[NFL] Week 3: Il finale che (non) t’aspetti (Oakland Raiders vs Miami Dolphins 20-28)

E’ andata come doveva andare: fra una squadra che di solito crolla alla distanza (Oakland) e una che di solito esce alla distanza (Miami), la gara si è risolta nell’ultimo quarto. Grazie a un parziale di 14-3 nel quarto periodo i Dolphins rimangono imbattuti e i Raiders rimangono senza vittorie. Tutto secondo copione.

In realtà, non è stato tutto così lineare. Tanto per dirne una, i Raiders hanno tenuto palla per 38 minuti e mezzo, contro i 21 e mezzo degli avversari; e nel primo tempo gli ospiti sembravano davvero in controllo abbastanza totale, nonostante il divario comunque minimo sul tabellone. I numeri al riposo sono impietosamente a favore di Oakland: 228 yards a 126, 9 primi down contro 6, 17 minuti e mezzo di possesso contro 12 e mezzo e, perfino, un solo punt contro 4 degli avversari. A tre minuti dalla fine del terzo quarto Oakland era andata sopra 17-7 e fino a lì i Dolphins avevano azzeccato praticamente solo l’azione del touchdown (uno splendido passaggio di Ryan Tannehill per Kenny Stills, 34 yards direttamente in end zone).

Marshawn Lynch aveva esibito sprazzi di “Beast mode”, David Carr e Jordy Nelson (5 ricezioni, 151 yards e 1 touchdown solo nel primo tempo) si erano ricordati l’uno dell’esistenza dell’altro e avevano infierito contro la secondaria dei padroni di casa, priva di Reshad Jones e con Minkah Fitzpatrick esposto agli inevitabili errori di gioventù. E la difesa non aveva lasciato quasi nessuno spazio all’attacco Dolphins, con la linea difensiva ad annullare la OL di Miami, il running game annullato (4 portate e 3 yard per Frank Gore, 3 e 2 yards per Kenyon Drake) e Ryan Tannehill – comunque bravo a non commettere errori – limitato nel primo tempo a 10 completi e 121 yards, comprese però le 34 del già citato touchdown.

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Poi, appunto, nel drive immediatamente successivo al touchdown di Lynch del 17-7, i Dolphins hanno accorciato le distanze in soli due minuti, con Jakeem Grant che prima ha ritornato 32 yards il kickoff e poi ha ricevuto in end zone il pallone che ha ridotto le distanze a soli 3 punti.  E, a quel punto, la partita è cambiata, forse nella testa degli uomini di Jon Gruden si sono riaffacciati i fantasmi e la paura di buttar via un’altra partita e, alla fine, è andata esattamente così. Miami ha preso il comando delle operazioni e Oakland non ha più avuto né trovato spazio. Vale la pena ricordare che i Raiders quest’anno hanno sempre chiuso il primo tempo in vantaggio, per poi perdere tutte e tre le partite. Nei secondi tempi hanno un differenziale di -43 fra punti fatti e punti subiti, che è insieme parecchio significativo e parecchio clamoroso.

Il progetto di Jon Gruden è sicuramente a medio/lungo termine; d’altronde, con un contratto di dieci anni in tasca e la prospettiva di uno spostamento a Las Vegas fra un paio d’anni, non può essere altrimenti. Però le difficoltà che stanno incontrando i Raiders attuali sono difficilmente spiegabili con ragioni tecniche, anche se i limiti del roster in certi ruoli sono oggettivi ed aver perso un Khalil Mack a caso nel modo in cui è successo non ha certo aiutato. Anche aver perso tre partite in rimonta, al limite, può anche essere un caso e non un sintomo, ma sarà il caso che Gruden si impegni per trovare una soluzione, perché un progetto ambizioso qual è quello che gli è stato affidato rischia di partire zoppo per una “banale” crisi di fiducia.

Dall’altro lato, i Miami Dolphins sono 3-0, in compagnia di Chiefs e Rams (due squadre, va detto, che sulla carta sono ben più attrezzate e accreditate di loro). L’ultima volta che era capitato è stata nel 2002. Erano i Dolphins di Dave “baffone” Wannstedt, di Zach Thomas e Jason Taylor, di Sam Madison e Pat Surtain, di Oronde “manone” Gadsden, Chris Chambers e Randy McMichael; c’era pure un Cris Carter a fine carriera e, soprattutto, quell’anno era arrivato dai Saints anche un tale Ricky Williams. E (per la serie “non si può aver tutto”) come quarterback c’era Jay Fiedler, con l’ineffabile Ray Lucas a fargli da backup. Insomma, non era malaccio come squadra, e infatti veniva da 5 apparizioni consecutive ai playoff. Ma non finì bene, con due sconfitte nelle ultime due partite (l’ultima a Foxboro) e un record di 9-7 che li escluse dalla post season.

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Questa squadra è migliore o peggiore? Difficile dirlo, anche perché i 16 anni trascorsi sono stati quasi un’era geologica, per quanto è cambiata la NFL nel frattempo. Questa, però, sembra davvero una squadra, unita e coesa come non era dato immaginare, che gioca non male e commette pochi errori. L’immagine dei giocatori che celebrano il touchdown tutti insieme, o quella di Albert Wilson e Jakeem Grant che si danno il cinque prima di entrare in end zone sono emblematiche di quanto quest’anno Adam Gase stia forse riuscendo ad avere per le mani quello che voleva. Il prezzo pagato è stato alto, la rinuncia a Jarvis Landry, Jay Ajayi, Ndamukong Suh, Mike Pouncey, tutti beniamini dei tifosi scaricati in nome di uno spirito di squadra che prima Gase non era riuscito ancora a trovare (e che lo scorso anno era finito bruciato sull’altare dell’esperimento-Cutler).

Basterà questo per portare avanti i Dolphins? Tre partite sono poche per dirlo con certezza, ma due cose si possono già tranquillamente dire: una è che il record di 3-0 parla da solo (“vincere aiuta a vincere”) e l’altra è che domenica arriverà la prima vera prova del nove, cioè l’annuale gita a casa dei Patriots.

Mai come quest’anno e in questo momento il divario fra Miami e New England sembra essersi ridotto ad una forbice cortissima, sia per le buone prestazioni dei Dolphins sia per la vera o presunta crisi di cui sembrano preda i Patriots. Coach Gase è il primo a sapere che tutto questo non conta nulla: la classifica (qualunque sia l’esito della partita Miami rimarrà in testa alla AFC East), le chiacchiere, gli infortuni: i Patriots non sono mai morti (cit.). Sarà una domenica interessante.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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6 Commenti

  1. Buona sera a tutti. Comincio col dire che non credevo in questa vittoria. E fin quasi alla fine sembrava arrivare la prima sconfitta. Poi però ecco che arriva il gioco che cambia l’ incontro. E arriva la terza w. Il lavoro e soprattutto le scelte di Gase stanno dando i loro frutti. E la squadra sembra solida e unità. Però come avevo scritto la scorsa settimana, e ancora presto per parlare di playoff. Anche perché dopo New England, ci sono Cincinnati e Chicago. Se però si riesce a superare questo trittico con almeno una sola sconfitta, allora la parola playoff si può pronunciare. Un ultima cosa. E vero che sia l’attacco che la difesa, anno perso giocatori importanti. Più i gravi infortuni a Sitton e Hayes. Però la linea d’attacco a concesso 0 Sacks nel ultima partita. Mentre la difesa e sembra veramente solida. Con una secondaria veramente interessante. Un saluto a tutti e forza dolphins.

    1. Ciao Alberto. E’ giustissimo quello che hai detto, il lavoro sta dando i suoi frutti. Quindi, testa bassa e continuare così, che per guardare la classifica sul serio c’è ancora tempo. Gli infortuni non devono essere una scusa perchè (purtroppo) capitano a tutti ma le squadre forti trovano il modo di superarli (e proprio i Patriots ne sono l’esempio perfetto). Un saluto anche a te! FinsUp!

    1. Sortino, non posso dire “prego” per conto di Gruden, ma posso ricordare che lui al dito un anellino ce l’ha… 🙂

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