Il libro di Peyton Manning: Tampa – Miami sola andata

Lunedì 6 ottobre 2003: gli Indianapolis Colts vanno a far visita ai Tampa Bay Buccaneers campioni del Mondo. È la prima volta che Tony Dungy torna a Tampa da quando, un anno e mezzo prima, era stato allontanato dalla squadra.
5:09 alla fine. Peyton Manning evita la pressione dei difensori dei Bucs e nel frastuono dei 65000 del Raymond James Stadium lancia in quadrupla copertura uno dei peggiori passaggi della sua carriera. Ronde Barber lo ritorna in End Zone, Dungy alza gli occhi verso il tabellone: 35-14 per i padroni di casa.

Ricordiamo che a questo punto Manning non ha mai vinto una partita di Playoff e l’ultimo ricordo è il 41-0 subito dai Jets la stagione precedente. Dungy ha invece perfezionato dal 1995 in poi quella che passerà alla storia come la difesa Tampa-2, che permise al suo successore in Florida, Jon Gruden, di vincere il Super Bowl al primo anno sulla panchina dei Bucs.
Riassumendo, Manning e Dungy sono due fenomeni per gli addetti ai lavori, ma di vincere non se ne parla. Il primo lancia più yard di tutti ed è diretto al libro dei record, il secondo è uno di quei coach che rivolta una franchigia ma che le permette di vincere solo andandosene. Quello che sembra un paradosso è in realtà la definizione stessa di “vincente” e di “perdente”.

Euclide e il nuovo ordine

A 5 minuti dal termine di quel Monday Night la storia sembra non poter cambiare. I vincenti sarebbero rimasti tali, i perdenti pure.
La NFL aveva fortemente voluto che quella partita andasse in prima serata e fosse trasmessa in diretta nazionale; si aspettava che quella sera l’ordine delle cose fosse ribaltato. Negli occhi della NFL Peyton Manning era Euclide, colui che avrebbe distrutto l’ordine corrente per crearne uno nuovo attraverso il modo di gestire il suo attacco, la sua shotgun, la spread offense, la no-huddle. Colui che doveva annullare l’egemonia di difese come quella di Tampa Bay, rendere il football offensivo più divertente senza che questo inficiasse sulle possibilità di vittoria della squadra che lo attuava. Una squadra con un poco spettacolare quarterback non piace più, la difesa vince le partite ma per sollazzare il mondo dello sport a livello globale serviva qualcosa di più, serviva lo spettacolo che il figlio di Archie garantiva. Ma doveva vincere.

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E quale migliore occasione della trasferta a Tampa? Il ritorno di Dungy, la difesa migliore degli ultimi anni contro il miglior attacco, i campioni del Mondo corrente contro coloro, si sperava, potessero prendere il loro posto.
In quei primi 55 minuti, però, succede tutto il contrario. Peyton tenuto a 75 yard nel primo tempo, tre touchdown del ricevitore Keenan McCardell per i Bucs, una tenue riscossa Colts all’inizio della ripresa affossata dall’intercetto di Barber. 35-14.
Poi arriveranno i 300 secondi euclidiani che cambieranno per sempre la storia del football, e, perché non ammetterlo, anche la NFL ci metterà lo zampino per far sì che il fine sia lieto ai Colts, deprimente per i Bucs. Per far sì che vincente e perdente si scambino di posto.

2003: fuga da Tampa Bay

La sequela di eventi è talmente confusa che anche il play-by-play della partita che trovate su ESPN ha delle inesattezze. Brad Pyatt (sconosciuto) ritorna il successivo kick-off di Tampa per 90 yard propiziando il TD del 35-21, poi Idrees Bashir (semi-sconosciuto) ricopre l’onside kick. Peyton Manning completa un quarto down da 28 yard per Marvin Harrison per segnare il 35-28. Il pareggio arriva alla fine dell’ultimo drive, 85 yard che vengono coperte in 101 secondi, nei quali Indy non può nemmeno usufruire di alcun timeout.

In overtime arriva lo zampino della lega. Mike Vanderjagt, formidabile kicker di cui parleremo più in profondità in futuro, può vincerla con un calcio da 40 yard. Lo sbaglia – cosa più unica che rara – ma gli arbitri chiamano una penalità per “leaping” a un giocatore dei Bucs, reo di essere atterrato su un compagno nel tentativo di bloccare il calcio. Mike Pereira, esperto ex arbitro e celebre commentatore televisivo, dichiarerà qualche anno dopo: “La regola esiste, ma non c’è flag se il giocatore atterra in piedi. Insomma, è stata l’unica chiamata per leaping alla quale abbia mai assistito e io non l’avrei mai fatta!”
I Colts guadagnano quindici yard, il destro di Vanderjagt è peggio del precedente ma dopo aver colpito la mano di un avversario e il palo regala i tre punti vittoria a Indianapolis.

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La difesa dei Buccaneers – foto del 1999. Tra gli altri presenti anche Ronde Barber, Warren Sapp e John Lynch

Un miracolo, ma evidentemente non il solo della serata, come afferma proprio Jon Gruden a fine partita: “Un sacco di quelle giocate sono merito di Manning. Ha fatto alcuni lanci miracolosi.
Gruden dal 2011 condurrà la trasmissione “Jon Gruden’s QB Camp” in cui interroga come un professore i quarterback più meritevoli in uscita dal college. Quindi qualcosa di passaggi dovrebbe capire.
Il 6 ottobre 2003 i Colts diventano la prima squadra nella storia a recuperare uno svantaggio di 21 punti con meno di 4 minuti da giocare. Ma, al quinto anno da professionista, è già la quattordicesima vittoria in rimonta nel quarto quarto di Peyton, che chiuderà la carriera con 45 di queste prodezze. Dan Marino ne ha 36, John Elway 35, Joe Montana 31.
I Buccaneers si perderanno, non raggiungeranno i Playoff e stanno ancora aspettando di vincere una partita di Post Season da quel mitologico 3 febbraio 2003 che li vide campioni del Mondo.
Dopo Jim Mora, Manning aveva fatto fuori anche loro.

Record su record

Dopo quella partita, i Colts sono finalmente completi. Vinceranno un minimo di 12 gare all’anno fino al 2009 e domineranno a larghi tratti la loro division, la neonata AFC South. Manning lancia un minimo di 4000 yard in tutte le stagioni passate in Indiana tranne due. Vince quattro volte il titolo di MVP.
Dopo quella notte del Raymond James Stadium, i Colts esordiscono in stagione sempre da favoriti per la vittoria per il Super Bowl.

Nel 2006 il loro roster annovera Peyton Manning, Marvin Harrison, Brandon Stokley, Dallas Clark in attacco, Ryan Diem, Tarik Glenn e Jeff Saturday in linea offensiva, Dwight Freeney, Robert Mathis, Bob “Hitman” Sanders in difesa.
Partono 9-0, poi ai Playoff battono i Chiefs e i Ravens a Baltimore, per il disappunto di qualsiasi natio del Maryland. L’attacco dei Colts è stellare, la difesa traballa spesso in regular season per mettersi a posto solo a Baltimore, quando congela i Ravens a sole 83 yard su corsa. È il segnale chiaro che è la volta buona, ma in finale di conference, la seconda per Manning e Dungy, ci sono i Patriots al RCA Dome.

La tempesta perfetta

New England va in vantaggio 21-3 quando Asante Samuel capisce il lancio di Peyton Manning e lo riporta in End Zone nel primo tempo. È come l’intercetto di Barber del 2003, ma avviene molto prima nella partita. La fa virare a favore dei Colts nell’ennesimo paradosso, e a inizio secondo tempo Indy torna in campo per vincere.
Gli estremi, statisticamente, semplicemente non esistono.
Nessuno ha mai recuperato 18 punti di svantaggio in un Championship Game e quei New England Patriots dell’era Belichick-Brady non avevano fino ad allora mai perso un Championship. Il primo tempo confermava tale canovaccio, con Manning imbrigliato che aveva anche subito due sack in uno dei primi drive.

Ma la NFL ci aveva visto lungo: il 18 non è lì per caso, e cambierà ancora una volta il corso della storia. Dieci completi nei primi tre drive del secondo tempo, che si concludono con un touchdown su corsa dello stesso Manning, un lancio per il DE Klecko allineato in attacco, una conversione da due punti per Harrison e un altro TD su corsa, stavolta per Joseph Addai, rookie runningback terribile giunto a Indy in primavera.
New England riesce a segnare solo a causa di un ritorno di kick-off pazzesco di Ellis Hobbs, ma è completamente fuori dalla partita, commette varie penalità e alla fine è un intercetto, questa volta su Tom Brady, a porre fine alle ostilità sul 38-34. Indianapolis, e intendiamo la città, è per la prima volta a un Super Bowl.
Qualche numero? 32 primi down a 20, 20 primi down su passaggio, 8/15 sui terzi down, 330 yard di passaggio contro 226.

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“Non so se si debba pregare per cose del genere, ma durante l’ultimo drive di New England ho pregato”

La foto qui sopra spiega tutto di quella serata di gennaio del 2007: Peyton abbraccia Archie sotto un cartello che recita: << Peyton eclisserà la leggenda del 19 >>. Il 19 è Johnny Unitas, vincitore di tre titoli NFL con i Colts, quando essi erano a Baltimore negli anni ‘50 e ‘60. L’impatto di Unitas sul football è stato gigantesco se consideriamo che per 60 anni è stato il giocatore con il maggior numero di partite consecutive con un passaggio da touchdown. Eclissare Unitas? E come si fa? Ormai Peyton Manning combatte contro le leggende, da quella sera del gennaio 2007 è quella la sua dimensione: non lotta nel presente, lotta nel passato e nel futuro della NFL.

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Per la cronaca, due settimana dopo (4 febbraio 2007) sotto la pioggia di Miami i Colts si laureano campioni piegando in una brutta partita i Chicago Bears. Peyton lancia un solo touchdown, per Reggie Wayne, che basta e avanza per tenere a bada i Bears di Brian Urlacher e Lovie Smith, ottimi in difesa ma deficitari in attacco.
Ecco, solo quattro anni prima i Buccaneers avevano vinto sostanzialmente solo con la difesa, ora il Vince Lombardi lo alza il migliore attacco. La banda di Tony Dungy – primo coach afro-americano a vincere un Super Bowl – opera una piccola rivoluzione. Le preghiere della NFL, mentre Peyton Manning alza al cielo un trofeo che probabilmente pensa di poter vincere molte altre volte, sono esaudite.
Nei rating delle agenzie, intanto, Indianapolis batte Chicago. In percentuale, ci sono più famiglie nell’Indiana collegate sulla CBS rispetto a quelle collegate dall’Illinois. Se l’impatto di Peyton Manning sul football giocato può essere fonte di dibattito, il fatto che egli salvi il football in un intero stato non è in discussione.

Riguardiamo un attimo la foto soprastante: c’è un fotoreporter che immortala padre e figlio. È di schiena, in testa il cappellino dei Boston Red Sox. Il dettaglio più importante è questo, perché dalla città del Massachussets ripartirà (e farà qualche passo indietro) il nostro racconto. Perché raccontare Peyton Manning senza Tom Brady sarebbe un’ingiustizia. Per tutti e due. E per chi legge. E tra questi, per chi ha assistito alla più grande rivalità sportiva degli anni 2000.

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Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

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2 Commenti

  1. Bellissimi articoli tutti questi, perché’ magari non riunirli e farci un ebook?

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