Simply the best: J.J. Watt

Si narra che nel 1764 un tecnico scozzese, rimasto impressionato dal basso rendimento energetico di un motore a vapore che stava riparando, abbia cominciato a lavorarci sopra giorno e notte per arrivare ad un risultato più accettabile. Con tenacia e perseveranza giunse alla conclusione che con un dispositivo di recupero e riutilizzo del calore, il rendimento energetico sarebbe migliorato in maniera drastica. Negli anni seguenti non potè lavorare troppo sulla sua invenzione per mancanza di tempo, ma alla fine riuscì a trovare un finanziatore, si spostò in Inghilterra, riuscì a brevettare il risultato del suo ingegno e i suoi motori vennero anche utilizzati nelle miniere per l’estrazione di diversi metalli, ottenendo risparmi incredibili nel consumo di carburante.

In seguito applicò il suo ingegno anche alla progettazione di ingranaggi particolari e di altri dispositivi meccanici. Le sue invenzioni, dovute alla sua applicazione totale alla causa, furono probabilmente tra le più importanti nel periodo della Rivoluzione Industriale. Venne poi coperto di gloria imperitura poichè al suo nome venne associata l’unità di misura della potenza, sia in meccanica che in elettrotecnica. Stiamo parlando di James Watt, per cui abbiamo attinto conoscenza nientemeno che dall’Enciclopedia Britannica

James Watt, Steam Engine

Davanti alla storia di una personalità così illustre e narrata da una fonte così autorevole, non possiamo che chinare la testa anche noi appassionati di football. Anche perchè, per un puro scherzo del caso, se nella NFL di oggi dobbiamo identificare il concetto di potenza, di motore, di utilizzo senza freni di intensità ed energia, di dedizione assoluta verso il raggiungimento di un obiettivo, non serve neppure la fatica di trovare un nome diverso.

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Questi concetti e queste idee trovano la loro miglior reincarnazione in Justin James Watt, defensive end numero 99 degli Houston Texans.

Justin James Watt

Quando parliamo di un giocatore così dobbiamo fare qualche precisazione.

J.J. Watt è ovviamente il miglior difensore in attività, non c’è nemmeno bisogno di starlo a ricordare. Si sta misurando, ancorchè in giovane età, con i giocatori che nella storia del gioco hanno scritto gli standard del pass rusher perfetto, a prescindere dalla dimensione temporale. Le premesse sono tutte quelle che servono per parlare di un giocatore il cui metro di paragone è quello dei best ever del suo ruolo. Mantenendo questo tipo di rendimento, J.J. Watt si confronta solo con due nomi: uno è il suo idolo di infanzia, Reggie White; l’altro è colui che viene ritenuto unanimemente il miglior giocatore difensivo mai visto in campo: Lawrence Taylor.

Bambini con idee chiare

Per raccontarvi la storia di questo vero e proprio fenomeno non possiamo non partire dagli ultimi comunicati da lui rilasciati sui social e in rete. Questo purtroppo è il riassunto del suo 2016.

“Houston, abbiamo un problema”

L’ultima volta che ho saltato un incontro era al secondo anno di liceo. Non sarà divertente, ma è necessario per poter ritornare al cento per cento e giocare al livello a cui posso giocare. Ognuno di noi affronta delle avversità nella vita e spesso sono molto peggiori di quelle che sto affrontando io. Ho intorno delle persone magnifiche e apprezzo i vostri pensieri e i vostri auguri. Sto già affrontando la mia lotta per tornare in cima, fino alla prossima volta in cui potrò rimettere piede in campo con i miei fratelli per lo sport che amo. Siete i migliori tifosi del mondo e prometto di continuare a dare il massimo per rendervi orgogliosi

(da Twitter, @JJWatt, 28 settembre 2016)

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L’annuncio del 28 settembre

Aggiungiamo una sintesi di un suo articolo-lettera del 22 novembre, perchè ci aiuta a conoscere un po’ meglio il suo lato umano. Uno dei tanti riscontri che ci aiutano a confutare l’affermazione contenuta nella Dichiarazione d’Indipendenza che recita:

We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal

Forse J.J. Watt è un po’ più uguale…

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Arrivando nella mia città, mi sono messo a rimuginare su tutto quello che mi è capitato lo scorso anno:
– una mano rotta
– due strappi agli addominali
– una infezione da stafilococco
– tre strappi agli adduttori
– un’ernia del disco, con recidiva
Questo è stato il mio 2015. E la cosa che mi ha spaventato di più è stata l’infezione. Vedevo un ginocchio un po’ gonfio, con delle bolle che sembravano dovute ad una irritazione. Vado dal dottore e gli chiedo una pomata. Mi guarda e dice “Non va bene per niente, andiamo in ospedale”. Pensavo che scherzasse, finchè non l’ho guardato in faccia, ma in sostanza mi ha salvato da una amputazione. In ospedale mi hanno fatto subito delle endovena di antibiotico, tre ore. Poi in aereo per giocare a Jacksonville, ma prima altre due ore di endovena. Ancora due ore la mattina dell’incontro. Ero devastato, ma ho giocato e abbiamo vinto. Dopo sono collassato sul lettino del medico. Un compagno mi passa vicino e dice “Sei vivo?”. Pensavo che ognuno di noi combatte ogni giorno con infortuni e malattie, che stavo solo facendo il mio lavoro e che avremmo fatto tutti così. Ma era solo l’inizio.
Abbiamo vinto la division e siamo arrivati ai playoff dopo aver schierato quattro QB diversi. A campionato finito, mi sono reso conto di essere davvero in pessime condizioni. Quattro interventi, tra i problemi muscolari e l’ernia del disco. Sono anche arrivato al punto di chiedere a me stesso se fosse finita.

Nello stesso articolo il protagonista poi racconta le sensazioni provate nel suo Wisconsin, in quel clima freddo che sa di football in cui è cresciuto. Quei silenzi dei quali ogni tanto sente un bisogno quasi ferino, per staccare un po’ la spina da una vita da divo, ruolo che ha accettato nei limiti in cui non gli ha tolto la voglia di essere sempre e comunque se stesso.
Torneremo poi sulla fine di quella bellissima lettera, perchè ora dobbiamo impegnarci davvero a capire cosa vuol dire essere J.J. Watt.

Cosa vuol dire mettersi in discussione, mollare un college dove il posto da tight end era garantito e aggregarsi come walk-on in un’altra università, trasformandosi in defensive end. Cosa vuol dire alzarsi alle tre e mezzo di mattina per dieci mesi l’anno ogni giorno per allenarsi, cosa vuol dire arrivare in campo per primo e andare via per ultimo. Cosa vuol dire essere una icona del gioco dall’età di ventiquattro anni. Cosa vuol dire essere il giocatore più temuto della NFL e parallelamente quello più rispettato. Cosa vuol dire essere probabilmente il miglior atleta in assoluto sulla faccia della terra in questo momento.

Pewaukee, ovvero la forza della normalità

Justin James Watt nasce il 22 marzo 1989 a Waukesha, Wisconsin, da John (pompiere) e Connie (dirigente di una compagnia di costruzioni). E’ il primo di tre fratelli: gli altri due sono Derek, che  ha avuto un inizio di carriera con i San Diego Chargers come fullback e TJ. Una bella famiglia dalle radici scozzesi (chissà se c’entra proprio l’illustre omonimo sopra menzionato), borghesia operosa che vuole i figli al college e ci riesce.

I fratelli Watt a San Pietro

Valori solidi, ragazzi ben in vista nella piccola comunità di Pewaukee, Wisconsin. In quello stato il football si declina in maniera molto semplice con tre parole: Green Bay Packers.
J.J. è un loro grande tifoso e da subito il suo idolo è Reggie White. I suoi inizi nello sport non fanno immediatamente presagire quale futuro lo attenda. Eccellente giocatore di hockey su ghiaccio, passione che gli è ancora rimasta attaccata. Ma il suo primo paraspalle è con la squadra dei Pewaukee Pirates, nel ruolo di… quarterback: tra le altre cose, J.J. infatti è un discreto leader. E’ alto (tanto), veloce (il giusto) e potente (nemmeno a dirlo), ma in effetti dopo un po’ di tempo i suoi movimenti di lancio si rivelano un po’ troppo macchinosi.

Fisicamente benedetto da madre natura, non si tira mai indietro quando c’è da faticare e la transizione al ruolo di tight end avviene per lui in maniera quasi indolore. Teniamo traccia della sua evoluzione perchè, come avremo modo di vedere, questo ragazzo non butta via nemmeno un grammo dei talenti che ha avuto e coltivato con una passione sovrumana.

Poichè non riesce nemmeno per scherzo a stare fermo quando la difesa è in campo, comincia a giocare anche defensive end. E in mancanza di football gioca a baseball, a basket, a hockey. E il suo 18.28 è il record dello stato nel lancio del peso nel 2007.
Paradossalmente J.J. è molto bravo in tutto, ma non è decisamente meglio in una specialità rispetto all’altra. Infatti ottiene una scholarship da Central Michigan e per come conosciamo noi il J.J. Watt di adesso, sembrerebbe quasi un ripiego, un programma di secondo piano. Il suo anno da freshman è anonimo, ad esser generosi: gioca tight end, quattordici partite, otto ricezioni, 77 yard. Ma i suoi allenatori capiscono che non lo stanno usando al meglio. Prendono questo ragazzone di quasi due metri per cento chili e poco più, forte, veloce e con un footwork sopra la media. “Ragazzo, tu sei sprecato come tight end. Diventerai un… offensive tackle”.

Watt è uno studente educato e disciplinato, ma capisce che forse (ed è un grosso forse) quello non è il suo ruolo e vorrebbe tentare la sorte dall’altra parte della linea di scrimmage. Fa una mossa che richiede coraggio, perchè molla nell’ordine un posto da titolare e una scholarship, e si aggrega come walk-on agli Honey Badgers dell’Università del Wisconsin.

Mamma Connie lo asseconda sempre, ma lo mette anche davanti alle conseguenze di una scelta impegnativa:

Se è questo quello che vuoi fare siamo con te. Ma devi collaborare anche tu. Lavora

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JJ Watt con sua madre Connie

Così J.J. Watt comincia davvero a lavorare per contribuire al suo futuro, diciamo così. E a chi abitava a Pewaukee e la sera aveva voglia di farsi portare una pizza e starsene davanti alla televisione sul divano, poteva accadere di trovarsi alla porta questo ragazzone sorridente con una certa frequenza, perchè il suo manager diceva che era il più veloce di tutti nelle consegne, e passava tanto tempo a scorrazzare sul furgoncino della pizzeria, fra lo stupore dei ragazzini che lo vedevano giocare d’inverno e se lo trovavano in primavera con i cartoni delle pizze… “Hey dad, look. It’s J.J. Watt, the football player”.

Durante la sua militanza con gli Honey Badgers, Watt esplose definitivamente nel ruolo di defensive end. Il suo rendimento e l’impatto sul gioco andavano molto oltre le statistiche, perchè in tutta la sua carriera universitaria mise insieme in totale undici sack e mezzo in due anni. Ma ormai tutti gli scout avevano capito che questo ragazzo potenzialmente era pronto a dominare il gioco anche al next level. Watt decise di saltare il suo anno da senior e si rese disponibile per il passaggio alla NFL nel 2011

I primi passi di un mito

In un draft con un ottimo carico di talento (Cam Newton primo assoluto, Von Miller secondo), gli Houston Texans prendono J.J.Watt con il numero undici al primo giro. La scelta venne accolta con pesante scetticismo da parte dei tifosi, forse ancora scottati dal rendimento negli anni di Mario Williams, preso con l’esplicito mandato di rovinare la vita a Peyton Manning, obiettivo in cui fallì decisamente. Un defensive end per di più ancora un po’ grezzo preso al primo giro non fu proprio la notizia migliore per un pubblico abituato ad una division monopolizzata in quegli anni dai Colts, e per di più con dei vicini di casa dalla storia un po’ ingombrante come i Dallas Cowboys. Ma J.J. Watt decise che poteva risolvere la questione in un solo modo, come aveva sempre fatto.

Lavorare più di tutti e meglio di tutti.

La consacrazione di Watt come nuovo idolo della città delle missioni spaziali avvenne ovviamente già nel suo primo anno. Statistiche solide anche se non mostruose, ma una presenza in campo e nello spogliatoio veramente insospettabile per un ventunenne. Ebbe l’investitura ufficiale durante la wild card contro i Cincinnati Bengals, quando riuscì ad intercettare un lancio di Andy Dalton praticamente stoppandolo sulla linea di scrimmage e lo riportò nella end zone avversaria, cementando la prima vittoria in postseason nella storia degli Houston Texans. Fino a quel momento il valore di J.J., fresco di nomina come Defensive Rookie of the Year, era quasi solo una finezza da addetti ai lavori. Quella giocata in pratica rivelò a tutti il tipo di giocatore che stava sbocciando.

Wild Card Game 2012, il primo TD di Watt

Lui stesso, quasi incredulo, ebbe a commentare

E’ difficile intercettare una palla così tesa sulla linea di scrimmage. Nel caos che succede in quei momenti in linea già va bene se riesci a deviarla o a stopparla, non hai proprio l’idea di prendere quel tipo di palloni. E’ stato fantastico, le mie mani si sono chiuse da sole sulla palla ed è andata così.

Questo ragazzo si stava apprestando a diventare in tutto e per tutto il volto della sua squadra.

Numeri da leggenda

Già dal suo secondo anno nella NFL, Watt non era più un mistero per nessuno. Quasi da subito tra i capitani dei Texans, uno dei volti più amati a Houston sia in campo che fuori, dove il suo contributo per la comunità è veramente in linea con lo strapotere che esercita in campo. Ma aiutiamoci un po’ con i numeri per capire i confini del talento immenso di J.J., per capire quanto abbia spostato in alto l’asticella nel suo ruolo e per renderci davvero conto che si sta confrontando con giocatori di un’altra dimensione, come i due mostri sacri prima citati. Anche se cerchiamo di concentrare la nostra attenzione più sull’uomo che sulle statistiche, non possiamo prescindere da un nucleo minimo di numeri per declinare la separazione tra questo giocatore e il resto del mondo. Escludendo il campionato 2016, in cui Watt sostanzialmente ha giocato solo poche azioni delle prime tre partite, questo è un breve riassunto della sua produzione in campo dopo il suo anno da rookie…

Una leggenda in cifre (ESPN)

In sintesi, sembra che Watt abbia compresso in quattro campionati “da Watt” le statistiche che un ottimo difensore può accumulare in cinque o sei campionati eccellenti. La difesa dei Texans sta crescendo con lui, grazie anche all’introduzione di un veterano solido come Vince Wilfork e a un vero e proprio scherzo della natura come Jadeveon Clowney. E dobbiamo considerare che quei numeri non possono tracciare in nessun modo il dato di fatto che Watt è un raddoppio sistematico, e spesso non è sufficiente e va triplicato.

E’ un mix esclusivo di tecnica, forza, reattività ed esplosività, non ci si può permettere di perderlo d’occhio nemmeno per un secondo o verrà ritrovato sistematicamente nel cuore dell’azione, addosso al quarterback o attaccato al runner, di solito nel backfield avversario. Watt è un mal di testa garantito per ogni offensive coordinator. Non gli manca nulla: ha la velocità di un edge rusher di fascia alta, può permettersi di andare di bull rushing contro qualsiasi tackle, riesce a muoversi in maniera talmente rapida da coprire il campo da una sideline all’altra. E se si ritrovasse per caso il pallone in mano, è anche molto molto veloce e più volte si è ritrovato nella end zone avversaria con i tifosi e i commentatori in delirio, come potrebbe garantire la famosa chiosa “You gotta be kidding me!!!”.

Chiudiamo quindi la disamina delle sue statistiche in carriera: 83 partite, 76 sack, un intercetto riportato in TD per 80 yard, 15 fumble provocati, 13 fumble ricoperti e uno riportato in TD. Ah, e quando si diletta a fare il tight end vicino alla goal line avversaria ancora si ricorda come ricevere, stanti i tre TD segnati in ricezione nel 2014.

Cosa ne pensano gli addetti ai lavori? Presto detto: quattro volte al Pro Bowl, quattro volte nella prima squadra All Pro, numero uno nella Top 100 del 2014, tre volte miglior giocatore difensivo dell’anno. Non male, per un ventiseienne.

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Il motore di Watt

Chiarito il valore del giocatore grazie alle cifre impressionanti che Watt ha finora accumulato in carriera, cerchiamo di capire che cosa ci sia dietro ad un talento di questo tipo, unico almeno nella sua generazione. J.J. Watt è il classico media darling. E’ molto spesso sotto i riflettori e bisogna ammettere che sa starci come pochi. Ma se si vuole immortalare la sua giornata tipo, probabilmente è meglio organizzare il lavoro su più turni, il primo dei quali inizia intorno alle quattro del mattino, quando Watt apre la palestra della squadra. Sa di essere diventato uno standard per molti e agisce di conseguenza. I suoi allenamenti (in rete potete davvero sbizzarrirvi, per fortuna) sono impressionanti. E’ sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene dalla facility dei Texans. Questa applicazione maniacale produce dei risultati quasi fuori dalla portata della logica normale.

J.J. Watt è alto 1.97, pesa 138 chili.

Il suo stacco da fermo è di un metro e cinquantaquattro. Avete letto bene. Questo può aiutarvi a capire come mai sia così bravo a stoppare i lanci sulla linea di scrimmage, tanto che nel suo anno da rookie si guadagnò il soprannome di J.J. Swatt. Già questo dato lascerebbe lì fermi a riflettere sullo strapotere atletico di Watt, ma il problema vero (specie per i suoi avversari) è che abbiamo appena cominciato

Tempo fa J.J. iniziò a lavorare per migliorare il suo bull rushing sollevando un copertone di un camion da miniera. Mille libbre. Tre uomini di linea d’attacco se vogliamo un corrispettivo nella vita reale. Raccontò che il primo giorno riuscì a rivoltare il copertone due volte. Nel tempo è arrivato a sessantacinque ripetizioni nella stessa seduta. Mille libbre alla volta.

Mille libbre, sessantacinque ripetizioni

Fortunatamente non è velocissimo. Durante la combine nella prova delle 40 yard fermò il cronometro su un normale 4.85. Ma non ditelo a Fred Jackson, running back dei Bills, che tentò di rincorrerlo per ottanta yard dopo un intercetto senza guadagnare nemmeno un passo…

Watt non regala nulla, in nessun aspetto del gioco. La sera prima di andar via resta con un paio di addetti a ricevere palloni sparati dal cannoncino. Dieci per lato, ricevuti con una sola mano (non si sa mai, magari serve). Racconta lui stesso che per sostenere un regime di allenamento di questo tipo, ogni giorno a tavola assume circa novemila calorie. E da ragazzo tornava a casa e cenava alle sei, un po’ di studio e cenava nuovamente alle otto e mezzo per la gioia di Mamma Connie.

Il fuoco in campo

La sovrabbondante tecnologia che ormai accompagna ogni partita della NFL ci può aiutare a capire cosa metta sul piatto questo giocatore ogni maledetta domenica. Quando Watt è microfonato lo spettacolo è garantito. Oltre ai soliti due sack, tre placcaggi dietro alla linea, uno o due fumble provocati e ricoperti che ormai costituiscono semplicemente il timbro sul cartellino di questo giocatore, ci si può rendere conto di cosa voglia dire averlo in squadra e, simmetricamente, giocarci contro. Come ogni leader che si rispetti, J.J. Watt ha un approccio molto vocal al suo ruolo. Partiamo dal lancio della moneta: l’avversario sceglie di ricevere, quindi di averlo in campo nella prima serie, lui commenta in faccia a tutti con

Pessima decisione. La prendo come una offesa personale.

Batte sonoramente il tackle, si rivolge verso la sideline avversaria dicendo

Mandatemene un altro, questo l’ho suonato come un tamburo

Ogni volta che un arbitro non vede una trattenuta lui tra il serio e il faceto

Amico mi stai prendendo in giro? Ma non hai visto?

Siamo in un periodo in cui anche un mito vero concede molto allo spettacolo, specie per la costruzione del suo personaggio. Per conferma potremmo ricordarci di Zach Mettenberger, QB rookie dei Titans che festeggiò con un selfie la notizia del suo esordio la domenica successiva, proprio contro i Texans. Ovviamente J.J. piazza un sack devastante, e mima il gesto del selfie con il povero Mettenberger a terra

Ragazzo siamo nella NFL, i selfie li fai al liceo

The selfie sack (ottobre 2014)

Un altro contributo alla leggenda, nell’incontro con i Chiefs nella regular season del 2015: Watt perde l’elmetto a causa di un contatto anche oltre il limite con il tackle che voleva fermarlo. Una volta in più, J.J. ha fatto capire che non si ferma per così poco, che in fondo il casco è un semplice orpello per gli umani, ed è arrivato ad atterrare Alex Smith incurante del dettaglio…

Il casco? Roba da umani…

Ma ripetiamo, non si può descrivere l’impatto su ogni singola partita di questo giocatore qui. Dobbiamo per forza operare una cernita, qualcosa che ci aiuti a capire davvero quale sia il suo valore, anche andando oltre il dato che Watt è stato il primo difensore ad avere un contratto superiore ai cento milioni di dollari, facendo da apripista a fenomeni quali Ndamukong Suh, Justin Houston, Von Miller.

Un campione a tutto tondo

Un fenomeno come J.J. Watt è ovviamente un nome in vista anche nella comunità. Non si contano le attività benefiche che lui supporta, le borse di studio in Texas e in Wisconsin, l’aiuto dato in silenzio a chi ne ha bisogno. Questo è un ragazzo che ha radici solide. Il primo pensiero dopo aver firmato il rinnovo di contratto con i Texans è stato quello di regalare un bel SUV nuovo a mamma Connie, facendolo trovare infiocchettato davanti alla sua abitazione. E’ una presenza positiva, benvoluta da tutti. Per sua ammissione adesso non sta pensando a metter su famiglia, anche se la celebrità qualche pregio deve pur averlo, se con malcelato orgoglio ha detto di essere riuscito ad invitare a cena una sua cotta adolescenziale…

I vantaggi della celebrità…

Conclusioni

Purtroppo il 2016 di J.J. Watt si è limitato a qualche spezzone di partita (due sack, comunque), prima di doversi fermare davvero. Il suo fisico ancora non aveva superato bene tutti gli imprevisti che si sono presentati nel 2015. Watt ha passato molto tempo al freddo del suo Wisconsin, quest’anno. E’ arrivato a casa in aereo, ancora in barella per i problemi alla schiena. Ha speso il giusto tempo ad ascoltare se stesso, magari a ragionare sulla passione per il gioco che gli brucia dentro, tifando per i suoi compagni dei Texans che anche senza il loro leggendario numero 99 sono riusciti a metter su la migliore difesa del campionato.

E se abbiamo capito il personaggio questa prospettiva per il prossimo anno farà sì che il suo motore funzionerà ancora al massimo, cilindro per cilindro, se possibile con qualche motivazione in più. E’ stato un anno duro, la sovrapposizione di più infortuni seri non è mai da affrontare con leggerezza, anche per una persona con il suo strapotere fisico ed atletico.
Un giocatore così è un patrimonio per tutti gli appassionati di football, non solo per i tifosi dei Texans. E tutti quanti avranno anche avuto qualche dubbio, qualche sospetto, qualche paura. E’ comprensibile, perchè li ha avuti anche lui.

E guardandosi dentro, riflettendo nei silenzi della sua campagna, ha messo forse un punto alla prima fase di una carriera impressionante.
E lasciamo la conclusione proprio al diretto interessato: Justin James Watt, il miglior defensive end della NFL.

Devo ammetterlo: lo scorso anno ho avuto davvero momenti pessimi e il mio fisico era davvero ridotto male, più di quanto si possa realizzare dall’esterno. Ma ho capito che senza avversità, una vita può anche essere noiosa da vivere. Ho capito cosa significa arrivare in cima e ho capito cosa significa toccare il fondo e sia l’una che l’altra cosa sono meglio che stare fermi nel mezzo.
Il ragazzino che ero è tornato.
Sono finito?
Scordatevelo.
Ho appena cominciato

(Justin James Watt)

 

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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