[NCAA] Visita guidata al College Football

Il movimento di rivoluzione del pianeta e il susseguirsi delle stagioni scandisce perfettamente i tempi dello sport USA. La fine dell’estate ci regala le emozioni dei playoff di baseball ma soprattutto il ritorno dei giganti del football che se le daranno di santa ragione per tutto l’autunno. Se la partenza della stagione NFL inchioda al divano l’intera nazione altrettanto lo fa quella del college football, il cosiddetto campionato NCAA. Quello che agli occhi dei meno attenti può sembrare una sorta di campionato primavera o preludio alla lega maggiore è invece un torneo seguito quanto – se non di più – di quello NFL, che affonda le proprie radici  nella storia del paese stesso, visto che i primi incontri risalgono addirittura agli ultimi anni dell’800.

Ma andiamo con ordine, inquadrando per primo il contesto della National Collegiate Athletic Association, ovvero l’universo sportivo all’interno del quale circa 1200 Università USA competono con i propri programmi maschili e femminili in tantissime discipline. Dato il numero elevato di contendenti esistono tre Divisioni in cui sono ripartite le scuole a seconda del numero di studenti. Nella Division I trovano posto le Università più grandi e più famose, che contano fino a 75mila studenti, come nel caso di Arizona State. Per quanto concerne il football è questo il campionato di riferimento – per l’esattezza Division I Football Bowl Subdivision – quello con i budget più importanti, con gli allenatori più carismatici e vincenti e i migliori giocatori, molti dei quali destinati a proseguire la carriera nell’NFL.

bcs_logo_2010Durante una stagione regolare una scuola gioca di media soltanto 12 partite. Le squadre sono divise in conference per lo più su base geografica. Dato l’alto numero di partecipanti e le poche partite a disposizione è impossibile stabilire univocamente il valore di una squadra mediante il solo record vinte/perse; esiste, perciò, un complicato sistema grazie al quale si stila un ranking delle prime 25 Università basato sulle prestazioni dei team e sui giudizi dei giornalisti (AP Poll) e dei coach (USA Today). Alla fine della stagione le prime due scuole del ranking disputano il BCS Championship, che sarebbe, in linea di massima, la gara per stabilire il campione della stagione. Accanto ad esso esistono, però, altri innumerevoli Bowl Games, una sorta di partite di post-season, giocati dalle squadre che si sono maggiormente distinte nella stagione regolare, in base a criteri piuttosto complicati. Tra di essi si distinguono per importanza cose come  il Sugar Bowl, l’Orange Bowl, il Fiesta Bowl e il Rose Bowl.

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Come qualsiasi altro fenomeno a stelle e strisce, nonostante la sua natura amatoriale, anche il college football è soggetto alla cascata di dollari che sponsor e media riversano sul campionato e sulle scuole. Ironia della sorte gli unici che non possono beneficiarne sono proprio i giocatori, poiché è vietato indennizzarli con somme di denaro. In realtà le più forti promesse del paese appena stanno per  mettere il naso fuori dal Liceo sono soggette a programmi di reclutamento molto aggressivi, tramite i quali le varie scuole offrono vantaggi e svariati benefit pur di assicurarsi le loro prestazioni a discapito della concorrenza. Uno di questi vantaggi è, per esempio, non pagare le rette universitarie e garantire agli atleti più svogliati una laurea in una università prestigiosa senza praticamente aprire mai un libro. Inoltre, nonostante il divieto di retribuire gli atleti, non sono infrequenti dazioni di somme – anche ingenti – o offerte di posti di lavoro per congiunti e familiari. Il tutto rigorosamente sottobanco.

Per spiegarsi questi meccanismi è necessario capire perché il college football attiri tanto l’interesse del pubblico. La risposta sta principalmente nella diffusione capillare che le scuole hanno nel paese e nella quantità di potenziali tifosi che da esse si sentono rappresentati. Detto altrimenti: l’NFL conta solo 32 franchigie quasi totalmente concentrate nelle maggiori città; chi vive nel mid-west o nei grandi stati del sud si sente più coinvolto emotivamente dalla squadra del college vicino casa o di cui è magari un ex-studente, piuttosto che di una squadra NFL qualunque. Tra l’altro data l’alta densità di scuole in poche miglia quadrate si sono sviluppati tantissimi fenomeni di vero e proprio campanilismo che contribuiscono ad accendere ed incrementare la passione dei tifosi. In mezzo ad un mare di  rivalità, ognuna delle quali pretende di essere la più intensa o la più vecchia, spiccano quelle tra Michigan Wolverines e Ohio State Buckeyes, o le battaglie – in questo caso strictu sensu – tra Army e Navy. Ma la più intensa, quella che ha raggiunto picchi di odio mai visti, è il cosiddetto Iron Bowl il match tra Alabama Crimson Tide e Auburn Tigers, che, per accrescerne l’aura leggendaria, viene giocato nel weekend del ringraziamento.

La partita, che si disputa fin dal 1893, ha visto cose che rasentano la follia, come quando dopo l’Iron Bowl del 2010 vinto da Auburn – rimontando peraltro un parziale di 24-0 all’intervallo – un garbato tifoso di Alabama che non l’ha presa benissimo ha avvelenato le due querce del Toomer’s Corner, emblema dell’Università di Auburn e luogo in cui i tifosi celebrano le vittorie della propria scuola appendendo rotoli di carta igienica ai rami.

toomers

È normale, quindi, che una volta che ti ha contagiato – a parte le derive patologiche – questa passione te la porti dietro sempre. Per cui gli stessi ex-studenti continuano a seguire la squadra della propria alma mater anche quando vanno a lavorare in un altro stato o in un’altra città. In tutte le metropoli esistono bar-ritrovi in cui il sabato gli ex-studenti  guardano le partite della propria scuola. Infatti,  se la domenica è il giorno dell’NFL il sabato è consacrato all’NCAA. Volendo ci si può accomodare sul divano già la mattina presto e  rialzarsi quella dopo, quando trasmettono le highlights delle partite. Diversamente si va allo stadio o perlomeno, ci si prova. Infatti nonostante gli stadi del college football siano in media più grandi di quelli della lega maggiore – Michigan e Ohio contano oltre centomila posti contro gli 85mila del FedEx Field dei Washington Redskins in NFL – trovare un biglietto non è per niente semplice data l’altissima richiesta dovuta al numero limitato di partite.

stadio-michigan-fullPer ovviare gli studenti si sottopongono a lunghe liste d’attesa e perfino a lotterie che poi si trasformano in occasioni di aggregazione al momento dell’estrazione dei biglietti. Se non fosse ancora chiaro, la bellezza dell’evento sportivo negli USA risiede anche nel clima di festa che si respira intorno ad esso. Il giorno della partita tutto il campus, che spesso coincide nelle dimensioni con la città stessa che lo ospita, attende la partita. Ci sono varie usanze, alcune delle quali, magari nelle realtà più piccole, coinvolgono la squadra stessa con la partecipazione alla messa e il giro del perimetro della scuola con tanto di banda al seguito. Man mano che si avvicina l’inizio della partita i tifosi si radunano fuori lo stadio dando vita al tailgating. Ognuno porta con sé da bere e da mangiare e se c’è un po’ di musica e un pallone da football da passarsi il gioco è fatto. Hamburgers che grigliano e birra che scorre a fiumi trasformano l’attesa del match in un party improvvisato a cui partecipano tutti, anche quelli senza biglietto.

Naturalmente ogni squadra ha le proprie stelle che, lungi dal vecchio stereotipo del bel quarterback biondo-caucasico fidanzato con la reginetta della scuola/capitana delle cheerleaders, sono ormai dei veri e propri professionisti sottoposti all’attenzione dei media e alla pressione famelica di tifosi e staff tecnico; la ragione di tanta esasperazione risiede nel fatto che essi non solo rappresentano gli eroi di oggi ma anche il futuro della specie. In un certo senso le loro prestazioni hanno il duplice scopo di portare gloria e denaro alla propria scuola ma anche di creare attorno a sé il personaggio che domani contribuirà ad alimentare il circo dei Pro. Che a 18 anni, o poco più, non è esattamente una cosa facilissima da gestire.

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