La decisione di D’Eriq King: tanking o transfer?

Perché il quarterback di Houston ha deciso di redshirtare l’anno da senior.

D’Eriq King, quarterback all’ultimo anno degli Houston Cougars, ha deciso di non proseguire la sua stagione sportiva, utilizzando la tanto dibattuta 4-games-rule per ottenere la redshirte dunque conservare il suo ultimo anno di eleggibilità. Tale regola – la quale prevede che i giocatori, purché nella stagione abbiano giocato un numero strettamente inferiore di cinque gare, possano decidere di ottenere la redshirt – era stata pensata ed attuata principalmente per favorire quei giocatori che, a causa di gravi infortuni accorsi loro nelle prime settimane, si sarebbero visti scippati di un anno di college senza averlo di fatto nemmeno incominciato. Ma tale fonte normativa non è esplicitata nella suddetta regola della NCAA, e, dunque, essa si presta ad essere sfruttata nei modi più svariati da coach e giocatori che, per qualsiasi ragione, ne avessero bisogno. È stato il caso, per esempio, di Kelly Bryant a Clemson l’anno scorso, il quale, accortosi di non avere alcuna chance di scalzare Trevor Lawrence dal suo posto, ha deciso di concentrarsi sugli studi (si fa per dire), di laurearsi e di rimandare di un anno la sua stagione da senior, che ora sta vivendo da protagonista a Mizzou.

Non è la prima e non sarà l’ultima volta che questa particolare regola verrà utilizzata da un giocatore a suo vantaggio, ma ciò che rende unica la scelta di D’Eriq King è il fatto che egli non sia infortunato, non sia stato scavalcato da nessuno nelle gerarchie, e, per lo meno all’apparenza (ossia secondo quello che l’Università e lo stesso King vogliono farci credere), non abbia neppure l’intenzione si entrare nel famigerato transfer portal.

Okay, la sconfitta con Tulane (tra l’altro in modo rocambolesco) alla prima gara di conference non è il risultato migliore per presentarsi minacciosamente ai blocchi di partenza della AAC, ma può davvero essere bastato questo passo falso a portarlo ad una scelta così decisa?

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In realtà la notizia non pare aver colto del tutto impreparata l’Università, che ha immediatamente emanato un comunicato ufficiale nel quale si esplicitava, oltre alla decisione del ragazzo, la sua assoluta volontà di ritornare ai Cougars per il suo anno da post-graduate, teoria confermata anche dalle tranquille parole di coach Dana Holgorsen, interrogato qualche giorno fa sull’argomento.

Fin qua tutto bene. Poi, si è inserito il padre di D’Eriq, Eriq (…) King, il quale ha commentato il comunicato dicendo che il suo pargolo “cercherà di sfruttare questa opportunità prendendo la decisione migliore per la sua carriera”, e, dunque, lasciando uno spiraglio aperto alla sua possibile iscrizione al portal. Opinione personale: decisamente di più di un semplice spiraglio.

Prima di proseguire, una piccola, ma fondamentale, digressione: il transfer portal, di cui tanto si parla, altro non è che un sito web che funziona da database centralizzato per tutti gli studenti-atleti interessati a trasferirsi e, quando un ragazzo si iscrive ad esso, il suo nome diviene visibile a tutti gli allenatori della nazione, che sono i soli ad avere accesso a tale sito (che non è, dunque, pubblico).

Ad ora, King non ha ancora effettuato l’iscrizione al portal, in quanto essa, tra le altre cose, potrebbe costargli il taglio della scolarship da parte dell’ateneo, ma, non essendoci una “finestra di mercato” che prevede un limitato periodo di tempo per iscriversi, ciò non esclude che il ragazzo non provveda a farlo tra qualche mese.

Non sappiamo come la storia andrà a finire, ma i possibili esiti sono solo due: o decide di trasferirsi, valutando le possibilità che gli verranno offerte (e, senza dubbio, ce ne saranno diverse); oppure decide di restare a Houston per il suo ultimo anno. In questo secondo caso, la strategia di Houston sarebbe quella di attuare un vero e proprio tanking-versione College Football, decidendo di lasciar scorrere questa stagione ormai fallimentare, nella speranza di tornare più forti. A corroborare questa teoria, e a legittimare la definizione di tanking, vi è l’identica scelta presa in contemporanea dal senior ricevitore Keith Corbin, il quale, al pari di King, tornerà (in teoria) agli ordini di Dana Holgorsen nell’agosto prossimo.

Cosa può aver spinto D’Eriq King alla redshirt?

In primo luogo, l’andamento della stagione, dicevamo, e la consapevolezza che quest’anno, dato l’avvio 1-3, anche l’obiettivo minimo di arrivare ad un bowl potrebbe non essere raggiunto.
In secondo luogo, la possibilità di effettuare un lavoro mirato sulle sue debolezze, volto in particolare a migliorare le sue abilità da pocket passer, unica vera mancanza di un giocatore che fa della versatilità la sua caratteristica migliore.
Inoltre, anche se in secondo piano, vi è la possibilità di potersi concentrare sullo studio ed ottenere la graduation, senza tutti gli impegni che una stagione da senior implicherebbe: finita la stagione, infatti, ci sarebbero prima la Combine e poi il Draft NFL, tutti impegni che distolgono alquanto l’attenzione dai doveri scolastici.

Tutte e tre sono argomentazioni valide, eppure, anche sommandole, sembrano un po’ pochino per giustificare una scelta così particolare e priva di precedenti. Perché, è vero tutto, ma siamo davvero convinti che l’anno prossimo l’antifona cambierà, e che Houston possa competere per la conference? E che, calendario alla mano, nelle prime quattro giornate, appurata la vittoria con Rice, sarà in grado di battere Washington State, North Texas e BYU? E qui, allora, subentra il discorso portal, il quale aleggerà sulla squadra texana da qui al prossimo agosto, potendosi, in qualsiasi momento, abbattere su di essa.

È probabile, infatti, che King avesse programmato il suo trasferimento già da tempo, e che di questo ne avesse parlato sia con la scuola che con Holgorsen. Sempre in linea teorica è possibile che il coach gli avesse chiesto uno sforzo, ossia di dare lui una possibilità, tipo “vediamo come vanno le prime quattro gare, e poi scegli tu”.

Nonostante le parole dello stesso D’Eriq King, che ha subito affermato di voler restare, negli States (e non solo) sono sempre più convinti che l’obiettivo di D’Eriq sia quello di trasferirsi per avere l’opportunità di competere per una vittoria di conference, o magari addirittura per i playoff. Le possibili destinazioni sono tante, anche se per ora si tratta di semplici supposizioni, date esclusivamente da suggestioni giornalistiche che potrebbero non avere fondamento alcuno.

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Il primo nome fatto è stato quello di Oklahoma: Lincoln Riley, dopo Mayfield, Murray e Hurts, potrebbe volere un altro transfer con un po’ di esperienza alle spalle per provare a fare di lui un potenziale Heisman. La sua intervista dopo week 1 (vinta da OU proprio su Houston), nella quale elogiava l’ecletticità e la pericolosità del quarterback avversario, è stata prontamente pescata e riportata a galla, e, con la maestria che contraddistingue gli statunitensi, è stata fatta perno attorno al quale costruire una bella storia. Oklahoma, però, ha già in casa il talentuosissimo freshman Spencer Rattler, che difficilmente sopporterebbe un’altra stagione da backup.

Altra possibilità potrebbe essere Florida State, dove D’Eriq King ritroverebbe il suo ex offensive coordinator Kendal Briles (sempre che le cose a FSU restino così, ma questo è un discorso a parte). Altri nomi che si sono fatti sono quelli di Alabama e LSU, ma anche qui si tratta ancora, al momento, di poco più che suggestioni.

D’Eriq King 2

L’affaire King apre nuovamente, qualora mai si fosse chiuso, il discorso sulla bontà o meno delle possibilità offerte dal portal. Ovviamente ci sono vari punti di vista da cui poter osservare la cosa, e da ognuno di essi si possono trarre conclusioni differenti.

Il primo punto di vista da considerare è ovviamente quello del giocatore. Da un giocatore il transfer portal è visto come un’opportunità, una possibilità di poter avere una seconda chance, di poter tornare indietro sulla propria scelta universitaria, senza doversi pentire di essa per il resto della propria vita. Esempio? Jalen Hurts, ovviamente. Ad Alabama aveva la strada sbarrata da Tua, e ora si trova a guidare un attacco stellare a Norman, ad avere discrete possibilità di vincere l’Heisman e, inoltre, a poter alimentare il sogno di mezza America di vederlo battere Alabama ai playoff. Sarebbe una storia straordinaria, una storia americana, nata da una seconda chance concessa ad un ragazzo che pareva aver finito le cartucce, una storia che deve la sua possibilità di esistere solo ed esclusivamente al portal.

Il secondo punto di vista è quello dell’allenatore. L’allenatore ha sentimenti contrastanti nei confronti di questo strumento, perché, se da un lato è vero che, attraverso esso, egli possa cercare i giocatori adatti a completare il suo roster, dall’altro è altresì vero che egli possa vedersi sottrarre dei ragazzi che magari considerava centrali nel suo progetto, senza necessario preavviso.

L’ultimo punto di vista, che è quello che a noi più interessa, è quello del tifoso. All’appassionato poco importa se un roster è incompleto o se un ragazzo viene dimenticato in fondo alla sideline. Allo spettatore basta poco tempo per affezionarsi ai ragazzi che vede in campo, ma gliene serve ancor meno per dimenticarsi di loro, qualora il loro utilizzo da parte del coach scemi. L’appassionato di College Football è ben diverso dall’appassionato di NFL: il secondo ama il gioco, nella sua massima espressione tecnico/tattica, mentre al primo il solo gioco non basta, al primo servono le tradizioni, la storia, le bandiere, le rivalità e tutto il resto. E, per certi versi, il portal rovina quelle tradizioni, trasformando una lega fatta di studenti-atleti – legati al proprio ateneo solitamente per questioni territoriali, e, perché no, anche idealistiche – in una lega fatta di professionisti-non-retribuiti, che, al pari di quelli retribuiti, valutano le migliori offerte (non economiche, almeno ufficialmente, ma sempre di offerte si tratta) e si spostano da una parte all’altra della nazione, perseguendo i loro personali obiettivi, più che quelli della loro alma mater.

Il portal, per come è costruito, ricorda in tutto e per tutto il mercato della carne, nel quale vengono esposti i vari pezzi, e sta all’acquirente scegliere i più pregiati.

È chiaro come esso abbia cambiato la lega. Giocatori come Jayden Daniels nell’era ante-portal non ci avrebbero pensato due volte ad andare a Texas, o Georgia o Alabama e via dicendo, probabilmente redshirtando il primo anno, facendo da backup il secondo, e poi, magari, iniziando a prendere in mano l’attacco. Ora, invece, la scelta dei ragazzi è molto più improntata sulla crescita personale, ossia sul “ciò che è meglio per me” dichiarato anche dal padre di D’Eriq King. E quindi Daniels – che abbiamo preso ad esempio – ha deciso di giocare per i Sun Devils di Arizona State, che gli garantivano un posto da titolare, sapendo che poi, tra un paio d’anni, potrà iscrivere il suo nome al portal e provare a giocarsi il titolo nazionale altrove.

E’ triste, dal punto di vista del romantico appassionato, che un giocatore come D’Eriq King, ragazzo di Manvel, Texas (25 miglia da Houston), che è passato per tre Head Coach e quattro Offensive Coordinator diversi, che quattro anni fa è arrivato a Houston come ricevitore, ed ha dovuto accontentarsi di una stagione nello special team, prima di essere aggregato all’attacco, e che si è conquistato il suo ruolo e il suo status a suon di prestazioni, in particolare in allenamento, che si è sempre dimostrato disposto a dare il 100% per la maglia dell’università della sua città, cui si è sempre detto legato; possa, da un momento all’altro, andarsene. È triste perché quando ciò succede si cancella automaticamente il passato, anche contro la volontà del ragazzo. Perché rischierebbe di essere ricordato solo il suo ultimo anno ad Oklahoma (piuttosto che a LSU o Alabama o Florida State), esattamente come successo a Kyler Murray e Baker Mayfield, le cui presenze con Texas A&M e Texas Tech rispettivamente sono andate dimenticate. Perché, come è giusto che sia, quando si parla di un giocatore gli si affibbia il nome del college in cui è cresciuto (per esempio nelle presentazioni in sovraimpressione nelle partite NFL), in quanto, nonostante le ultime tendenze, è ancora in vigore la credenza che il college sia unico. E se tra un paio d’anni sentiremo “D’Eriq King, from Oklahoma University” sarà come una pugnalata per tutti noi amanti, nostalgici e sentimentali, del college football che sta cambiando.

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