[NFL] Week 1: Giocatori in cerca di autore (Baltimore Ravens vs Miami Dolphins 59-10)

Se l’obiettivo dei Miami Dolphins era quello di calmierare le aspettative ai propri tifosi, allora è stato centrato in pieno, e dopo nemmeno un intero quarto di gioco. 50 yards di corsa prese sul primo gioco dei Ravens, 0-7 dopo 4 minuti e mezzo, 0-14 a metà primo quarto, 0-21 dopo 10 minuti e mezzo di gioco. Non c’è voluto molto per esporre in modo brutale la fragilità attuale e i limiti potenziali del roster che i Miami Dolphins hanno assemblato in fretta e furia prima dell’inizio della stagione.

Dei 53 giocatori a roster 14 non erano neanche a Miami ad inizio della settimana. 18 sono undrafted, cioè giocatori (degnissime persone, per carità ma) non reputati degni da 32 General Manager NFL di essere scelti nemmeno al settimo giro del draft. 36 di loro hanno non più di 3 anni di esperienza nella lega, e infatti il roster dei Dolphins è il più giovane della NFL, con una età media di poco più di 25 anni e mezzo.
Solo 21 di loro erano a Miami lo scorso anno (il che, per differenza, vuol dire che – almeno – 32 sono quello che lo scorso anno c’erano e adesso puff! spariti!). L’ineffabile Ryan Fitzpatrick ha sintetizzato mirabilmente la situazione nel pregara con i giornalisti con una battuta delle sue: “Quando arriveremo nell’huddle ci presenteremo”. Fantastico.

Perché l’impressione è stata proprio quella: 53 giocatori che non avevano idea di come giocare insieme, che non sapevano cosa fare, che non riuscivano a capire chi marcava chi, che sembravano capitati lì per caso a giocarsela di fronte ad una vera squadra NFL. E, ovviamente, l’impressione peggiore l’ha fatta la linea d’attacco, composta da 5 persone che a tratti sembravano giocare ognuna per conto suo: e pensando che il lato destro era fatto da Danny Isidora e Julian Davenport, che ad inizio settimana stavano uno a Minneapolis e uno a Houston, la cosa è anche abbastanza comprensibile. Triste, ma comprensibile.

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Dietro una linea così solo uno come Ryan Fitzpatrick poteva giocare. Uno che in tutti questi anni di carriera ne ha viste di tutte e di più (a proposito, ieri è diventato l’unico giocatore nella storia NFL a mettere a referto almeno un touchdown – e, per dovere di cronaca, anche un intercetto – con 8 diverse squadre, e solo per questo è meritevole di complimenti) e che ha una presenza nella tasca e una capacità di fiutare gli avversari che a Miami non si vedevano da un po’. Le poche volte che ha avuto un filino di tempo è anche riuscito a completare qualcosa (ad esempio, il passaggio in touchdown per la strepitosa ricezione di Preston Williams) ma è successo davvero di rado e, quel che è peggio, è sembrato succedere per caso. E quando in pieno garbage time è entrato Josh Rosen si è visto che le cose non sono cambiate di una virgola.

E in difesa le cose sono andate anche peggio, con marcature che saltavano (ammesso che fossero state concordate), prestazioni imbarazzanti e penalità che volavano da tutte le parti. Minkah Fitzpatrick così brutto da non essere vero, Eric Rowe bersagliato come un orso al luna park (visto che se da un lato c’è Xavien Howard i qb lanciano dall’altra parte) e una pass rush talmente assente da chiedersi se i tagli di Tank Carradine e Nate Orchard fossero proprio così vitali per il Progetto con la P maiuscola.

Brian Flores nel dopo partita non ha salvato nessuno, nemmeno sé stesso, e ne ha tutti i motivi. Ha rigettato al mittente con stizza le scuse sulla pochezza del roster (“We’ve got the guys we’ve got”, abbiamo i ragazzi che abbiamo), sostenendo che bisogna migliorare in tutto, attacco, difesa, special team, coaching, tutto. Difficile dargli torto per un tifoso, anche se allo stadio i buuu sono partiti già a metà del primo quarto e a fine partita sono diventati un ululato generale nonostante gli spalti ormai quasi vuoti.

I tifosi dei Baltimore Ravens si chiederanno: “Ma… e noi?”. Sì, vero, i Ravens. Lamar Jackson ha fatto quello che ha voluto nel modo in cui nessuno se lo aspettava, cioè col braccio e non con le gambe. Mark Ingram e Gus Bradley hanno fatto quello che hanno voluto. Patrick Onwuasor, Matthew Judon e Michael Pierce hanno fatto quello che hanno voluto. Earl Thomas e Tony Jefferson hanno fatto quello che hanno voluto. Mark Andrews e Hollwyood Brown (almeno finchè non lo ha marcato Xavien Howard) hanno fatto quello che hanno voluto. Ehi, perfino RGIII ha fatto quello che ha voluto, tornando a lanciare un touchdown dopo parecchio tempo. Ma come fai a giudicare una squadra da una partita giocata contro… 53 personaggi in cerca d’autore?

Anche John Harbaugh ha fatto quello che ha voluto, con un fake punt da 60 yards in faccia ai Dolphins e un drive finale chiuso solo sulla linea delle 5 yards, quando dopo due timeout chiamati inaspettatamente da Flores ha dato l’ordine di inginocchiarsi e chiuderla lì. Mentre tutti si aspettavano che, ormai, i Ravens andassero per i 60 punti, che chissà quando ti ricapita.
59 punti sono comunque il record di franchigia di punti segnati per i Baltimore Ravens. Sono invece solo il secondo punteggio più alto subito nella storia dei Dolphins, secondo solo al (purtroppo) memorabile 62-7 del 15 gennaio 2000 contro i Jaguars, cioè l’ultima partita della carriera di Dan Marino. Due partite da ricordare e, speriamo, da non rivedere più.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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Un Commento

  1. buona sera a tutti. vorrei dire che esordio peggiore non poteva esserci. i segnali c’erano tutti,tanti giocatori nuovi,molti undrafted,alcuni appena arrivati. pero una minima speranza di una partita almeno normale e già svanita dopo 15 minuti. e la prossima domenica arrivano i Patriots, prepariamoci a un altra sconfitta, con l’unica speranza di vedere un qualche miglioramento.

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