La Strada verso il Draft: Justin Herbert

Età: 22 – Ruolo: Quarterback – College: Oregon
Classe: Senior – Altezza: 6’6’’ (1.98 m) – Peso: 227 lbs (103 kg)

Justin Herbert è un ragazzo di Eugene, Oregon, nato a dieci minuti di macchina dal campus della University of Oregon, della quale, fin da piccolissimo, è tifoso. Prima di approdarci, però, ebbe il tempo di vincere un titolo statale con la Sheldon High School nel suo anno da senior, contribuendo con 3’130 yard passate, 37 TD-pass, e 543 yard corse. Alla scuola superiore ottenne eccellenti risultati anche nel baseball, sport che adora da sempre e che al college dovette abbandonare, con profondo rammarico.
Nonostante l’ottima ultima stagione all’high school di Herbert, però, furono ben pochi i reclutatori che suonarono il suo campanello: oltre all’università di casa sua, infatti, le uniche altre borse di studio propostegli furono quelle di Portland State, Northern Arizona e Nevada, ossia due scuole FCS e una FBS “non power-5”.

Con i Ducks divenne il primo true freshman in 33 anni a partire titolare come signal-caller – l’ultimo, 33 anni prima (1983) era stato Chris Miller, visto poi in NFL con gli Atlanta Falcons – giocando dall’inizio 7 partite, lanciando 19 touchdown e 4 intercetti.

La sua crescita, nel periodo del college, è evidenziata dal contemporaneo miglioramento dei suoi Ducks nei quattro anni in cui lui è stato QB titolare: dal deludente 4-8 della stagione 2016, al 12-2 di quest’anno, con annesse vittorie di conference e del Rose Bowl, passando per il 7-6 del 2017 e per il 9-4 del 2018. Una crescita costante e continua, che lo ha portato quest’anno a riscrivere i suoi record di yard lanciate (3’471) e TD-pass (32).

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Prima tra le qualità di questo ragazzo è la sua intelligenza. No, non parliamo di “football IQ” – oddio, per carità, anche quello è elevato – ma di intelligenza vera e propria, calcolata sulla base dei risultati scolastici della sua carriera, non solo collegiale: laureato in biologia, ha mantenuto un punteggio medio di 4.0 (la scala di valutazione americana si ferma al 4.0) durante la sua permanenza ad Eugene, vincendo anche il William V. Campbell Trophyanche conosciuto come “Academic Heisman” – ossia il premio che annualmente viene conferito al miglior studente-atleta, in cui, almeno in questo caso, si dà maggior peso al termine che precede il trattino.

La sua ottima prestazione alla Combine ha inoltre fatto balzare all’occhio il suo – da alcuni inaspettato – atletismo: i 4.68 secondi sono il terzo miglior risultato per un quarterback, dietro ai soli Cole McDonald e Jalen Hurts, considerati “dual threat QB”; e il solo McDonald è riuscito a superare i 35.5 pollici di verticale di Herbert.

Non ama troppo uscire dalla tasca per correre, ma quando è costretto a farlo, si serve ottimamente dei suoi mezzi fisici per guadagnare yard e l’ultimo Rose Bowl ne è stato l’esempio più lampante, con i suoi 3 touchdown segnati, tutti in situazione di scramble.
La pulizia della sua tecnica di passaggio è stata messa brillantemente in mostra negli esercizi della Combine: ha probabilmente il braccio più potente della classe QB di quest’anno, e non perde di precisione se costretto a ricercare tracce profonde.
Non ha palesato negli anni di college di soffrire troppo la pressione: spesso nei terzi down è riuscito ad essere più incisivo che negli altri, dimostrando un’eccellente capacità di scelta nelle situazioni critiche.

È un ragazzo riservato, addirittura, per gli standard americani, definito “timido” da alcuni suoi ex compagni di squadra. In campo il suo lavoro lo fa bene, ma potrebbe non avere la personalità per gestire fin da subito un attacco composto da professionisti di lungo corso.
Inoltre, spaventano un po’ i numerosi infortuni avuti soprattutto in età più tenera, ossia tra l’high school e primi anni di college, in particolare la frattura del femore avvenuta nel 2014 e quella della clavicola del 2017. Va comunque detto che, da quando ha irrobustito il suo fisico, non ha più sofferto di alcun tipo di infortunio, né di origine traumatica che di natura muscolare.

Unico vero difetto che gli si può imputare è la sua visione non eccessivamente rapida delle alternative al suo target principale: quando costui viene chiuso dalla secondaria avversaria, spesso Herbert si “rifugia” in una corsa in scramble piuttosto di ricercare una soluzione diversa. Tendenza, questa, figlia dell’attacco piuttosto conservativo imposto da coach Cristobal ad Oregon, allenatore non incline a prendersi rischi eccessivi.
Ultima considerazione da fare è che egli, con gli Oregon Ducks, ha sempre e solo giocato a partire da una shotgun formation, ossia ricevendo lo snap almeno 5 yard dietro al proprio centro. Alla Combine ha dimostrato una più che discreta mobilità anche in caso di snap consegnato, ma è senz’altro una situazione della quale manca di esperienza e sulla quale occorrerà farlo lavorare per fargli acquisire la dovuta sicurezza.

Sarà verosimilmente il terzo quarterback ad essere scelto, dopo Burrow e Tagovailoa e prima di Love. Ecco perché tutti (o quasi) lo danno come molto probabile alla numero 6, ai Chargers. In ogni caso, qualora, come sostengono i “pochi”, i Chargers dovessero preferirgli qualcun’altro, il suo nome non andrà certamente oltre alla scelta dei Colts, ossia la 13.
La previsione più scontata, come detto, è che nel destino di Justin Herbert ci sia la Città degli Angeli, sponda Chargers, in quanto per questa franchigia è arrivato il momento di chiudere il capitolo Philip Rivers e cominciare a scriverne uno nuovo e, per fare ciò, la cosa più logica è proprio partire dal draft.

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Un Commento

  1. Questo ragazzo è veramente un ottimo prospetto, io lo preferisco sia a Tua Tagovailoa sia a Burrow

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