Dallas Cowboys 1992: to the absolute best

The America’s Team

Per capire cosa significhi il football ed in particolare i Cowboys per la città di Dallas qualche informazione sul contesto può esserci utile.

Se andate su Google e cercate “Dallas skyline”, tutte le immagini in risultato presentano il complesso della Reunion Tower, inaugurata nel 1978, inserita nel complesso alberghiero Hyatt Regency. Il comprensorio include una stazione ferroviaria (Union Station) e il punto dove confluiscono Commerce Street ed Elm Street: il Dealey Plaza. La storia sconsiglia l’uso di auto scoperte. Dallas non è una meta turistica molto appetibile, una mostra all’Art Museum di disegni di Phil Collins (si, quel Phil Collins) vale come evento culturale.
La città si gira bene: se non interessano gli eccellenti centri commerciali, ci si può organizzare per andare in giro per Downtown o spingersi fino al village usando tram australiani del 1920 restaurati per bene, veri gioiellini di modernariato meccanico; ma se andate al Tourist Information a chiedere cosa ci sia da visitare in città al momento, le risposte sono implacabilmente: Elm Street, il Dealey Plaza, il Sixth Floor Museum nella Public Library, il Kennedy Memorial. Il dubbio che l’assassinio del presidente sia stato pensato dalla Pro Loco…

La skyline di Dallas,TX
La skyline di Dallas, TX

Insomma, anche con le attenuanti fornite dalle eccellenti bisteccherie, Dallas non è in grado di competere con le altre metropoli americane. Ma se siete appassionati di football le prospettive cambiano un po’. A Dallas si respira football. Avere infilato casco e paraspalle o anche essere solo appassionati, vuol dire semplicemente essere del posto. E con buona pace degli appassionati di college, se si parla di football la locuzione Dallas Cowboys è un unico fonema inscindibile. La città vive, respira, empatizza e soffre con quello che nel tempo è stato ribattezzato, non senza motivo, The America’s Team.

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Caduta e rinascita dell’impero texano (1989-1991)

I Cowboys conobbero i loro momenti di gloria principalmente negli anni Settanta, anche se uscivano spesso malridotti dai Super Bowl contro gli Steelers. Ma la loro prima legacy era consolidata: Roger Staubach, Tony Dorsett, Drew Pearson, Harvey Martin, Randy White, Too Tall Jones. Tutti nomi che oggi un cinquantenne texano faticherebbe a ricordare senza commuoversi.

Negli anni Ottanta, specialmente nella seconda metà, la ruota per i Cowboys cominciò a girare nel verso sbagliato. Non si vinceva, si faticava a raggiungere la postseason, non c’erano più tanti nomi identificabili dai tifosi. Ogni anno la situazione andava in involuzione.

Il 25 febbraio 1989 i Dallas Cowboys cambiano proprietario. Il petroliere Jerry Jones stacca un assegno da centoquaranta milioni di dollari e rileva la squadra da H.R. Bright. La prima mossa di Jones è almeno aggressiva. Tom Landry (1924-2000:  l’uomo che ha inventato la difesa 4-3, per dirne una) viene gentilmente avviato alla pensione dopo ventinove anni nel ruolo di capo allenatore. Poco dopo salta anche Tex Schramm, general manager. Il comando delle operazioni è in mano allo stesso Jones, che prende come nuovo head coach un suo vecchio sodale di college ad Arkansas, Jimmy Johnson, reduce da una eccellente esperienza alla guida dei Miami Hurricanes, dove in cinque stagioni era arrivato sempre ai Bowl principali, aveva vinto un titolo e ne perse uno in finale contro Penn State.

La ricostruzione dei Cowboys parte quindi con forze fresche, poichè gli unici due giocatori di qualche prospettiva presenti nel roster erano i due rookie Michael Irvin e Ken Norton Jr.

Nella draft del 1989 i Cowboys chiamano con il numero uno assoluto e scelgono Troy Aikman, eccellente QB da UCLA. Nei giri successivi arrivano altri nomi che resteranno in Texas a lungo e con successo: Steve Wisniewski, Darryl Moose Johnston, Mark Stepnoski e Tony Tolbert. Il campionato 1989 si chiude tuttavia con il record di una vittoria e quindici sconfitte. La squadra è stata drammaticamente ringiovanita e il gap con le altre, specie in termini di esperienza nei ruoli chiave, è serio.

Johnson, Aikman e Jones.
Johnson, Aikman e Jones.

Nella draft del 1990 si aggiunge alla squadra un runner dai Florida Gators, Emmitt Smith: halfback un po’ leggero, ma veloce e deciso. Va detto che in quegli anni non era ritenuto un azzardo spendere una prima scelta per un running back, visto che l’anno prima i Detroit Lions avevano preso con il numero 3 assoluto Barry Sanders. Tutto sommato una buona generazione…
A Smith si aggiungono anche il DT Jimmie Jones e il DB Kenneth Gant.

Aikman sta maturando bene e la presenza di Emmitt Smith nel backfield gli toglie molta pressione. Segni di vita anche in difesa e il campionato si chiude con il record incoraggiante di 7-9.

Nel 1991 il management decide una mossa forse azzardata. Vengono ceduti tre giocatori ai Patriots (che avevano appena perso la possibilità di scegliere Rocket Ismail) e con il n.1 assoluto viene selezionato Russell Maryland, DT dei Miami Hurricanes. Arrivano anche Alvin Harper (complemento ideale di Michael Irvin), il T Erik Williams, il LB Dixon Edwards, il DT Leon Lett e il CB Larry Brown. Il roster dei texani ha sempre meno punti deboli, le scelte degli ultimi anni sono state spese in modo davvero intelligente.
La squadra ormai è quasi un prodotto finito. Un record di 11-5 e l’eliminazione ai playoff per opera dei Lions, con una prestazione leggendaria di Barry Sanders.

La stagione 1992

Il coaching staff è consolidato. JJ saldamente e indiscutibilmente in comando. Assistenti di valore assoluto, quali Norv Turner, Dave Wannstedt e Butch Davis.
Nonostante l’età media giovanissima, ormai la forza dei Cowboys non è più un mistero per nessuno. Poche aggiunte nella draft  (Kevin Smith, Robert Jones, Darren Woodson) perchè la squadra ormai c’è.
Si aggrega al gruppo anche Charles Haley. sontuoso pass rusher che a San Francisco ha rotto malamente con George Seifert e non trova vendetta migliore se non quella di accasarsi a Dallas.
Non bisogna più porre rimedio alle debolezze, bisogna rinforzare le eccellenze. La regular season è pressochè perfetta e si chiude con il record di 13-3 e la vittoria nella NFC East. Nel divisional i Cowboys triturano gli Eagles 34-10 e in finale di conference c’è l’ennesimo capitolo della storica rivalry con i San Francisco 49ers. I Cowboys vincono 30-20 al Candlestick Park e arrivano al Super Bowl per la prima volta dal 1979 (Steelers 35, Cowboys 31).

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Ad attenderli ci sono i Buffalo Bills, al loro terzo Super Bowl consecutivo, reduci da due sconfitte contro altre due avversarie della NFC East, Giants e Redskins.
In quegli anni i Buffalo Bills di Marv Levy sono una delle più belle macchine offensive della NFL. La loro no huddle offense manda puntualmente in difficoltà le difese, Jim Kelly è ormai un field general maturo, Thurman Thomas e Kenneth Davis hanno prodotto insieme più di duemila yard su corsa, i ricevitori sono forti (Reed e Lofton) e la linea è solida. In difesa ci sono veri e propri mostri sacri quali Bruce Smith, Daryl Talley, Shane Conlan, Cornelius Bennett e Henry Jones.

Dallas viene data favorita per meno di un touchdown di scarto, quindi ci si aspetta una partita avvincente. I Bills sono reduci da due Super Bowl persi e sono forti ed esperti. L’incognita principale è data dal fatto che i Cowboys sono la squadra più giovane della NFL come età media.

31 gennaio 1993: Super Bowl XXVII, The Rose Bowl, Pasadena

I presupposti per un close game ci sono tutti. I Bills hanno faticato contro gli Oilers, rimontando un passivo di trentadue punti e poi hanno vinto con relativa facilità in casa dei Miami Dolphins. Sono esperti, hanno fame e soprattutto sono stufi di perdere. I Cowboys sono innegabilmente forti. Aikman, Smith e Irvin sono il trio offensivo più temuto della NFL e la difesa è statisticamente la migliore, anche se incredibilmente non manda nessun giocatore al Pro Bowl.

Il primo quarto

La partita parte in maniera un po’ costretta. Da subito la difesa dei Cowboys mette su Kelly una pressione mai vista prima. Poco tempo per lanciare, coperture eccellenti. La chiave di tutto è una velocità di esecuzione in difesa veramente impressionante. Ma anche la difesa dei Bills parte bene: i Cowboys vogliono prima stabilire il gioco di corsa ma Buffalo li costringe subito a un three-and-out. Prima del punt si vede Steve Tasker (il Jedi Master degli special team, oggi commentatore televisivo) passare dietro la linea dei Bills per andarsi a posizionare di fronte al LB Robert Jones, che di solito non viene schierato in protezione sui punt ma deve sostituire un compagno infortunato. Mismatch.
Allo snap Tasker riesce a trovare un modo per passare sotto la spalla interna di Jones e arriva a bloccare il punt di Saxon. Primo break per i Bills, che poi arriveranno a segnare con una corsa di Thurman Thomas, capitalizzando un drive di sedici yard appena. Bills 7, Cowboys 0.

Dallas non abbandona il game plan. Smith left, Smith right, Smith up-the-middle. Viene coinvolto un po’ Novacek, ma non i ricevitori. Una penalità sciocca che annulla una buona corsa di Smith. Un po’ di tensione tra i texani. Quando Aikman lancia viene spesso indotto al check-down per il buon lavoro che i Bills stanno facendo in pass rush e copertura. Se l’attacco di Dallas perde il timing va in difficoltà.
Nel successivo possesso Kelly sotto blitz viene colpito mentre lancia, il TE Metzelaars scivola prima di ricevere e James Washington intercetta agevolmente, riportando la palla fino alle 47 dei Bills. Palla ai Cowboys, che stanno provando a mettersi in moto in attacco e hanno bisogno di avere meno pressione possibile. Aikman comincia a prendere le misure bene, comincia a coinvolgere anche Irvin chiudendo un 3rd-and-17 con un completo di 20 yard. Arrivati sulle 23, trova il TE Novacek che si è disegnato uno spazio non coperto nella zona dei Bills. Segnatura quasi comoda, Bills 7, Cowboys 7. 

Sul kickoff seguente una penalità porta i Bills indietro, sulle loro 10. Nella prima giocata Charles Haley va a posizionarsi sul lato di Howard Ballard, per sfruttare l’evidente differenza di velocità fra lui e il tackle. Incredibilmente i Bills non pensano un raddoppio o almeno un aiuto su quel lato dove invece schierano tre ricevitori. Haley gira letteralmente intorno al tackle che neppure riesce a rallentarlo, arriva in pieno sulle costole di Kelly. Esce un pallone sporco, raccolto in area dal DT Jimmie Jones, ad un passo dalla end zone. Cowboys 14, Bills 7. 

Il TD di Jimmie Jones
Il TD di Jimmie Jones

Dallas ha segnato due touchdown in quindici secondi. La partita sta sterzando.

Buffalo ha già commesso due turnover, ora la pressione è tutta su di loro. I Cowboys ormai sono padroni dei propri mezzi.

I Bills ovviamente non ci stanno. Non accettano di ritrovarsi in mezzo allo stesso film visto negli ultimi due Super Bowl. L’attacco si rimette in moto subito, per dimenticare lo strano pick-six di pochi istanti prima.

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Secondo quarto

Buffalo ha ricominciato a guadagnare sulla terra e i guadagni sulle corse inducono Dallas a spostare un po’ il focus difensivo. E proprio in quel momento Kelly prende Andre Reed su una traccia slant. Reed incrocia il campo, trova un blocco e dopo un guadagno di quaranta yards viene fermato sulle 4. Vista la forza dell’attacco sulla terra, c’è odore di punti. La difesa texana la pensa diversamente. Tre corse vengono fermate prima della end zone, la terza con uno spettacolare placcaggio di Norton. Buffalo vuole i sette punti e la gioca. I Cowboys aggiungono un extra DB, che in situazione di quarto down sulla goal line è una scelta un po’ controintuitiva. Ma ha ragione Wannstedt, perchè prima dello snap i due runner vanno in shift e si allargano a destra, Kelly esce in roll out, vuole lanciare sul FB Gardner ma è sotto pressione e la palla esce un po’ over, terminando nelle mani dell’extra back schierato dai Cowboys, Thomas Everett.
Quattro down per fare tre yard: zero punti.

Dallas rientra dalle proprie venti, molto più rilassata rispetto all’inizio della partita. Aikman non forza nulla, un paio di primi down su corsa e un punt, la palla torna nuovamente ai Bills sulle proprie 15. L’attacco di Buffalo si rimette in moto, viene coinvolto anche Kenneth Davis poichè Thurman Thomas al momento non è un fattore e i Bills non possono permettersi di rinunciare al gioco sulla terra, sia per oggettiva forza che per necessità di gestione del tempo e del gioco. Davis entra bene, chiude subito un down e guadagna con buona regolarità anche nello spazio tra i tackle. Sul successivo 2nd-and-7 Norton entra in blitz sul lato destro di Kelly: il pickup di Davis sul LB non è ottimale e Norton in pratica usa il runner come una rampa di lancio. L’atterraggio è tremendo, il ginocchio di Kelly resta preso sotto il peso del difensore, Kelly rimane a terra urlando e tenendosi la gamba con le mani. Non c’è bisogno di approfondire, purtroppo la partita di questo grande e sfortunato guerriero finisce qui.

L'infortunio di Jim Kelly
L’infortunio di Jim Kelly

I Bills non si arrendono, perchè il loro backup è Frank Reich, the Miracle Maker. E’ stato infatti lui, non Kelly, a guidare la rimonta di 32 punti contro gli Oilers nel wild card game del 3 gennaio. Con tutto lo choc per l’infortunio di Kelly i Bills riprendono a marciare, grazie al solito immarcabile Andre Reed. Ma anche stavolta nella red zone la difesa texana diventa impenetrabile e stavolta i Bills si accontentano dei tre punti. Cowboys 14, Bills 10.

Nel secondo quarto i Bills sono stati due volte nella red zone avversaria e in tutto hanno ottenuto un field goal.
La confidenza della difesa texana, che al momento ha già forzato tre turnover, è alle stelle.

L’attacco dei Cowboys rientra in campo quasi ansioso di voler dare un contributo al superlavoro dei compagni. Drive esemplare, illuminato da una corsa di trentotto yard di Emmitt Smith prima del two minute warning e concluso da una pennellata perfetta di Aikman per Michael Irvin che chiude in end zone uno slant da manuale: cinque giochi, 72 yard in un minuto e mezzo: Cowboys 21, Bills 10.

I Bills sono alle corde: la corsa di Smith è la più lunga concessa dalla loro difesa nella stagione e arriva nel momento peggiore.

Rientrano in campo, l’idea sarebbe di andare con i loro giochi più rodati per avvicinare il loro kicker ai pali prima dell’intervallo. Bread and butter, quindi. Uno screen di Reich per Thurman Thomas, che però viene circondato da uno sciame di maglie bianche. Il colpo di Leon Lett fa cadere la palla, Jimmie Jones ricopre il fumble sulle 19! Non siamo a metà partita e i Cowboys hanno rubato palla ai Bills per quattro volte.

Aikman va per la vena, subito. Protetto a dovere dalla sua linea, trova Michael Irvin su una traiettoria ad uscire. Irvin riceve saltando, proteggendo la palla con il corpo in maniera esemplare, poi si gira e finisce il lavoro arrivando in end zone in un gioco solo.  Cowboys 28, Bills 10.

Il secondo TD di Michael Irvin
Il secondo TD di Michael Irvin

E’ il colpo del KO, è evidente per tutti. I Cowboys lo hanno fatto di nuovo: due touchdown in diciotto secondi

I Bills hanno finito carburante e cuore, la differenza è troppa in ogni settore e non c’è nemmeno più Kelly. I Cowboys non sono gli Oilers, Reich non farà un altro miracolo.
Paradossalmente le statistiche all’intervallo mostrano una sostanziale parità, ma l’opportunismo dei texani ha scavato un abisso: i primi quattro turnover sono stati capitalizzati con ventuno punti. Questa squadra è ingiocabile da chiunque. Con tutto che il cronometro è ormai verso lo zero, c’è tempo per un altro intercetto: i Bills non possono sperare di rientrare con la testa in una partita dove solo nel primo tempo hanno perso palla cinque volte.

Statistiche di metà tempo
Statistiche di metà tempo

Il secondo tempo

Sul 28-10 la partita è finita virtualmente all’intervallo.

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Dallas continua a fare il suo gioco con calma, approfittando dei guadagni lasciati dalla difesa di Buffalo.
La partita viene messa nelle mani di Emmitt Smith, che finirà con 22 corse, 108 yds e un TD.
Aikman andrà ancora a referto, con un TD di 45 yds per Harper e chiuderà la partita con uno spettacolare e concreto 22 su 30 per 273 yds e 4 TD e verrà nominato MVP dell’incontro. La difesa recupererà altri quattro palloni in una trance agonistica mai vista prima in un Super Bowl. Paradossalmente il turnover più famoso è però quello di Leon Lett, che celebrando un po’ troppo in anticipo rispetto alla end zone, perderà palla per un colpo di Don Beebe.

Protect the ball, Leon, protect the ball...
Protect the ball, Leon, protect the ball…

La partita si chiude in un massacro vero e proprio: Cowboys 52, Bills 17


break

Il seguito…

La notte del 31 gennaio 1993 consegnò alla storia la squadra che dominò gli anni Novanta insieme ai San Francisco 49ers.
I Cowboys bissarono la vittoria l’anno dopo, sconfiggendo nuovamente i Bills per 30-13 in una partita dominata in attacco da Emmitt Smith e dalla sua mastodontica linea, e in difesa dal safety James Washington, a cui la storia deve un MVP per quella prestazione:11 placcaggi, un fumble riportato in end zone per 46 yard e un intercetto. La spina dorsale di quella squadra rimase quella costruita con le scelte del periodo 1989-1991. Quando si acquisiva un free agent, c’era un perchè (vedere alla voce Charles Haley)

Jimmy Johnson decise che il suo ciclo ai Cowboys era compiuto dopo due Lombardi Trophy consecutivi. Si prese un po’ di riposo e dal 1996 al 2000 allenò i Miami Dolphins, dove non ebbe, purtroppo, la stessa gloria. La sua ultima partita fu una devastante sconfitta in un divisional a Jacksonville, dove i Jaguars umiliarono i Miami Dolphins per 62-7. Quel triste giorno i Dolphins consegnarono alla leggenda del gioco anche il loro più grande giocatore di sempre, Dan Marino.

Johnson comunque lasciò una squadra così forte e consapevole che anche un allenatore discutibile come Barry Switzer riuscì a vincere un titolo perturbando l’ambiente il meno possibile, se l’aggiunta di un fuoriclasse assoluto come Deion Sanders può considerarsi una perturbazione… I suoi assistenti principali, Norv Turner e Dave Wannstedt, hanno avuto le loro chance di allenare in NFL. Turner lo ha fatto con risultati accettabili (Washington, San Diego), mentre Wannstedt a Miami è riuscito a sprecare giocatori come Zach Thomas, Jason Taylor e soprattutto Ricky Williams, a conferma del fatto che non sempre un assistant coach di successo può trasformarsi in un buon head coach.

Le tre stelle più brillanti hanno continuato sulla loro traiettoria verso la grandezza.

Emmitt Smith si è ritirato nel 2004 con il titolo di NFL All Time Rushing Leader con 18.355 yds e 164 TDs. Introdotto nella Hall of Fame nel 2010, Troy Aikman si è ritirato nel 2000 ed è stato introdotto nella Hall of Fame nel 2006. Oggi è analyst per Fox Sports. Diciamo che sa quello che dice, Michael Irvin ha chiuso la sua carriera nel 1999 ed è stato introdotto nella Hall of Fame nel 2007. Oggi è nel board degli analisti di NFL Network.

emmitt smith

Jerry Jones è ancora al suo posto, ci mancherebbe. Oltre a vincere tre titoli, ha fatto costruire il Cowboys Stadium, forse al momento il miglior impianto sportivo “tutto incluso” sul pianeta. Con una gestione contemporaneamente attenta ed aggressiva ha consegnato alla storia del football una squadra che, alla fine di quella fantastica partita, venne descritta in maniera perfetta dal color commentator radiofonico Dale Hansen:

“In a span of four years, the Cowboys have gone from the absolute worst to the absolute best.
Dallas, your Cowboys are champions.”

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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