Good job, Teddy

Il draft 2014 è forse quello che ho seguito più da vicino, probabilmente nell’anno di personale picco di interesse per la NFL e la NCAA combinate. A quel draft vennero scelti diversi QB promettenti, la maggior parte oscurati dall’immensa stella mediatica di Johnny Manziel di cui ancora sentiamo i riverberi supercazzolari a cinque anni dalla sua parabola “stupefacente”.

Tra questi vi era un ragazzo proveniente da Louisville, che personalmente adoravo e che pensavo fosse il migliore del lotto pur essendo fondamentalmente un pocket passer: Teddy Bridgewater. Louisville nel giro di pochi anni era riuscita a scalare posizioni nella classifica dei programmi di football più interessanti della east coast e puntualmente “suonava” i cugini di Kentucky nella Governor’s Cup. Teddy, assieme a Devante Parker e ad un attacco vivacissimo erano il fiore all’occhiello di un team arrivato a vincere il Sugar Bowl contro Florida #4 al termine della stagione 2012, e vi assicuro che fu un piacere guardarli quell’anno e, nello specifico in quella gara di cui rimane storico lo scatto che immortala proprio il giovane QB in caduta a peso morto, senza casco, in un frontale con un rusher avversario dopo un lancio: di Teddy infatti si poteva dire tutto, che fosse inchiodato alla tasca, che fosse troppo esile, che non avesse il braccione, ma non certo che fosse uno che sragionava sotto pressione

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Bridgewater, con mio grande scorno da simpatizzante dei Jaguars, non venne scelto dai micioni in favore di quella testademmerda di Blake Bortles, e fu bypassato anche dai Browns che, da buoni parafulmine di sfighe, si misero in casa Manziel. Furono i Vikings, proprio alla pick #32, a chiamarlo regalandogli la possibilità di risollevare un ruolo che a Minneapolis era stato fino al giorno prima di Christian Ponder, il sogno bagnato di ogni defensive back dei Packers di quegli anni. Teddy non fece pentire Minnie, e dopo aver preso il posto da titolare per l’infortunio di Matt Cassel proprio contro i Saints il 21 settembre, tirò la carretta fino alla fine con una presenza così brillante che gli valse il posto dell’All-Rookie di quell’anno ed il Pepsi Rookie of The Year. Pro Football Focus in offseason analizzò il rendimento dei QB della lega sotto pressione e il ragazzo di Miami risultò centrare il bersaglio oltre il 75% delle occasioni in cui era stato messo “under pressure”, un dato fino a quel momento mai registrato dal sito di advanced stats.

L’anno successivo, pur non essendo più un oggetto misterioso, e sentendo il peso della guida di una squadra NFL, Bridgewater aiutato da una difesa eccellente, riportò in Vikings sul tetto della NFC North dopo sei anni di astinenza, guadagnandosi il primo Pro Bowl e la prima presenza in postseason.

Poi arrivò il 30 agosto 2016, alle porte di una stagione che per Minnesota si proponeva essere carica di speranze.

Una non contact injury mise fuori uso il giovane QB, per un periodo stimato in 17-19 mesi. Una vita per un ragazzo di 24 anni ma anche (e forse di più) per una Lega che è frullatore e tritacarne al tempo stesso. In molti non si capacitavano di quanto potesse essere “bad” l’infortunio di Teddy, che aveva riportato “danni strutturali” al ginocchio oltre al dislocamento ed alla rottura di due, tre, forse addirittura tutti e quattro i legamenti, i due collaterali ed i due crociati. Un infortunio immediatamente apparso così grave da far scattare la chiamata al 911 direttamente dal campo.

Il Boston Globe, nel chiedersi il futuro di Teddy Bridgewater, domandò al chirurgo ortopedico David Chao, per un quindicennio capo team medico ai Chargers, cosa ne pensasse dell’infortunio e lui lo paragonò a quello subito dall’ex RB  Robert Edwards , che si distrusse il ginocchio giocando a flag football sulla spiaggia durante un evento del Pro Bowl nel 1999 e rischiò seriamente l’amputazione della gamba. Edwards non tornò più ai livelli precedenti pur militando in Canadian Football League.

Ovviamente, Minnesota non poteva permettersi di esercitare l’opzione sul quinto anno del contratto da rookie di un giocatore che sarebbe costato sette milioni di dollari guardando dal divano, il 1 maggio 2017 Bridgewater divenne free agent per la imminente stagione, quando già aveva iniziato a lanciare . L’allenatore Mike Zimmer un mese dopo disse che Bridgewater “ha ancora molta strada da fare” per la completa guarigione, pur rimanendo colpito dai suoi progressi nella riabilitazione. Tuttavia, il 2 settembre, i Vichinghi annunciarono che avrebbe iniziato la stagione nella lista dei PUP, il che significa che avrebbe perso le prime sei partite per iniziare l’anno. Il 16 ottobre tornò ad allenarsi con la squadra, guadagnando il roster attivo l’8 novembre come backup di Case Keenum . In Week 15 contro i Cincinnati Bengals giocò qualche snap in garbage time in una gara finita 34–7. L’amore tra Minnie e Teddy finì così.

I Jets, da lustri incapaci di trovare un QB degno di questo nome, piombarono sul free agent con un contratto potenzialmente importante ma, al lato pratico piuttosto sottile, ma Bridgewater, ormai 26 enne, non sarebbe mai sceso in campo nella Grande Mela, scambiato con New Orleans alle porte della stagione 2018 per una terza scelta al futuro Draft.

C’è da chiedersi come si debba essere sentito uno che aveva portato una franchigia spernacchiata alla postseason, che si era guadagnato un Pro Bowl dopo due anni di NFL, a sentirsi dire dai New York Jets che a quarterback non avevano bisogno di lui, per promuovere poi dalla practice squad Davis Webb. Come quando al parco facevano le squadre, rimanevate tu e quello ciccione con la candela al naso, e lui veniva scelto prima di te.

Ma è evidente che chi nasce professionale sa sopportare tutto questo. Fianco a fianco a Drew Brees, una delle icone della Lega, uno da cui imparare, anche in tema di recupero da infortuni pesanti (chiedere ai San Diego Chargers), Bridgewater si è allenato tutta la stagione 2018. Sean Peyton evidentemente ha visto qualcosa in Bridgewater, qualcosa che si era perso durante questo calvario di tre anni: causa infortunio al pollice di Brees, Teddy quest’anno è diventato momentaneamente starter di una squadra costruita per dare non tanto a lui quanto al nano di Dallas una delle ultime possibilità di mettersi al dito un ulteriore anello che forse si meriterebbe.

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Brees Bridgewater

Questo ha rapidamente modificato la traiettoria di carriera di Teddy Bridgewater: due start così così dettati dalla difficoltà sul lungo, poi una delle migliori prestazioni della carriera, fugando l’ingombrante ombra di Taysom Hill, un quarterback “Mr. Do it All” come lo ha definito Pro Football Talk, in grado di ricoprire praticamente tutti i ruoli d’attacco e special team.

Teddy sarà free agent dopo la stagione 2019, ma i risultati di questa stagione suggerirebbero che potrebbe essere una buona scelta da parte dei Saints che hanno mantenuto perfettamente inalterata la loro corsa al Super Bowl durante l”assenza di Brees. Alla domanda sulla sua recente opportunità, Bridgewater sembra godersi le sue nuove sfide.

“Mi sto divertendo, vivendo il momento. Sono fiducioso nel farlo. Questi ragazzi qui intorno si nutrono l’uno dell’altro ed è un gruppo sicuro di sé”

Ovviamente, tutto questo finirà quando l’ex Purdue sarà in grado di rimettersi in sella, relegando Bridgewater alla sideline, ma pochi tre anni fa avrebbero scommesso in una sua stagione 2019 di questo tipo, era più facile pensare che la sua carriera fosse finita.

Scopriremo presto cosa riserva il futuro per Teddy Bridgewater, ma la lega ha fretta di nuovi personaggi da copertina, di storie miracolose, ed in effetti lui di cose ne avrebbe da dire. Per questo qualcuno già sussurra che vedrebbe bene Teddy come post-Brees, ma solo il tempo lo dirà. Per ora, è stato un semplicemente un eccellente sostituto dell’infortunato e ha tenuto i santi a galla in assenza di un uomo che pareva insostituibile. Il resto si vedrà.

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