Jay Gruden non è più l’head coach dei Redskins

L’era Gruden a Washington è finita all’alba di lunedì 7 ottobre post disfatta casalinga per 33-7 contro i campioni in carica dei New England Patriots.

Che il licenziamento fosse nell’aria era risaputo ormai da tempo, tanto che alcune indiscrezioni davano già per certa la separazione dell’ormai ex coach in caso di sconfitta contro i New York Giants in week 4. Rimasto in sella, clamorosamente, dopo la sconfitta davvero pesante e molto più roboante di quest’ultima in week 5, Gruden paga un rapporto mai davvero sbocciato con la tifoseria che già da tempo ne chiedeva, simbolicamente, la testa e di essere capro espiatorio di un proprietario, Dan Snyder, che non ha mai mostrato molta lungimiranza negli ultimi anni.

L’affermazione nel post partita in risposta ai cronisti “se la mia chiave lunedì aprirà ancora la porta, continuerò a lavorare” era sembrata la frase di un head coach consapevole di essere al capolinea.

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Arrivato a Washington ad inizio 2014, dopo l’era Mike Shanahan non proprio entusiasmante, avrebbe dovuto riportare alla ribalta la squadra della capitale ma in sei anni è riuscito in una sola occasione a riportare la franchigia ai play-off, nel 2015, venendo eliminato immediatamente alle wild card. Per il resto ha ottenuto solo record negativi, se contiamo un 8-7-1 nel 2016 come risultato non certo esaltante, nelle altre cinque stagioni ed ha sorpreso non poco il fatto anche sia rimasto in sella anche per l’inizio della stagione 2019.

Sicuramente il contratto pienamente garantito fattogli firmare dopo la corsa ai play-off del 2015, di cinque anni, avrà pesato su tale scelta, tanto che Jay Gruden riceverà 5 milioni di dollari anche per l’annata del 2020 come previsto dal contratto.

Bisogna tuttavia ammettere che l’ex head coach dei Redskins non sia stato particolarmente fortunato in termini di quarterback nella sua esperienza nella capitale: quella che sarebbe dovuta essere la stella della franchigia per gli anni in divenire, ovvero il QB Robert Griffin III, ben presto si rivelò essere piuttosto scostante e tormentata dagli infortuni, nonostante i numeri da grande giocatore li avesse eccome, e la prima stagione da head coach nel 2014 si concluse con un 4-12 con un continuo alternarsi tra il QB da Baylor e McCoy.

La regular season 2015 si apre immediatamente con il problema RG3: per tutti è il titolare per la stagione che sta per iniziare ma una concussion in pre-season lo pone in lista infortuni venendo sostituito da Kirk Cousin. Quest’ultimo sorprende, macina record per la franchigia e porta incredibilmente i Redskins a un record di 9-7 con ciliegina la qualificazione ai play-off persi poi contro Green Bay alla wild card.

Nella stagione 2016 arriva la decisione di puntare forte sul QB Kirk Cousins e di rilasciare RG3, il quale è senza dubbi l’investimento più importante fatto dai Redskins: nel 2012 ci si è privati di ben tre prime scelte nei draft successivi per poter salire fino alla pick 2 e selezionare Griffin, scelte che si sarebbero poi rivelate altissime visti i record fortemente negativi della squadra, finendo per mettere in difficoltà riguardo la ristrutturazione del roster vista l’assenza di scelte “alte” per poter selezionare giocatori dominanti nei draft successivi. Il QB da Michigan State non delude, ma la squadra non gira a dovere e nonostante un record ancora una volta non negativo, 8-7-1, la franchigia della capitale non arriva ai play-off.

Nel 2017 la situazione roster non cambia puntando ancora su Kirk Cousins, il quale si dimostra ancora una volta un quarterback prolifico ma non propriamente costante, tanto che in molti mettono in dubbio il talento di quest’ultimo nel guidare la squadra ai playoff, terminando con un record di 7-9. I problemi a roster della squadra della capitale sono tanti, così tanti da far pensare che il merito del record finale nemmeno così negativo sia proprio del QB che a fine stagione saluta e si trasferisce in una squadra che punta decisa al Super Bowl, strapagato. A due anni di distanza i dubbi degli esperti sono ancora sotto la lente tanto che il giocatore non è riuscito ancora ad esprimersi pienamente in Minnesota.

Nel 2018 si torna a scommettere, e tanto, sulla propria pelle: via una terza scelta al draft ed il CB Kendall Fuller ai Chiefs per mettere le mani su Alex Smith, tagliato da Kansas City per via degli scarsi risultati ottenuti ai playoff dopo regular season trionfali ma soprattutto per l’esplosione dell’enfant prodige Patrick Mahomes. La scelta in realtà si rivela più che azzeccata e forse è la prima vera scelta effettuata dall’head coach il quale si è ritrovato, al suo arrivo, una squadra monca a livello di scelte alte al draft per scelte non sue: il QB da Utah guida la squadra della capitale ad un incredibile record di 6-3, e probabilmente li avrebbe portati ai play-off, ma in week 11 subisce un infortunio pesantissimo che mette a rischio l’intera sua carriera e non solo. Inutile aggiungere come l’assenza della propria stella porti i Redskins a perdere praticamente tutti i match successivi e a non qualificarsi ai play-off. La figura di Jay Gruden già in questo momento inizia seriamente a vacillare, ma licenziare un allenatore che avrebbe portato sicuramente la propria franchigia ai play-off senza l’infortunio shock di Alex Smith non ha convinto a pieno la dirigenza la quale ha optato per la riconferma.

Ed arriviamo ai giorni d’oggi: che i Redskins avessero decisamente bisogno di selezionare un quarterback al draft 2019 era fuori da ogni dubbio tanto che molte testate davano quasi per certo un altro “suicidio” di pick per alzare la propria posizione ed andare a selezionare il proprio QB già nelle prime cinque scelte. Non è stato poi cosi, ma incredibilmente alla quindicesima pick è arrivato esattamente il quarterback che la dirigenza voleva: Dwayne Haskins.

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E si, non ho sbagliato a scrivere: che voleva la dirigenza.

Gli attriti più grandi che hanno portato al licenziamento a stagione in corso dopo la partenza 0-5 stanno proprio qui: Jay Gruden non avrebbe voluto selezionare Haskins certo come era che McCoy avrebbe potuto traghettare la franchigia insieme a Case Keenum, presumibilmente ad un’altra stagione negativa, fino alla stagione successiva dove la classe dei QB dovrebbe essere teoricamente migliore del 2019, utilizzando invece la quindicesima scelta per puntellare la squadra in alti ruoli. La stessa scelta l’hanno fatta i Dolphins, i quali avevano necessità di un QB che andranno sicuramente a pescare al draft 2020 in una posizione altissima, che nel draft 2019 hanno selezionato il DT Christian Wilkins da Clemson facendo passare proprio Haskins.

Le cose come sappiano sono andate in maniera diversa.

Lo spazio che Jay Gruden concede fin dall’inizio ad Haskins è davvero esiguo e Case Keenum viene nominato titolare salvo rivedere la propria scelta dopo week 4. A seguito di una prestazione orribile dell’ex QB di Vikings e Broncos contro i Giants guidati dal rookie Jones, Gruden butta nella mischia a partita in corso, già fortemente compromessa, il rookie da Ohio State che incombe in una bruttissima prestazione. Con uno 0-4 che di per sé già praticamente chiude, anche se non matematicamente, la stagione, in molti si aspetterebbero la scelta di nominare Dwayne Haskins titolare per la restante parte della stagione ma nella settimana che porta alla week 5 succede che Colt McCoy ritorna attivo dopo l’infortunio subito sul finire della passata stagione e viene nominato titolare.
Risultato: un 33-7 casalingo contro i Patriots e tanti saluti alla sideline dei Redskins da parte di Jay Gruden.

Non tutte le colpe delle pessime stagioni dei Redskins sono da addebitare a Jay Gruden, il quale comunque ci ha messo del suo. La dirigenza ha sempre voluto mettere l’ultima parola su tutte le scelte e non è un caso se nel mondo della NFL si usa dire che solitamente un nuovo head coach si sceglie il proprio QB a cui lega quasi indissolubilmente la propria carriera in quella franchigia. Beh, Gruden questo non ha potuto certamente farlo.
Rimane agli annali un record complessivo finale di 35-49-1 di certo non esaltante che lascia i tifosi capitolini con l’amaro in bocca e speranzosi di un nuovo corso vincente già dal 2020.

La squadra sarà affidata ad interim, presumibilmente fino al termine della stagione, all’offensive coordinator Bill Callahan il quale ha già svolto questo ruolo agli Oakland Raiders, curiosamente in sostituzione del fratello maggiore di Jay, Jon, guidandoli ad un record positivo e al Super Bowl già al primo anno. Molti stanno già ricordando questi fasti alludendo ad una maggiore esperienza e capacità di Callahan, ma tocca anche ricordare come i Raiders persero in maniera netta quel Super Bowl in quanto il nuovo head coach ad interim dei Redskins arrivò al grande ballo utilizzando quasi tutti gli schemi lasciati in eredità da Jon Gruden passato ai Buccaneers, proprio coloro che li surclassarono ad un passo dall’anello.

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Eugenio Casadei

Appassionato di calcio (Bologna) e trekking, segue il football assiduamente dal momento in cui vide giocare Peyton Manning con la maglia orange di Denver, divenire tifoso Broncos una naturale conseguenza. Scrive la rubrica settimanale "Indiscrezioni di mercato NFL" in offseason e la "Top Ten" in regular season con grande divertimento e passione.

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2 Commenti

  1. ….il finale di Gruden era scritto da tempo. E comunque non è l’ unico che deve pagare per questa lento e costante declino.

    Tempi duri per noi dei Redskins

  2. I 52 giocatori infortunati degli ultimi quattro anni equivalgono a un intero roster. Il bilancio della scorsa stagione fu addirittura drammatico con il season-ending – e forse career-ending – injury di Alex Smith; la rottura di Guice nella prima partita di pre-season; l’Offensive Line interamente falcidiata; Jordan Reed in eterno concussion protocol; e poi i ricevitori, il kicker… Ciò non toglie che Gruden, nelle sue sei annate, abbia avuto a disposizione molti buoni giocatori come DeSean Jackson, Garcon, Crowder, Cousins ed eccellenti collaboratori come Sean McVay; nel 2018 anche la difesa aveva iniziato a macinare turnovers e buon gioco, prima che l’attacco, incapace di concludere un drive, non gli gettasse addosso il peso di ogni partita. Il suo playbook, del tutto privo di running-game, è sempre stato povero e prevedibile, al di là degli interpreti. Certo, Gruden non è l’unico colpevole. Proprietà e management dovranno riaccendere gli entusiasmi della tifoseria con operazioni coraggiose: un nuovo stadio e un coaching staff all’altezza dei colori e della tradizione capitolina.

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