[NFL] Week 8: L’ostacolo alto (Miami Dolphins vs New England Patriots 7-36)

C’erano le premesse perchè il Thursday Night NFL di questa settimana fosse una partita interessante. Da un lato c’era un delle squadre considerate più ‘calde’ del momento, reduce da un cambio di allenatore in corsa e, soprattutto, da due successi consecutivi molto convincenti, di quelli con tanti punti segnati e pochi subiti.
Dall’altro una delle cinque squadre ancora imbattute nella lega, guarda caso quella campione in carica e quella al numero uno di tutti i “power ranking” in circolazione. E poi, non ultimo, si trattava di uno scontro divisionale, anche di quelli classici.

Insomma intorno a Patriots-Dolphins si era creata una certa hype, che la dipingeva come l’esame di maturità per Miami e il suo giovane allenatore, per la prima volta al cospetto del maestro Belichick a casa sua. L’esame, come si sa, è andato (parecchio) male per i Dolphins e la partita poi così interessante non è stata. Tralasciando la fredda cronaca, analizziamo quello che è successo.

Per Miami le cose sono andate male fin da subito. E non tanto per il touchdown preso nel primo drive, quanto perchè già nei primi due drive (attacco New England e attacco Miami) sono emerse chiaramente le differenze fra le due squadre e il prosieguo della partita non ha fatto altro che confermare il copione già delineato nelle prime fasi, con l’aggravante degli infortuni che hanno colpito gli ospiti spuntando ancora di più le loro armi.

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Bill Belichick e i New England Patriots sono micidiali soprattutto in una cosa: nello studiare gli avversari, individuare i loro punti deboli e, una volta sul campo, eseguire alla lettera il game plan colpendoli esattamente lì. I punti deboli della difesa dei Dolphins non erano certo nella linea, quanto in metà della secondaria (quella dove non gioca Brent Grimes) e, soprattutto, nel mezzo. Quindi, si trattava di contenere il più possibile la linea di difesa e lasciare che Tom Brady facesse il resto, mandando le sue armi non convenzionali a fare danni nel cuore della difesa aqua-arancio.

Nel primo drive l’arma convenzionale è stata – ovviamente – Rob Gronkowski, immarcabile per la difesa Dolphins (come, in effetti, per quasi qualsiasi altra difesa): l’azione del primo touchdown è esemplare della facilità con cui il tight end di New England è riuscito a muoversi nel cuore del campo per quasi tutta la partita. Ma se Gronk era comunque un protagonista atteso, quello che ha completamente sconvolto i piani dei Dolphins è stato Dion Lewis, il classico coniglio uscito a sorpresa dal cilindro di Belichick e capace di ricevere lo stesso numero di passaggi di Gronkowski (sei) con danni, se possibile, ancora maggiori. Guardare l’azione del suo touchdown prima dell’intervallo per capire quanto sorprendente sia stata per i Dolphins ogni sua azione.

Dion Lewis Patriots

Per buona parte della gara il play calling dei Patriots è stato questo, per lo meno fino a quando la pressione della linea di Miami era tale da suggerire a Brady di affrettare i tempi dei passaggi. Poi, con il trascorrere della gara, l’accumularsi della stanchezza nei muscoli dei difensori in bianco e l’uscita per infortunio di Cameron Wake (stagione finita per lui) c’è stato spazio anche per Julian Edelman, sui cui Brady ha lanciato nel quarto periodo i due touchdown che hanno chiuso il punteggio.

Già, Brady. Con tutto quello che in questi anni è stato detto e ridetto su di lui sta un po’ passando sotto silenzio che le sue cifre di quest’anno sono per il momento fra le migliori della sua carriera, migliori anche dell’anno in cui a ricevere i suoi passaggi c’era un certo Randy Moss.
Il quarterback con il numero 12, poche storie, è il vero motivo dei successi di New England, soprattutto in questa stagione ancora imbattuta nella quale si sta esprimendo a livelli elevatissimi nonostante l’età e grazie a un fisico che, a differenza di quanto sta accadendo al suo rivale di sempre Peyton Manning, lo sta ancora sorreggendo egregiamente (tant’è che in qualche dichiarazione si è spinto a dire di voler giocare ancora dieci anni, il che avrà gettato nello sgomento un bel po’ di gente fra Miami, Buffalo e New York).

Togliete Brady ai Patriots e otterrete un roster sicuramente inferiore a quello di più di qualcun’altra squadra (ma è il bello del meccanismo di coach Belichick, una macchina perfetta fatta anche con pezzi di seconda mano); aggiungetelo ed avete messo sulla torta non solo la ciliegina ma anche la farcitura e tutte le decorazioni. L’ingrediente indispensabile in grado non solo di sorreggere un game plan ben preparato ma di eseguirlo chirurgicamente e, se necessario, di reinterpretarlo.
Per battere New England bisogna trovare il modo di segnare più di trenta punti, perchè loro lo faranno. E, una volta che lo avranno fatto, troveranno il matchup giusto da sfruttare contro di te (che sia il tuo cornerback rookie, Rob “The living mismatch” Gronkowski o, come contro i Dolphins, Dion Lewis) e lo sfrutteranno fino a farti tanto male. Semplice, ma efficace.

Il game plan di Miami, invece, era forse un po’ diverso da quello che è uscito. Detto della difesa, il piano per l’attacco era chiaramente quello che aveva garantito il successo contro Titans e Texans (squadre, va detto, dallo spessore un po’ diverso da quello dei campioni in carica): Lamar Miller era la chiave attorno alla quale far girare tutto il resto e, soprattutto, consentire a Ryan Tannehill di operare con un po’ di tranquillità. Sfortunatamente, non è andata così.

chandler-jones-tannehill

A parte il drive nel terzo quarto in cui i Dolphins hanno segnato i loro unici punti della partita (proprio con Lamar Miller) e fatto avanzare la palla con efficacia non c’è stato mai un momento in cui l’attacco sia riuscito a trovare un ritmo accettabile. Miller è stato stroncato sul nascere dalla difesa dei padroni di casa (alla fine solo 15 yards per lui, con 9 portate) e, bloccato il gioco su terra, ai Dolphins non è rimasto altro che affidarsi al braccio di Tannehill.
Che è andato avanti a ritmo alterno, fra cose belle (ad esempio tutto il drive che ha portato al touchdown o le comunque 300 yard lanciate) e meno belle (la distrazione sullo snap che, appena dentro al secondo quarto, è costata una safety e i due intercetti, soprattutto il secondo che, nel quarto quarto e capitalizzato dai Patriots con il primo touchdown di Edelman, ha definitivamente chiuso la partita). Il game plan si è così rivelato nella sua fragilità e lascia diverse domande per il prossimo futuro.

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Andrà risolto ad esempio l’ennesimo problema nella linea d’attacco: proprio ora che il rendimento iniziava a stabilizzarsi l’infortunio che terrà a riposo per un po’ il tackle JuWuan James rischia di rimescolare tutte le carte. Potrebbe anche essere utile fare qualcosa per ovviare al fatto che Tannehill lanci sempre solo su Jarvis Landry e Rishard Matthews; per quanto affidabili possano essere (e lo sono) una difesa bene organizzata come – ad esempio – quella dei Patriots non ci mette molto a trovare delle contromisure, e aver portato a Miami un tight end come Jordan Cameron serve a poco se poi non si trova il modo di fargli arrivare la palla.
Per tacere della prima scelta spesa su un ricevitore come Davante Parker che ha visto il campo col contagocce e rimane tuttora un mistero. E come verrà assorbita, dall’altro lato della palla, la grave perdita di Cameron Wake è una questione tutta da chiarire.

Posto che, avendo perso tutti e tre gli incontri con i compagni di division, la situazione di classifica per Miami è ormai molto compromessa, la domanda più interessante è come reagirà Dan Campbell dopo essersi schiantato sul suo primo ostacolo alto.
Le sue parole dopo la gara sono sembrate in linea con il suo personaggio: “Ho detto ai ragazzi di ricordarsi questo sapore amaro in bocca, che li tormenterà come sta tormentando me. Che se lo ricordino a sufficienza per non volerlo sentire più”. La sua capacità di reazione è la cosa che tutti sono più curiosi di scoprire, ed è la cosa più importante perchè i Dolphins possano ancora dare un senso a questa stagione.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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