Patrick Mahomes ci ha ricordato di essere un marziano

12 ottobre
Oggi un marziano è sceso con la sua aeronave a Villa
Borghese, nel prato del galoppatoio […] Tutta la popolazione della
periferia si è riversata al centro della città e ostacola ogni
traffico. Debbo dire che la gioia, la curiosità è mista in
tutti ad una speranza che poteva sembrare assurda ieri e
che di ora in ora si va invece facendo più viva. La
speranza «che tutto cambierà».

Ennio Flaiano, Un marziano a Roma

Il 9 settembre del 2018 un alieno è atterrato sul pianeta terra. Non a Villa Borghese come il marziano del racconto di Ennio Flaiano, ma sul prato dello Stabhub Center di Los Angeles. L’alieno in questione indossava la maglia numero 15 dei Kansas City Chiefs, ed è bastato che le immagini della sua prima interazione con la difesa dei Chargers facessero il giro degli Stati Uniti per scatenare l’isteria collettiva.

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La prima stagione da titolare di Patrick Mahomes ha avuto sulla NFL lo stesso effetto dello sbarco a Roma del marziano Kunt. Per mesi le sue giocate hanno calamitato l’attenzione di tifosi e addetti ai lavori, uniti dall’impressione di assistere a qualcosa di mai visto.

Tutti volevamo vedere, sapere, capire chi fosse questo giocatore allucinante, scoprire di più sull’it kid del 2019, un pistolero lucidamente folle capace di restare in equilibrio sul filo sottilissimo che scorre tra la big play e la pick 6.

Più le compilation di highlights si arricchivano di giocate irreali, più per Mahomes fioccavano le richieste d’interviste, i contratti di endorsment e i riconoscimenti individuali, dall’inevitabile MVP della lega alla copertina del gioco che la rappresenta.

madden 20 mahomes

Da quel pomeriggio a Los Angeles il nostro hype non ha fatto altro che aumentare, e incredibilmente il talento di Mahomes ha continuato a lungo a dimostrarsi più grande delle nostre aspettative su di lui.

Addirittura più grande della Madden Curse, la maledizione che puntualmente deraglia la stagione di chi presta il volto alla copertina di Madden, che l’alieno di Kansas City sembrava aver sconfitto grazie ad un inizio di 2019 superiore se possibile all’anno da MVP.

Mahomes infatti ha aperto il suo secondo anno da titolare con tre touchdown lanciati contro i Jaguars e quattro, tutti in quindici minuti, contro i Raiders. Dopo due giornate si parlava già di non perdere tempo e di assegnargli d’ufficio il suo secondo MVP consecutivo.

Abituarsi allo straordinario

Alla lunga l’interesse dei romani verso il marziano comincia a scemare. Finito l’effetto sorpresa, inizia a farsi strada la sensazione di già visto. Kunt continua ad essere presenza fissa agli eventi più esclusivi, ma la sua apparizione non accende più gli entusiasmi di una volta. Quando le prestazioni di Mahomes, pur restando strepitose, hanno iniziato a calare anziché tendere all’infinito, anche noi abbiamo iniziato ad assuefarci piano piano all’adrenalina data dalle sue giocate.

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Vederlo vincere, magari con qualche sofferenza come a Detroit, non bastava più. E così, non riuscendo a saziarsi con Mahomes, la nostra bulimia di novità si è spostata verso Baltimore, dove un altro fenomeno ha soddisfatto la nostra fame di record, highlights e novità. Del resto, avevamo già visto un quarterback lanciare passaggi off-platform di 40 yard, ci mancava uno che si muovesse come il numero 8 di Baltimore.

mahomes jackson

Lamar si è preso – giustamente – i riflettori della regular season, e lo ha fatto in modo così rapido e violento da lasciare in disparte il marziano di Kansas City. L’attenzione nei suoi confronti ha iniziato lentamente a rarefarsi, al punto che la vigilia dell’esordio ai playoff di Patrick Mahomes è sembrato privo di quell’alone di history in the making che aveva circondato i Chiefs l’anno precedente.

Mars Attacks!

Il racconto di Flaiano si conclude in modo amaro e disilluso. Il marziano, ormai apatico e semi depresso, attira solo l’attenzione dei gruppi di ragazzini che lo sbeffeggiano gridandogli «A Marziano!». Kunt vaga disorientato in una Roma triste e semideserta, contemplando l’idea di montare sulla navicella e tornarsene a casa, su Marte, lontano da quel baraccone mediatico che lo aveva fagocitato così in fretta.

Domenica sera ad Arrowhead la stagione dell’alieno con il numero 15 ha rischiato di prendere una piega simile. Senza nessuna colpa diretta, dopo il primo quarto Mahomes si è trovato in fondo ad una fossa profonda 24 punti scavata dagli errori madornali dei suoi compagni. Se I Chiefs fossero rimasti impantanati, lunedì mattina ci saremmo dovuti sorbire gli «A marziano!” dei Colin Cowherd di questo mondo, pronti a vantarsi di aver chiamato per primi il “bluff” Mahomes, rinfocolando la narrativa di un giocatore tanto spettacolare in regular season quando inconsistente ai playoff.

In quel momento Mahomes ha dimostrato di essere veramente speciale. Non ha guardato verso l’alto come Kunt, ma ha guardato negli occhi i suoi compagni, li ha convinti di poter ribaltare la situazione e di poterci riuscire nell’unico modo che conosce, facendo cose speciali.

«Let’s make something special, let’s make something special, one play at a time let’s make something special».

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Il primo ad ascoltarlo è stato Mecole Hardman, che ha ritornato un kickoff per 58 yard. Gli altri hanno seguito a ruota. I Chiefs avevano bisogno di almeno tre touchdown per rientrare in partita. Ne hanno segnati quattro solo nel secondo quarto, quello che ormai possiamo definire il quarto d’ora granata di Kansas City, i quindici minuti in cui Mahomes si arrotola figurativamente le maniche e decide che è arrivato il momento di fare sul serio. Alla fine, tra i cinque lanciati da Mahomes e i due corsi da Williams, i TD sono stati sette su sette drive consecutivi, troppi anche per lo staff di Arrowhead, che ha dovuto scusarsi per aver finito i fuochi d’artificio.

Insieme all’entusiasmo del pubblico di casa è tornata quella sensazione d’ineluttabilità che si prova nel vedere Mahomes alla guida del suo attacco: in quei momenti tutti sanno che il touchdown sta arrivando, che arriverà in fretta e che poi ne arriverà un altro. Lo sanno anche gli avversari, che non possono far altro che rassegnarsi a ripassare la tabellina del sette.

L’unica cosa che Romeo Crenell e la sua difesa sono riusciti a fare è stato contenere Tyreek Hill. Per farlo, però, hanno dovuto accettare l’uno contro uno costante contro Travis Kelce. Crenell sperava che Lonnie Johnson riuscisse almeno a limitarlo, Kelce invece ha riservato al rookie cornerback un welcome to the playoffs moment da telefono azzurro: 10 ricezioni per 134 yard e 3 TD.

A vedere l’arsenale offensivo dei Chiefs a qualcuno è capitato di sostenere che ciò che conta, più che Mahomes, sono le armi a sua disposizione. Nessuno discute che le armi dei Chiefs siano di primissimo livello, ma è anche vero che un conto è dare un AK-47 in mano a una scimmia – con tutto il rispetto per Alex Smith e Matt Moore, il suo predecessore ai Chiefs e la sua attuale riserva – un altro è farlo maneggiare all’equivalente NFL di John Wick.

Kelce è un mostro, su questo non ci piove, ma tante delle sue ricezioni di domenica sono arrivate grazie a finestre di passaggio che erano chiuse e che nessun quarterback al di fuori di Mahomes avrebbe saputo aprire in quel modo, muovendosi dentro e fuori la tasca o rilasciando il pallone con tecniche e angoli di lancio sconosciuti ai terrestri.

Nel momento più difficile della stagione Patrick Mahomes ci ha tenuto a ricordarci la sua eccezionalità. Nell’esultare non ha scelto l’immagine del marziano, ma quella del Night King di Game of Thrones, che rende sicuramente meglio l’idea di quanto possa essere terrificante trovarselo contro su un campo da football.

Non è normale che una squadra segni a ritmi del genere. Non è normale che un essere umano abbia quella confidenza nel lanciare oggetti. La grandezza del marziano con il numero 15, però, sta proprio nell’essere riuscito in due anni a farci dare per scontate cose che scontate non lo sono per niente. Anche se ogni tanto rischiamo di dimenticarcelo, Patrick Mahomes viene da un altro pianeta.

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Alberto Cantù

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