High School Football, le luci del venerdì sera – 2° parte

Il football americano che conosciamo meglio è quello dei professionisti NFL e dei College NCAA, sappiamo meno del livello inferiore, di quello che succede nelle High School e di come funziona il passaggio dalla scuola superiore al college. In quattro articoli che saranno anche raccolti in un ebook vi racconteremo il cosiddetto Friday Night Football.

UN PO’ DI STORIA

Così come il football collegiale, partito dalla costa Est ma sviluppatosi soprattutto nella regione dei grandi Laghi, quello dell’high school vide le prime squadre sportive di rilievo proprio di quella zona, come la Oak Park and River Forest High School che sotto la guida di Robert Zuppke fu la prima campionessa nazionale dominando dal 1910 al 1913, o le scuole di Toledo, Jesup Wakeman Scott High School e Morrison R. Waite High School che vinsero 5 titoli tra il 1916 ed il 1932.

Sempre in Ohio però, arrivò la prima scuola che rivoluzionò il pensiero di questo gioco: nel 1936 la Washington High School di Massillon (Ohio) chiuse la stagione 10-0 allenata da un formidabile ragazzo di soli 28 anni di nome di Paul Brown, che quella stessa scuola aveva frequentato quasi quindici anni prima.

Lì si era formato come giocatore, poi si era trasferito a Ohio State dove non aveva trovato posto nella locale squadra di football ed aveva ripiegato per Miami University.

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Scartata l’ipotesi di continuare gli studi storici, su raccomandazione del suo coach a Massillon, era stato assunto nella privata Severn School nel 1930 come allenatore della squadra di football a 22 anni, a cui fece vincere il titolo del Maryland al primo colpo, ed infine assunto alla Massillon al posto del suo mentore Dave Stewart. Qui Brown istituì metodi di lavoro decisamente più duri ma più proficui, gli schemi virarono verso la rapidità a dispetto della forza, grazie alla sua esperienza di “piccolo” in un gioco fatto per “grossi”, e grazie alla sua concretezza nell’obiettivo sportivo, portò la conseguenza di una totale desegregazione: la Massillon aveva tutti i migliori ragazzi di colore che gli altri non volevano, più tutti i ragazzi bianchi reclutati con abilità. A questo aggiunse l’invenzione del playbook, pensata geniale che gli diede un vantaggio sostanziale sui colleghi.

Quella del 1936 fu parte di una serie di cinque stagioni in cui solo l’influenza epidemica del 1937 fermò la Massillon: cinque stagioni, una sconfitta, ed il precedente titolo dello stato dell’Ohio vinto nel 1935 e bissato nel 1936.

A quell’epoca andava di moda organizzare gare post-season dove le scuole imbattute invitavano altre scuole imbattute per rendere una definitiva prova di forza ed essere considerata unanimemente campione nazionale.

Occorre quindi fare una precisazione: il titolo di campione nazionale, pur rivendicato con orgoglio dalle scuole, è un titolo virtuale deciso dai voti dei giornalisti e degli esperti del settore. Come ho sempre ritenuto, lascia il tempo che trova esattamente come i titoli nazionali del College Football all’epoca del pre-BCS. La scelta di giocare gare di “spareggio” rispondeva al legittimo sentimento che semplici poll non bastassero a decidere veramente quale fosse la migliore.

Nel 1936 la Central High School of Knoxville, in pieno segregazionista Tennessee, invitò la Massillon per una di queste gare. Brown si rifiutò di lasciare fuori i propri giocatori di colore da questa gara, come richiesto da una buona scuola segregazionista. Ovviamente, a monte della decisione c’era il fatto che i ragazzi di colore erano una parte considerevole e piuttosto importante di quel team, non c’era certo un intento “morale” nel rifiuto di giocare. Visto il forfait, la Central si autoproclamò campione nazionale “a tavolino”, ma per acclamazione fu proprio la Washington ad essere ricordata negli annali come la scuola campione del 1936.

Con il tempo l’integrazione è diventata cosa comune ma negli Stati Uniti ancora negli anni ‘60 e ‘70 questo era un problema molto serio. L’integrazione ha fatto da sfondo per le vicende dei Titans della T.C. Williams di Alexandria, Virginia, che nel 1971 divenne campione statale dopo una integrazione forzata tra ragazzi bianchi e di colore sotto la guida di coach Herman Boone, in un campionato dove le altre scuole erano già integrate negli anni precedenti.

E se ancora negli anni ‘70 l’Ohio era terra fertile per l’high school football, negli anni ‘80 il baricentro si spostò nella cosiddetta bible belt con Texas e Florida, per poi veder crescere tantissimo le scuole californiane come la De La Salle.

Quest’ultima è il liceo dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Concord, un paesone dell’interno californiano dove d’estate si superano i 40 gradi. La figura cardine del programma sportivo della scuola è stato Bob Ladouceur, insegnante di religione ed ex giocatore di football collegiale a Utah e San José State, che a 25 anni nel 1979 divenne il coach. Profondamente cattolico e grande motivatore, Ladouceur portò immediatamente la squadra alla prima stagione vincente della sua storia, ed in un decennio la trasformò in una delle squadre più forti della storia nazionale. In 34 anni, con lui alla guida, gli Spartans vinsero sette titoli nazionali, mettendo a segno anche un record di 151 vittorie consecutive e dodici stagioni di imbattibilità

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Ladouceur, ha smesso di fare il coach nel 2004 e la sua storia di educatore e allenatore, è stata narrata nel film di Thomas Carter del 2014 “When the Game Stands Tall”.  

Il cattolicesimo sembra essere un leitmotiv delle recenti squadre vincenti come la St. Thomas Aquinas di Fort Lauderdale, la Don Bosco Prep di Ramsey in New Jersey, e la Bishop Gorman a Sumerlin in pieno Nevada. Non dimentichiamo la Mater Dei di Santa Ana, Orange County in California, solo pochi mesi fa laureatasi campione nazionale, e che ogni anno sfida la Servite HS di Anaheim nella cosiddetta “holy war”, la sfida più sentita nell’high school californiano.

E’ innegabile che il football ed in generale lo sport di high school, così come il sistema scolastico, sia stato un grande motore di innovazione soprattutto per quanto riguarda i costumi, dapprima con l’arrivo dell’istruzione e dello sport anche dove non c’era, fino alle vittorie civili come la desegregazione e l’abbattimento degli stereotipi razzisti, e le occasioni di mostrare come la forza di volontà dei singoli possa sconfiggere i luoghi comuni, ne abbiamo avuto pochi mesi fa un grande esempio da parte di Shaquem Griffin, ex-alunno della Lakewood in Florida, giunto in NFL pur avendo perso la mano all’età di quattro anni: se cercate un volto che ben rappresenta la forza di volontà, in lui troverete soddisfazione.

L’ATTUALE HIGH SCHOOL FOOTBALL

Ancora oggi in cui si sono diffusi passatempi meno traumatici e le occasioni di cimentarsi in sport giovanili si sono moltiplicate a dismisura, il football continua ad essere lo sport centrale in migliaia di scuole superiori, ed una delle migliori opzioni per ragazzi e per le loro famiglie, per diventare atleti certo, ma anche molto altro, per affermare la propria appartenenza alla comunità, per riscattare la propria condizione o, semplicemente, per mettere il piede sul primo gradino della scala per diventare ricco sfondato da far schifo.

Ancora nel 2014 erano quasi 1.100.000 i ragazzi che praticavano football in high school.

Il football ha una presenza pervasiva in tutto il territorio degli Stati Uniti, la sua stagione è breve ed intensa ed è incentrata sull’autunno, dall’Alabama al Wyoming, la stagione inizia nella seconda metà di agosto e si conclude nella prima di novembre, lasciando il posto ai playoff statali. Il lavoro dello staff ovviamente si snoda per tutti i dodici mesi dell’anno ma si fa enorme durante la stagione. Proprio come gli studenti-atleti, gli allenatori devono avere buone capacità di gestione del tempo dato che fare il coach spesso non è la principale fonte di reddito e l’insegnamento a 2-3 classi diverse per 7 lezioni al giorno è una situazione comune e richiede molto tempo e preparazione. Altri fattori determinano la giornata  di un allenatore come la raccolta di fondi, il mantenimento e il rinnovo di attrezzature e forniture, le sponsorizzazioni, il monitoraggio dei voti dei ragazzi, la gestione del rapporto coi media e con i genitori. 

Il football non ha un vero inquadramento nazionale ed i gradini organizzati sono quelli distrettuali e statali, oltre a questi, come dicevamo, ci sono solo le valutazioni umane che realizzano dei ranking e incoronano il campione nazionale in base a semplici sensazioni, seppur di esperti del ramo.

Questo sport è da sempre affetto da questo amore per la valutazione soggettiva, che permette di poter fare chiacchiere da bar anche per i restanti mesi dell’anno in cui la palla ovale è ferma, succede per l’high school ma anche per il college, succede per la valutazione della qualità complessiva delle squadre o per i singoli giocatori, pronti a mettersi in mostra per trovare borse di studio prestigiose al college.

La costruzione del calendario delle scuole ricalca i dettami del college football con gare fisse contro gli avversari distrettuali, in cui ci si alterna tra home ed away, e gare extradistrettuali scelte in accordo tra le due scuole.

Il grado di importanza della scuola determina persino il calendario della offseason, quando la marcia di avvicinamento alla stagione successiva può iniziare ad agosto nelle realtà meno esasperate, oppure molto anticipatamente nei primi mesi dell’anno.

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Durante la stagione i ragazzi svolgono allenamenti tutti i giorni dal lunedi al giovedi, il venerdi è giorno di gara nelle High School mentre il sabato mattina si riuniscono sia giocatori che staff per guardare il film della partita precedente, non è semplice bilanciare gli impegni per uno studente atleta che, come ci ha detto Ron Adams, coach alla Wyandotte Public Shools, sostiene durante il giorno sette ore di lezione, poi 45 minuti di meeting ed infine due ore e mezza di allenamento.

La domenica il coachig staff comincia già la preparazione per la partita del venerdi successivo. Con strumenti online e siti di raccolta degli highlight dei giocatori di scuola superiore, come Hudl, lo studio degli avversari è più facile e può essere fatto anche in differita: ogni giocatore e coach ha accesso ai film online e dunque possono studiare anche non essendo fisicamente in film room.

high school film

La tecnologia, giocoforza, ha iniziato ad investire anche il mondo del football scolastico con sistemi che permettono di evidenziare praticamente qualsiasi aspetto: si va dalle telecamere che producono decine di ore di “tape” che vengono poi visionati ed editati dallo staff a beneficio dei giocatori; a sensori posizionati sui caschi per tracciare il percorso dei giocatori sulle tracce, ma anche per tener controllata la forza degli impatti tra i giocatori.

Hudl, che si citava prima, è un servizio a pagamento che copriva già nel 2014 ben 14.000 scuole con tecnologie che vanno dalla camera fissa al drone, come a Magnolia Heights, e dai suoi server venivano scaricati 30 ore di filmati al minuto nei momenti di punta.

I video vengono usati per studiare errori, posizionamenti e difetti degli avversari, ma anche per presentare gli esercizi degli allenamenti e “pompare” la squadra con video motivazionali che li esortino a continuare la striscia positiva o a rialzarsi in fretta dopo una sconfitta.

E non di rado, questi video vengono usati anche per scouting da parte di osservatori dei college o semplici amici e parenti che confezionano video diligentemente spediti a tutte le università del circondario per risvegliare la curiosità di qualche scouter distratto.

Il dilagare degli smartphone e dei social network permette a questi contenuti di circolare in maniera vorticosa, di raggiungere rapidamente ovunque sia chiunque i produttori vogliano.

Sono decisamente passati i tempi dove i coach si vedevano a metà strada per passarsi dei film in 16mm delle proprie squadre, si è nell’epoca in cui è impossibile “nascondersi” sia nel bene che nel male, e di questo si avvantaggiano gli staff che possono suddividere qualsiasi incontro in singole azioni, montarle ed analizzarle per rispondervi al meglio.

Se pensate che siano solo i grandi college e le squadre di NFL ad usare alta tecnologia per i loro team, dovrete ricredervi perchè la serietà con cui è preso lo sport anche a livello di high school spinge ormai universalmente le scuole a dotarsi di strumenti per consentire a quei “pazzi” dello staff tecnico di studiarsi e ristudiarsi la propria squadra e gli avversari in qualsiasi momento della giornata, anche a sedere sul water.

E possono anche controllare chi, tra gli studenti-atleti, ha effettuato l’accesso ai server per verificare chi ha correttamente “fatto i compiti”: ascoltare un coach che ti dice che il tale giocatore tende a fare spesso un tal movimento, a livello di apprendimento è infinitamente meno funzionale che vedere effettivamente il giocatore, in una clip, fare esattamente quel movimento.

Ed è quantomeno straniante passare dalla situazione in cui un coach ti dice che stai facendo un movimento sbagliato, ad una clip dove ti rivedi mentre fai l’errore che il coach tante volte ti ha detto.

Tutto questa spinta alla tecnologia da parte delle singole squadre sta portando alla situazione paradossale che gli arbitri, ovvero le uniche figure professionali che scendono sul rettangolo di gioco, sono gli unici a non avere aiuti dalla tecnologia. Ecco che solo pochi mesi fa in Texas si è acceso il dibattito sul portare anche nell’high school football la tecnologia introducendo l’instant replay nelle gare di playoff statali. Immaginate di vedere telecamere, monitor e quarto uomo al VAR a bordocampo in una partita di fine campionato juniores di calcio. Questo si che è straniante!

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Fine seconda parte (Prima parte)

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