[NFL] Super Bowl LIII: Dalla panchina dei Los Angeles Rams

Se ad uno che non avesse visto la partita aveste detto che i New England Patriots avevano segnato 13 punti in totale, lui avrebbe sicuramente chiesto: “Quindi i Rams di quanto hanno vinto?”. E invece quei tredici punti non solo sono bastati ai Patriots per aggiudicarsi il Super Bowl LIII, ma anche per garantirsi la vittoria con il maggiore scarto della loro storia in una finale, perché Los Angeles è stata in grado di mettere soltanto tre punti sul tabellone grazie ad un field goal di Zuerlein.

Questa sconfitta è figlia di tanti papà, per Los Angeles, dalla panchina al campo, ma le responsabilità principali sono tutte in capo a Sean McVay, il quale non ha esitato un attimo a riconoscere di essere stato “outcoached”, come si dice in gergo, da quella vecchia volpe in felpa rispondente al nome di Bill Belichick.
La trappola che Belichick ha preparato per fermare uno degli attacchi più esplosivi della lega ha funzionato alla perfezione, anche perché McVay non ha saputo trovare delle contromisure adatte alla tattica avversaria.

La scelta di New England di preparare un fronte a sei per chiudere ogni possibilità di corsa a Gurley e Anderson, lasciando la secondaria a zona per la maggior parte degli snap, ha messo in difficoltà l’attacco di Los Angeles, che ha visto via via perdere di efficacia le play action, vero punto cardine dell’attacco di McVay, nonostante la difesa continuasse comunque a rispettare la presenza di Gurley o Anderson nel backfield. Enorme pressione in linea, con Goff colpito più del doppio delle volte, in media, rispetto a quanto era abituato ad esserlo in stagione, copertura quasi sempre perfetta dei ricevitori, azzeramento dei tight end, ed il gioco di passaggio dei Rams è servito. Difficile trovare soluzioni per Goff, che molto spesso si è trovato a doversi mangiare il pallone oppure rischiare un passaggio sulle coperture.

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Prima di proseguire, analizziamo invece la tattica difensiva messa a punto da Wade Phillips, che ha anch’essa messo in grossa difficoltà l’attacco guidato da Tom Brady.
Fronte a cinque come nelle ultime partite con Dallas e New Orleans, per cercare di contenere Michel e White all’interno, dove il trio Suh/Donald/Brockers avrebbe potuto bloccare il gioco di corsa, grazie al lavoro dei due edge Fowler e Ebukam. I due linebacker Barron e Littleton in copertura su tight end e slot, pronti comunque ad aiutare sul gioco di corsa, e secondaria in una sorta di zona ibrida con coperture a uomo e raddoppi a zona a seconda delle necessità, in maniera da avere una copertura davanti al ricevitore ed una dietro a mo’ di pinza, tattica utilizzata con grande successo per limitare Michael Thomas nella finale di conference.

Le scelte di Wade Phillips hanno tutto sommato pagato, perché le corse non sono state un fattore fino agli ultimi due drive, dove però le condizioni erano cambiate e le esigenze non erano più bloccare l’attacco ma riavere la palla indietro nel minor tempo possibile, e la partita di Brady non è stata tra le sue migliori in carriera. Con entrambe le squadre con una strategia difensiva vincente, dove è stata la differenza che ha permesso ai Patriots di vincere?
Una, evidente, si chiama Edelman. Due ricevitori riuscivano a liberarsi abbastanza frequentemente, partendo entrambi dallo slot: Julian Edelman per i Patriots e Josh Reynolds per i Rams.
Se Edelman veniva colpito con regolarità da Brady, non altrettanto si può dire di Reynolds il quale, dopo un paio di passaggi in cui è stato chiamato in causa e non ha saputo trattenere l’ovale, è stato sistematicamente ignorato da Goff anche quando il difensore più vicino si trovava in Florida. Cattiva lettura di Goff contro ottima lettura di Brady, quindi. Ma non solo.

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Il playcalling di McVay è stato abbastanza discutibile, soprattutto perché veniva spesso cercato il profondo senza accontentarsi dell’intermedio, zona che una copertura come quella attuata dai Patriots avrebbe dovuto essere vulnerabilissima. E qui ci sarebbero dovuti stare i famosi aggiustamenti che McVay non ha assolutamente attuato, riprendendo nel secondo tempo esattamente la stessa tattica fallimentare del primo. Se c’è una cosa in cui McVay deve migliorare è proprio il capire che non è sempre possibile andare in campo ed imporre la propria strategia confidando nel fatto che sono gli avversari a doversi adeguare. A volte, come è capitato ad Atlanta, semplicemente l’avversario non ti permette di imporre il tuo gioco, ed allora devi essere bravo e capace di trovare una soluzione alternativa.

L’abilità di Belichick ne far giocare male le squadre che incontra si è palesata ancora una volta, e se la tentazione di giustificare una sconfitta con la scusa della giornata no dei propri giocatori chiave è sempre forte, bisognerebbe domandarsi come mai tutti hanno la loro giornata no quando incontrano i Patriots. Non crediamo si tratti solo di fortuna.
I Rams escono sconfitti ma non certamente ridimensionati da questo Super Bowl LIII. E’ tempo, per McVay (ma vale anche per Goff e compagni) di tornare a studiare, utilizzando l’off season per cercare di correggere gli errori di questa stagione e presentarsi ai nastri di partenza della stagione del centenario più carichi e motivati di prima.

Abbiamo lasciato per ultime le considerazioni su Todd Gurley. E’ chiaro che c’è qualcosa che non sappiamo e che probabilmente scopriremo tra qualche settimana, perché non è possibile che un giocatore che ha cantato e portato la croce per tre quarti sdi stagione, arrivando anche ad essere indicato come possibile MVP della lega, finisca nell’anonimato della panchina a spartirsi le giocate con CJ Anderson ed uscendo, di fatto, dai giochi nella partita più importante della stagione. Poche corse, mai coinvolto nel gioco aereo che tante volte aveva permesso a Goff di togliere le castagne da fuoco, ridotto ad un anonimo portatore di palla da far entrare alla bisogna, magari solo per bloccare. Infortunio, problemi con coaching staff o compagni di squadra, problemi di comportamento fuori dal campo? Tutto può essere. Ne sapremo di più a breve.

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Massimo Foglio

Segue il football dal 1980 e non pensa nemmeno lontanamente a smettere di farlo. Che sia giocato, guardato, parlato o raccontato poco importa: non c'è mai abbastanza football per soddisfare la sua sete. Se poi parliamo di storia e statistiche, possiamo fare nottata. Siete avvertiti.

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