Il libro di Peyton Manning: prologo

“Papà, che cosa fai?”

Il “papà” non è un genitore qualsiasi, non uno che si alza la mattina alle 7 e va in fonderia o apre il negozio. Il “papà” è Archie Manning, UNICO (prima di Chucky Wilkins) giocatore ad aver visto la sua maglia ritirata dal college per cui ha giocato, la storica Ole Miss delle battaglie degli anni sessanta di un sud sospeso tra segregazione razziale e progresso.

Dicono di lui in Mississippi: “L’unica persona famosa quanto Archie era Elvis Presley!” Prima scelta, seconda assoluta, dei New Orleans Saints nel 1971. Una carriera di quattordici anni in tre differenti squadre, eccellendo spesso e portando a casa un sacco di denaro. I Manning vivevano lì, a Garden District, New Orleans, in una casa splendida con un bel giardino.

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Un fratello fissa l’altro con la faccia “Lascia che cresca e poi non farai più il brillante”. Il padre è pronto alla stoppata.

Ma cosa può aver fatto di così grave Archie per meritarsi il rimprovero del suo figlio mezzano, Peyton? Semplice, ha creato una squadra di basket con Peyton e i suoi amichetti. Peccato che tali amichetti siano scarsi, e Peyton non sopporti di avere un supporting cast di tale livello: “Papà, cosa fai? Chiama qualcuno che sappia giocare!” “Mah, veramente sarebbero i tuoi amici… Ok, scusa…”. A 8 anni Peyton è già uno sportivo esigente, più del padre che gioca in NFL.

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“Eli, non sai nulla!”

Il giardino di casa Manning sembra un ranch, è grande come la Valle d’Aosta e i tre figli di Archie (e Olivia, reginetta di bellezza di Ole Miss nel 1970) indossano la maglia dei Saints del padre. Peyton è quello che gli americani chiamano “brat”, monello; prende il giovane Eli e lo butta a terra, si mette a giocare con Cooper, il maggiore, e usa lo stesso Eli come ricevitore. Peccato che il ruolo di ricevitore di un passaggio del piccolo Peyton Manning sia poco invidiabile: Eli non conta le volte che piange a causa della potenza dei passaggi del fratello, maggiore di cinque anni. Cooper guarda da lontano, sornione, sapendo che è lui il predestinato a seguire le orme del padre.

Le cose andranno molto diversamente.

Il primo lavoro (la parola è quella giusta) da quarterback Peyton lo ottiene in seconda superiore: Isidore Newman High, i Greenies del vecchio coach Tony Reginelli, 40 anni da allenatore della squadra. Se andate a chiederglielo, Reginelli vi dice che esisteva una Newman High prima dei Manning e una ne è esistita DOPO i Manning. Quando arriva Peyton e Cooper è un senior, il più grande si fa da parte e col suo numero 18 si allinea come ricevitore. Alle dipendenze del fratellino farà registrare la migliore stagione per un receiver nella storia della Newman. Peyton è ancora oggi il recordman di yard lanciate per i Greenies, e dopo di lui Reginelli appenderà il fischietto al chiodo.
Ha visto troppo il vecchio Tony:

“Una volta se stavamo sotto 14 a 0 sapevo che avremmo perso, con Peyton non ci badavo nemmeno. Giocavamo al SuperDome le finali statali, non temevamo nessuno. Ogni anno con Peyton avevo 70 studenti che volevano giocare nella squadra, contro la metà degli anni precedenti. Questo ragazzo mi faceva il five-step e il seven-step drop come mai avevo visto in vita mia, una rivoluzione per un ragazzo di quell’età!”

Cooper rimane comunque un prospetto molto promettente. Ricevitore o quarterback, poco importa; Archie tira su il telefono e dall’altra parte c’è il rettore di Ole Miss: “Mandalo quando vuoi, un posto in squadra ce l’ha.” Poco prima dell’inizio della stagione però i medici scoprono una disfunzione alla colonna vertebrale per lui, mettendo fine ai sogni di gloria.

Peyton ha ancora due stagioni a Newman da giocare: nessun dubbio, indosserà il 18 di Archie ma soprattutto di Cooper. Lo stesso farà Eli succesivamente. Il primo non se lo toglierà più in NFL, il secondo vorrà distinguersi, non avrà l’affettuoso 18 tra i professionisti (anche perché nel frattempo diventerà un po’ pesante da portare).

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Colui che porterà il 18, fuori dal campo, non è un ragazzo normale: sfida Eli – ancora! – stavolta in quiz riguardanti il college football, di cui sa TUTTO. Eli sbaglia, perché magari ha anche altro in testa oltre alla palla ovale. “Eli, non sai proprio nulla!” “E’ solo un gioco… Ok, scusa…”. A 16 anni Peyton sa già tutto di football, gli scout fanno la fila per entrare alle partite allenate da coach Reginelli e in Mississippi non aspettano altro che Peyton prenda il diploma.

“Lascio che sia Peyton a splendere”

Quante possibilità ci sono che l’adolescente Peyton rimorchi in un bar come tutti? Può la sua ossessione per la palla ovale lasciargli tempo per una vita amorosa normale o, quantomeno, irrequieta? No, Ashley infatti la conosce perché lei è vicina di casa di un recruiter di Tennessee che l’aveva ospitato durante il processo di selezione che porterà il figlio di Archie ai Volunteers.

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La moglie del giocatore di football più famoso degli ultimi vent’anni vive una quotidianeità brillante, accudendo i due figli gemelli nati nel 2011 a Indianapolis e dedicandosi a battaglie di beneficenza che abbraccia con entusiasmo.
La moglie di Brett Favre le chiede di stare al suo fianco nell’aumentare la consapevolezza riguardo il cancro al seno, e lei si fa trovare pronta. Appena il nome di Manning viene chiamato dal commissioner della NFL al draft, lei ha già fondato la PeyBack Foundation per i bambini in situazione di estrema difficoltà familiare: società, questa, che si occupa di affiancare a ognuno di essi un tutore legale. È ovvio che non possa fermarsi qui: la famiglia Manning porta una quindicina di questi bambini ogni anno su una crociera della Disney.

Ashley sta nell’ombra, sorridente, legge la Bibbia prima di andare a dormire, alleva i due bambini in possedimenti e regge che i comuni mortali non possono nemmeno immaginarsi, tiene le redini di un piccolo impero di associazioni benefiche con il sorriso. Ha imparato a convivere con un crumiro che passa più tempo in palestra che a casa. E proprio da una palestra il nostro percorso riprenderà.

Seconda puntata

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Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

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