[NFL] Week 3: Mai una gioia (Cleveland Browns vs Miami Dolphins 24-30)

Era tutto pronto. Dopo anni di progetti, rinvii, petizioni, referendum popolari, prese di posizione politiche, votazioni, referendum, proprietario-straricco-che-si-stufa-e-tira-fuori-i-soldi-di-tasca-propria-che-tanto-ne-ha-una-paccata, lavori, ritardi, recuperi, foto su Twitter, visite illustri al cantiere, maxischermi maxi, caschetti gialli, seggiolini azzurri, tetto bianco, nuovo nome figo per tanti soldi eccetera eccetera… era tutto a posto per il gran debutto in regular season dell’Hard Rock Stadium, il vecchio/nuovo impianto che, finalmente degno di essere mostrato agli amici, ospita i Miami Dolphins (e i Miami Hurricanes).

terza giornata miami dolphins

E c’era perfino di che essere contenti perché, giusti giusti per la grande festa inaugurale, c’erano nientepopodimenoche i Cleveland Browns,  il cui quarterback titolare (Robert Griffin III) aveva il braccio destro appeso al collo con una fascia nera, il cui secondo quarterback (Josh McCown) aveva il braccio destro appeso al collo con una fascia bianca, il cui terzo quarterback (Cody Kessler) era un ragazzo che fino a domenica pomeriggio aveva appesa alla mano una cartellina, il cui quarto quarterback (Charlie Whitehurst) sei giorni fa stava facendo tutt’altro e il cui quarterback di emergenza (Terrelle Pryor, sì proprio lui) era alla quinta squadra in quattro anni e lo scorso anno visto che non ce la faceva era passato ricevitore a tempo pieno.

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Ah, e poi erano infortunati il miglior ricevitore, il miglior pass rusher, il miglior cornerback e venerdì anche il kicker si era fatto male e ne era stato arruolato in fretta e furia un altro che pure lui chissà cosa stava facendo in quel momento. Insomma, dai, tutto troppo scontato: i Dolphins hanno perso le prime due partite ma contro due squadre forti e in trasferta e quasi rischiando anche di vincerle entrambe, adesso sono in casa e contro “l’Armata Brancaleone”… dai, siamo seri…

Lo sport con lo sferoide prolato, invece, è bello anche per questo, perché di scontato non c’è veramente nulla. E, per inaugurare l’Hard Rock Stadium, è uscita una partita che agli occhi di uno spettatore imparziale sarà anche sembrata divertente ma che per un qualsiasi tifoso di una delle due squadre in campo è stata una altalena di sussulti, culminati nel più classico delle affermazioni (da pronunciare – attenzione – guardando verso il basso e scuotendo la testa lentamente): mai una gioia.

La fredda cronaca si liquida abbastanza in fretta: intercetto di Tannehill al primo passaggio, 3/out brutale dei Browns, bel drive e touchdown di Miami con passaggio preciso su Devante Parker. Dopo cinque minuti pare tutta discesa, e invece no. Terrelle Pryor si prende la ribalta, Cody Parkey (al Pro Bowl con gli Eagles solo tre anni fa) inizia la sua brutta giornata e sbaglia il primo calcio, Miami si assenta e Parkey mette il secondo.

Il secondo quarto è un ciapanò gigantesco, con la ciliegina del secondo intercetto di Tannehill riportato in touchdown e Cleveland sopra nel punteggio. Miami pareggia, Parkey mette un secondo calcio e i Browns vanno al riposo sopra 13-10. A Miami. Nello stadio nuovo e figo. Con l’Armata Brancaleone e un Pryor che non si capisce dove sia stato nascosto finora.

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Ripresa. Cleveland continua ad alternare Kessler e Pryor con risultanti a tratti interessanti, ma Parkey sbaglia il secondo calcio. Miami tira un sospiro di sollievo, si mette in riga per un po’, segna due touchdown (Jarvis Landry e Damien Williams), va sopra di 11 punti all’inizio del quarto periodo e poi torna in catalessi. I Browns segnano (Pryor, chi altri?), trasformano da due e tornano sotto di tre.

Un lungo periodo di agonia, rotto da Parkey che mette il terzo calcio e pareggia, poi a 20 secondi dalla fine, sulle proprie 35 yard, Tannehill piglia un sack assurdo e Cleveland si ritrova con la palla della vittoria in mano senza sapere bene cosa farsene. Infatti prima si inginocchiano e poi mettono un pallone da 46 yard davanti alla gambona di Parkey, che aveva già sbagliato prima dalle 40 e dalle 42. E, infatti, Parkey sbaglia di nuovo.

Overtime: Hue Jackson vince il sorteggio e schifa la palla, scegliendo di calciare, fiducioso nelle possibilità di Tannehill. Infatti Miami non combina nulla ma i Browns non fanno meglio. Pare una gara che nessuno vuole vincere ma alla fine il jolly lo pescano i padroni di casa con Landry lasciato libero dall’ex Jamar Taylor (che alla fine una partita ai Dolphins è riuscito a farla vincere) e Ajayi che segna il touchdown finale.

Per i Browns, chiaramente, mai una gioia. Se qualcuno meritava di vincere erano proprio loro, non fosse altro che per la sfrontatezza con cui hanno giocato nonostante le assenze tante e pesanti. Coach Jackson ha puntato molto sulle corse, che hanno funzionato abbastanza bene, ed escogitato la genialata di alternare Pryor (ieri – a tratti – un’arma impropria, e sarà interessante vedere come sarà sfruttato ora in avanti) a Kessler: in questo modo è riuscito a sfruttare al massimo il suo attuale miglior giocatore in attacco e a togliere un po’ di pressione al giovane rookie, che da parte sua ha preso la sua bella razione di botte dalla difesa avversaria.

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Anche l’approccio difensivo è stato buono, con formazioni che variavano con continuità per confondere un Tannehill che a tratti era già confuso di suo a sufficienza. Rimane la perplessità su alcune decisioni nei momenti chiave (quelle descritte poco fa). Ma, soprattutto, rimane la constatazione che, senza i calci sbagliati, i resti dei Cleveland Browns questa partita l’avrebbero vinta, e senza demeritare. Invece la via crucis di questa gloriosa ed amata franchigia continua ancora.

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Nemmeno i tifosi Dolphins possono gioire molto di questa vittoria. Venivano da due sconfitte sì, ma entrambe contro squadre di altro livello (Seahawks e Patriots) ed entrambe in trasferta in campi difficili. In entrambe i Dolphins avevano lottato, rimanendo in partita ed arrivando ad un soffio da due vittorie che non sarebbero state così scandalose. C’erano quindi aspettative di un certo tipo su questo esordio casalingo, aspettative che i giocatori di coach Gase si sono solertemente premurati di spazzare via.

I Dolphins sono una squadra che si accende e si spegne senza preavviso, in un qualsiasi momento, guidata da un quarterback che si accende e spegne senza preavviso (e per il quale è lo stesso centrare un ricevitore nella cruna di un ago o sparare in bocca a un difensore, completare un passaggio in un momento cruciale o addormentarsi nella tasca con i difensori che gli piombano addosso) e con una difesa che si accende e si spegne senza preavviso.

Con una strana preferenza per lo spegnersi nei momenti cruciali. Come il famoso cavo che si dissalda, immortalato da Elio e Le Storie Tese, la corrente va e viene, il suono in un certo momento arriva e in un certo altro no e il corto circuito che in un qualche punto fa deragliare tutto non è ancora chiaro dove sia e come possa essere aggiustato. Però il risultato è ovviamente inascoltabile.

In questo momento, anche dopo una partenza 1-2 ampiamente prevedibile ma senza grossi segni di miglioramento nel livello di gioco (perlomeno rispetto alle attese), l’unico a cui l’ambiente sembra propenso a concedere fiducia è Adam Gase ma, ovviamente, anche il capo allenatore debuttante ha bisogno del necessario tempo di apprendimento. Era prevedibile, tutti lo sapevano anche se nessuno lo ammetteva ma era abbastanza chiaro che questo sarebbe stato un anno di transizione. Ma un inizio così, senza una gioia, è dura da sopportare per ogni tifoso in aqua-arancio.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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2 Commenti

  1. Grande Mauro, sono un appassionato di Football ed ho scoperto questo sito lo scorso anno; neanche a dirlo … sono tifosissimo sfegatatissimo dei Dolphins da quando vidi il primo SuperBowl della mia vita, nel lontano 1983, ahime’ perso contro i Rediskins ..
    Mi interessano molto i tuoi articoli sugli amati Dolphins … continuero’ a seguirti e forza Dolphins !!!!
    Saluti, Guerino.
    N.B. : quanto ci tocchera’ aspettare per avere una squadra competitiva ??? .. non dico vincente … ma almeno un playoff da giocarsi alla pari ….

    1. Ciao Guerino,
      intanto, grazie dell’attenzione. Che pare una frase fatta mentre in realtà… uhm… sì, ok, lo è, ma il ringraziamento è sincero 🙂
      Vedo che il periodo di frequentazione delfinesca è più o meno simile. Telegraficamente, ho paura che l’attesa durerà ancora un po’; e, secondo me, il quanto dipenderà da due persone: 1) Adam Gase (sì, io sono uno di quelli che ha fiducia in lui) 2) Bill Belichick (sì, io sono uno di quelli che non lo sopporta più ma che lo considera un genio del football).
      Continua a seguirci!

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