel 2001).

Le partite più significative di quell’annata per giocatori e fanbase, almeno in stagione regolare, sono state senza dubbio due: quella contro Atlanta nella week 2 e la tanto agognata rivincita contro i rivali divisionali dei San Francisco 49ers in week 4. Gli Atlanta Falcons erano campioni della NFC, avendo disputato il Super Bowl nella stagione precedente. In quella partita non ebbero una singola chance contro una squadra che a malapena fece toccare loro il pallone. Queste sono un paio di azioni che sarebbero diventate routine per i Rams ma che, alla seconda giornata della stagione 1999, facevano intravedere il potenziale offensivo di quella squadra:

 

Pubblicità

Ray Buchanan era il miglior cornerback dei Falcons e uno dei migliori della Lega, reduce dal Pro Bowl e dall’inclusione nella prima squadra All NFL la stagione precedente. Come dare più libertà a Bruce ed evitare che Buchanan gli mettesse le mani addosso fin dallo snap, limitandolo? Semplice, metterlo in movimento prima dello snap per creare una separazione “naturale”.

 

Qui invece viene fatta la stessa cosa con lo slot receiver Hakim, che fa vedere di essere un discreto route runner: finta di correre sull’esterno e poi slant per mandare il cornerback letteralmente dall’altra parte.

Se la partita coi Falcons ha fatto drizzare le antenne alle rivali circa le intenzioni di St. Louis, la partita contro i 49ers è stata una vera e propria liberazione. I Rams erano reduci da diciassette sconfitte consecutive contro i californiani, un peso che gravava da anni sulle spalle dei giocatori. Alla week 4, la partita contro i Niners durò ben poco, giusto un quarto: il tempo per Isaac Bruce di aprire in due la difesa di San Francisco con tre touchdown (nel quarto quarto sarebbe poi arrivato il poker personale). Dopo il terzo TD, Bruce non riesce a contenere le emozioni e sfoga la frustrazione con un pianto liberatorio sulla sideline. Aver interrotto la maledizione di San Francisco – avrebbero poi completato lo sweep stagionale alcune settimane dopo – autorizzava ufficialmente i Rams a prendersi sul serio. Tutto era possibile.

La cavalcata dei Rams li portò a vincere 13 partite in stagione regolare e ad affrontare i Minnesota Vikings al Divisional Round, in quella che per molti di loro era la prima partita di playoff in carriera. Durante il riscaldamento, però, Isaac Bruce sente tirare la coscia: capisce di essersi stirato lo stesso adduttore che gli aveva dato problemi l’anno precedente. Tornò sulla sideline un po’ claudicante, ma alla domanda di Martz se tutto fosse ok, Bruce annuisce. L’infortunio era reale, e gli stessi allenatori e compagni di Bruce non lo vennero a sapere; Bruce negò anche perché sapeva che la prima azione offensiva della partita sarebbe stata per lui. Lo schema è double post, coi due ricevitori esterni sullo stesso lato che corrono entrambi una post route. Il risultato fu il seguente: la safety dei Vikings presa in mezzo a due tracce identiche – contro la cover 1, il double post serve a mettere l’unica safety profonda nella situazione di dover decidere al volo chi marcare – che ovviamente non riesce a chiudere in tempo su Bruce. Settantasette yard, touchdown, e tanti saluti all’infortunio.

 

Dopo la vittoria di misura sui Buccaneers nel Conference Championship, i Rams si giocarono il Super Bowl contro i Tennessee Titans. L’attacco dei Rams appare subito in forma, ma la squadra di Vermeil non riesce a capitalizzare i buoni drive per colpa di due field goal sbagliati su tre possessi. Tennessee però li vuole imitare e, dopo aver sbagliato un calcio da 42 yard, concluse il primo tempo a zero punti contro i 9 degli avversari. Tennessee rimase ampiamente in partita grazie alla pressione portata da Warner, che non è riuscito a capitalizzare i buoni drive offensivi una volta arrivato dentro le 20 yard avversarie (5 dei suoi 13 intercetti stagionali sono arrivati proprio in red zone).

Il primo touchdown della partita arriva per mano dei Rams, che si dispongono con quattro ricevitori, di cui tre da un lato. Torry Holt si trova isolato contro Dainon Sydney, proprio quello che la squadra di Vermeil voleva: una semplice slant con cui Holt prende posizione e il numero 88 si fa perdonare il drop in red zone del primo tempo. I Titans continuano però a giocare il loro football e, affidandosi alle corse di Eddie George, riescono non solo a rientrare in partita, ma addirittura pareggiare. A due minuti dalla fine, è ancora Bruce a riportare in vantaggio St. Louis, ma i Titans hanno un paio di minuti per tentare quello che solo una squadra era riuscita a fare: vincere un Super Bowl dopo aver rimontato più di 10 punti di svantaggio (i primi e unici all’epoca erano stati i Washington Redskins al Super Bowl XXIII).

Pubblicità

Le speranze di Tennessee si infrangeranno ad una yard dal touchdown, con Kevin Dyson che, servito da Steve McNair, verrà fermato dal linebacker Mike Jones ad un passo dalla meta del pareggio. La cenerentola Rams era incredibilmente diventata regina.

THE GREATEST SHOW ON TURF, PARTE 1

I festeggiamenti per la vittoria vennero interrotti il giorno stesso dopo il Super Bowl, quando Dick Vermeil annunciò il ritiro (sarebbe poi tornato in pista l’anno successivo come coach dei Chiefs). Il suo successore, neanche a dirlo, fu uno degli artefici di quel successo, ovvero Mike Martz.

Dopo aver strapazzato i Chargers alla quinta giornata, per la quinta vittoria consecutiva, Chris Berman di ESPN introduce gli highlight della partita dicendo:” Forget the Ringling Brothers: the Rams are The Greatest Show on Earth”. I Ringling Brothers erano proprietari del circo itinerante più famoso d’America, soprannominato in quel modo. Di lì a poco, grazie a quella frase i Rams avrebbero avuto un soprannome tutto loro, The Greatest Show on Turf (dove “turf” indica il sintetico del Trans World Dome in cui giocavano). In quella stagione, i Rams riscrissero i libri dei record, diventando la prima squadra a far registrare oltre 7000 yard dalla linea di scrimmage e a segnare più di 450 punti in singola stagione (record poi battuto dai Falcons edizione 2016). Ancora una volta, ebbero in squadra l’MVP della Lega, Marshall Faulk che, con l’infortunio di Warner, si era caricato la squadra sulle spalle.

Peccato che la fortuna non li abbia assistiti fino in fondo. Nella partita contro Kansas City, alla settima giornata, Kurt Warner si ruppe un mignolo, e così fu sostituito da Trent Green, senza peraltro farlo rimpiangere: l’ex Redskins finirà la stagione con 2063 yard, 16 TD e 5 intercetti e un 101 abbondante di passer rating. Warner tornò in tempo per le ultime due partite di stagione regolare. I Rams riuscirono a qualificarsi ai playoff per il rotto della cuffia grazie alla vittoria all’ultima giornata sul campo dei New Orleans Saints, gli stessi Saints che sarebbero stati loro avversari alle Wild Card della settimana successiva.

I Saints ospitavano i Rams al Louisiana Superdome, che però non era il catino infernale che è oggi. Non perlomeno stando ai risultati ottenuti dai Saints, che in oltre trent’anni di storia non erano mai andati oltre le Wild Card. Per affrontare St.Louis, allora, la squadra si affidò alle tradizioni locali, e chiamò una sacerdotessa voodoo a celebrare un rito propiziatorio, con tanto di tamburi, le classiche bambole infilzate dagli spilli e un serpente al collo della suddetta per cercare di propiziare la vittoria dei propri beniamini liberando lo stadio dalle negatività. Il rito fu portato avanti anche mentre la partita era in corso in zona Congo Square, zona ricca di cultura afro americana non lontana dal quartiere francese. La cerimonia andò avanti fino a che il telecronista non pronunciò le fatidiche quattro parole “Hakim dropped the ball!”, riferendosi al muffed punt di Az-Zahir Hakim che permise ai Saints di recuperare il pallone e mettere la partita in ghiaccio con meno di due minuti sul cronometro e avanti di tre punti.

Fu una stagione molto strana e indubbiamente deludente per una squadra che comunque aveva proseguito sul filo di quella dell’edizione precedente almeno per quanto riguarda la produzione offensiva. Sicuramente, l’infortunio di Warner aveva tarpato un po’ le ali alla squadra di Martz, che con il suo QB titolare era in ritmo per finire la stagione con cifre mai viste. Queste le proiezioni su sedici partite con Warner al comando:

Le basi c’erano tutte, e il rientro in pianta stabile di Warner avrebbe garantito ai Rams di essere una contender già a partire dalla stagione successiva.

THE GREATEST SHOW ON TURF, PARTE 2

Se l’attacco non necessitava di alcun tipo di miglioramento, al massimo di un po’ più di fortuna in quanto a salute e infortuni, la difesa era un disastro: ventunesima per yard concesse (quasi 5500), ultima per touchdown subiti (32) e per punti a partita concessi (oltre 29). Per sistemare le cose, da Tampa Bay arrivò Lovie Smith, che in Florida aveva lavorato come coach dei linebacker per quattro anni, come nuovo defensive coordinator. L’ex difensore dei Chicago Bears trasformò la sua nuova unità in una delle migliori della Lega: terza per yard subite – 1000 in meno dell’anno precedente – quinta per TD subiti (16, l’esatta metà dell’anno precedente) e sesta per punti subiti a partita (17.1). Secondo Kurt Warner, l’edizione 2001 dei Rams era anche più forte di quella che aveva vinto il titolo due stagioni prima, e quindi l’obiettivo era tornare subito a quei livelli. La stagione regolare fu una marcia trionfale, con due sole sconfitte. Paradossalmente, però, una delle partite più difficili della regular season fu quella giocata a Foxborough contro i New England Patriots; i Pats erano una squadra sulla carta sufficiente, con un record di 5-4, un quarterback molto promettente ma anche inesperto e un ottimo allenatore difensivo, Bill Belichick (aveva già vinto due Super Bowl come defensive coordinator dei Giants).

I Patriots prepararono una partita molto aggressiva, mettendo in grossa difficoltà Warner, che poi ci mise del suo con un paio di intercetti. Nel primo drive, i Patriots usarono usato tre blitz in maniera efficace; blitz che, uniti ad un drop di Holt che sarebbe valso un primo down, costrinsero i Rams al punt. Nel drive successivo, St. Louis segnò, ma poi arrivarono anche due intercetti, uno per un errore individuale di Proehl, che aveva sbagliato traccia, e un altro per merito della difesa dei padroni di casa (blitz e bella lettura di Tedy Bruschi). Con poco più di due minuti da giocare sul cronometro del primo tempo, i Rams si fanno 96 yard in poco più di un minuto segnando con Marshall Faulk:

 

Pubblicità

La traccia verticale del tight end è solo un diversivo per distrarre la difesa dalla angle route di Faulk, che ha sufficientemente spazio per ricevere ed entrare in endzone.

Nel secondo tempo, nonostante un’altra palla persa di Warner – uno snap mal ricevuto – i Rams dimostrano di essere la squadra migliore e i Patriots di non essere ancora a quel livello nonostante una partita preparata molto bene. London Fletcher intercettò Brady; McLeon, cornerback dei Rams, giocò una eccellente partita contro Troy Brown, uno dei ricevitori più pericolosi dei Patriots e Isaac Bruce obliterò a più riprese Ty Law, cornerback di New England, correndo tracce perfette, come sempre. New England avrà grossissimi problemi a difendere il centro del campo, dove i Rams banchetteranno.

 

In questa situazione, i Rams trovano un primo down provvidenziale reagendo ottimamente al blitz dei Patriots, portato dallo slot corner. Faulk corre una traccia flat per occupare uno dei due linebacker mentre Bucky Jones approfitta del varco lasciato nella sezione centrale del campo (a proposito di quanto detto prima) per mandare avanti le catene. Tebucky Jones, numero 34 che placca il giocatore dei Rams, fa un primo passo laterale distratto dal movimento di Faulk: quel che basta per partire in svantaggio nella marcatura del suo uomo.

 

Questo è un semplice blitz pickup di Faulk che permette a Warner di trovare Bruce per un primo down. Niente di particolarmente elaborato, solo un pickup fatto molto bene.

 

Questa invece è la traccia che chiude la partita. Ai Rams serviva un primo down per metterla in ghiaccio. Quale modo migliore per farlo, se non costringere un linebacker a difendere la wheel route di Faulk? Per Roman Phifer è no match, e Martz gradisce.

A DYNASTY IS BORN

La sfida tra Rams e Patriots in week 10 fu l’antipasto della rivincita, avvenuta sul palcoscenico più prestigioso di tutti, il Super Bowl: quella volta, la squadra di Belichick fu davvero pronta per la battaglia.

Warner iniziò la partita molto fuori ritmo; New England decise di non essere così aggressiva come nella partita di regular season, al contrario, decise di confondere le acque cambiando costantemente schemi e variando il numero di tutto il personale difensivo, soprattutto i cornerback, che passavano dai quattro ai sette contemporaneamente in campo. In questo modo, la difesa poteva rischiare meno senza portare blitz ma allo stesso tempo rispondere colpo su colpo alle tante armi di cui la squadra di Mike Martz disponeva.

Fu però grazie ad uno dei rari blitz di serata che arrivò l’intercetto di Warner, finito direttamente nelle mani di Ty Law e riportato in endzone per il vantaggio di New England:

 

Lo stunt tra il defensive tackle e il defensive end occupa tutta la parte destra della o-line dei Rams, consentendo a Tedy Bruschi di arrivare indisturbato a Warner: la pressione costringe il quarterback alla palla persa.

L’attacco dei Rams produsse molte yard, a fine partita saranno 427 contro le 267 dei Patriots, ma pochissimi punti: dopo i primi tre quarti erano solo 3, come accaduto solo una volta in stagione (contro i Giants, partita poi ugualmente vinta).

Il piano di Belichick consisteva nel giocare molto più fisico direttamente contro i ricevitori, usando le safety e i linebacker per aiutare nel centro del campo e mettendo le mani addosso agli attaccanti fin dallo snap per non far prendere loro vantaggio:

 

Le botte che prende Hakim in questa azione: dal defensive end appena eseguito il “rilascio” della traccia, dal cornerback che lo marca e dalla safety che arriva in aiuto da fondocampo.

La difesa dei Patriots si è piegata ma mai spezzata come le abbiamo visto fare innumerevoli volte in tutti questi anni. Qui di seguito vi metto un paio di situazioni interessanti prodotte dall’attacco dei Rams:

 

Questa azione di corsa prevede una unbalanced formation, cioè una formazione dove, banalmente, la linea d’attacco è sbilanciata da un lato (il lato forte, per l’appunto): in realtà, anche questo è un diversivo, perché poi Faulk viene fatto correre dall’altro lato, quello in cui ci sono meno bloccanti, ma anche di conseguenza meno difensori.

 

Questo invece è il touchdown del temporaneo pareggio. Una pick play per liberare…Holt? Bruce? Faulk? No, Ricky Proehl. A questo punto avrete ormai capito bene quanto fosse difficile difendere contro una squadra del genere.

Ad inizio partita, un giocatore dei Rams, microfonato, si lanciò in un quanto mai profetico “A dynasty is born”. Verissimo, peccato che quella dinastia l’avrebbero costruita gli altri. Un grande ultimo drive di Brady e il calcio di Vinatieri daranno la vittoria ai Patriots, la prima di tante.

È FINITA LA MAGIA

La delusione fu enorme, anche perché i Rams erano più forti dei Patriots, nonché favoriti di 14 punti dai bookmakers. Con una squadra del genere, però, era lecito pensare di poter avere altre occasioni per tornare sul tetto della NFL. Beh, chi pensava ciò, si sbagliava. Sostanzialmente, tutto quello che poteva andar male, ci andò. Innanzitutto, il leader difensivo, il linebacker London Fletcher andò a Buffalo in free agency, e la difesa di Lovie Smith calò già dall’anno successivo. Az-Zahir Akim andò a Detroit e, soprattutto, Warner perse la sua magia. Dopo un inizio di stagione da 3 TD, 11 intercetti e sei sconfitte su sei, il numero 13 si ruppe un dito. Il suo posto fu preso da Marc Bulger, che vincerà le sue prime cinque partite da titolare. Il dualismo Warner-Bulger durò anche nella stagione 2003, finchè Martz decise di assegnare il posto a quest’ultimo, con Warner che verrà tagliato nella off-season 2003. Quello stesso anno, un altro componente dello Show, Ricky Proehl, andò altrove, a Carolina. Lovie Smith, invece, accettò il ruolo di capo allenatore a Chicago. Nel 2004, nonostante la presenza di Faulk, i Rams scelsero al draft un altro running back, Steven Jackson, che si impose subito prendendo il posto da titolare nel backfield. St. Louis visse una stagione regolare mediocre da otto vittorie, riuscendo però ad andare ai playoff e a superare anche un turno, prima di essere eliminata al Divisional Round dai Falcons. Il 2004 fu anche l’ultimo anno pieno da capo allenatore per Mike Martz, che si dovette fermare per problemi al cuore. Il Greatest Show on Turf aveva ufficialmente chiuso i battenti.

Sicuramente, St. Louis avrebbe meritato di avere vita più lunga e, perché no, anche più gratificante da un punto di vista di successi di squadra. L’impatto di quell’attacco, però, rimarrà per sempre, e lo stiamo vedendo a tutti gli effetti in questi anni. Live fast, die young è uno slogan efficace per descrivere in pillole cosa fu quella squadra. Nessuno andava più veloce di quei Rams.

Merchandising Merchandising

Articoli collegati

Un Commento

  1. Non è mai stato facile essere un tifoso dei Rams, soprattutto negli anni bui post L.A. Quei Rams furono la trasposizione americana del Cagliari di Gigi Riva o del Verona di Elkiaer: rosa e giocatori erano di prim’ordine ma in debito con la fortuna. Tutto ha girato, eccome se ha girato, e in quelle tre stagioni ha mondato ferite di tre lustri. Go Rams.

Pulsante per tornare all'inizio
Chiudi

Adblock rilevato

Huddle Magazine si sostiene con gli annunci pubblicitari visualizzati sul sito. Disabilita Ad Block (o suo equivalente) per aiutarci :-)

Ovviamente non sei obbligato a farlo, chiudi pure questo messaggio e continua la lettura.