Il mio Eli Manning

È il 4 febbraio del 2008. Torno per pranzo dal liceo e mio fratello mi accoglie con una videocassetta: “Non immagini cos’è successo stanotte”, mi dice, “i New England Patriots hanno perso il Super Bowl dopo averle vinte tutte“.

Mai sentito nominare nulla di tutto ciò, ma neanche lui sembra esserne esperto, visto che di questo football americano sa spiegarmi poco o nulla. Quel 19-0 diventato 18-1 nella notte di Phoenix, però, è davvero troppo affascinante. Soprattutto per chi come noi ha sempre amato le più incredibili sorprese nello sport, andando a tifare – salvo quando il cuore lo richiede – per la squadra sfavorita.

Osservo i New York Giants e ci vedo l’ardore e il coraggio di chi ha compiuto una delle imprese più straordinarie nella storia di questo sport. E quel numero 10, Eli Manning, ne è l’eroe. La “helmet catch” di Tyree sul momento mi dice poco o nulla, ma dà l’idea di essere quel miracolo necessario a tutte le più grandi storie per avverarsi. Mi restano nel cuore, ma di football americano non sentirò più parlare per altri quattro anni.

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Il 5 febbraio del 2012 è sempre mio fratello a riaccendere la passione: “Te li ricordi i Giants? I Patriots? Il Super Bowl? Si sfidano di nuovo questa domenica!”. È deciso: cerco il palinsesto, scopro dove guardare la partita e a che ora si giocherà. A scuola il lunedì andrò un po’ assonnato, ma qualcosa mi dice che quella notte può cambiare la mia vita.

Mi sveglio a fatica, accendo la TV senza volume e guardo i Giants compiere una seconda impresa. La notte di Indianapolis mi insegna i rudimenti di uno sport magnifico, di cui oggi non posso fare a meno. E quel Manning mi fa sempre saltare sul letto, soprattutto con quel lancio pazzesco per Manningham. Faccio un tifo sfegatato, pur capendoci poco e nel silenzio assoluto, e per fortuna oserei dire.

Quando prenderò coscienza della bellezza del football a partire dalla stagione successiva, infatti, saranno più dolori che gioie ad accompagnarmi con la squadra che ho scelto. Eli, però, non lo rinnegherò mai. Nonostante non sia un “animale” da regular season, nonostante abbia giocato almeno un paio di stagioni in più del dovuto, nonostante tutto. Sarà per quel ricordo del 2007, prezioso e inaspettato. Sarà per l’indimenticabile notte del 2011, in cui ho scoperto una passione travolgente. Sarà perché in sette anni, da allora, nessuno in questo sport mi ha fatto esultare a pugni chiusi più di quel numero 10 conosciuto per caso. E sbuffare. E incazzarmi. E soffrire.

Eli Manning è stato questo.

L’uomo di una notte – o meglio due – in cui ha scritto la storia dei Giants, del football americano e ha prenotato un posto nella Hall of Fame, oltre che nel mio cuore. E io nel mio piccolo sono felice così, pur non avendolo visto vincere nemmeno una partita ai playoff da vero appassionato, per dirne una.
Perché alle volte serve un eroe in cui poterci immedesimare. Quello che non vince sempre, ma se ci crede può arrivare fino in fondo, anche contro il più forte di tutti e forse di sempre.

Due volte. Grazie per il football, per i Giants, ma soprattutto per questo, Eli Manning.

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Alessio Salerio

Scopre il football nella notte dell'upset di Phoenix del 2008, se ne innamora quattro anni dopo grazie ai medesimi protagonisti. Ideatore della rubrica "Colori, episodi, emozioni", negli anni cambiata di nome, non nella sostanza.

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