[NFL] Il futuro incerto di Donovan McNabb

nflE’ abbastanza facile dimostrare di essere uomini nello sport. Si può iniziare a prendere la responsabilità delle proprie azioni sul campo molto prima di quanto si faccia in casa ed in famiglia. Un ragazzino di 10 anni può essere ancora il ‘cocco di mamma’ ed al contempo un leader per i suoi amichetti sul campo da gioco, sedando gli screzi, parlando con l’allenatore, dimostrandosi più maturo di quanto la sua età sottintenda.
E nello sport il ruolo che ha più responsabilità è quello del quarterback. Un coach, soprattutto ad alto livello, sceglie il suo QB partente secondo una serie di parametri in cui il coraggio, la leadership, l’intelligenza, la costanza, la serietà arrivano molto prima della potenza, della corsa, della precisione. Avendo potuto seguire abbastanza bene la parabola di Donovan McNabb, chi vi scrive è sicuro che tali caratteristiche hanno trovato la massima incarnazione nel nativo dell’Illinois, perlomeno a livello NFL.
 
mcnabbPiù che un predestinato, McNabb al liceo si è ritrovato in mezzo ad una classe di ferro. Giocava a football, quarterback più abituato a correre che a lanciare, e a basket, faceva atletica e a tempo perso giocava a pallavolo per il neonato programma della sua scuola. Già a quell’età non si risparmia, quindi, eccellendo in quattro sport ed infischiandone di chi si stupisce e chiede spiegazioni della sua intenzione di unirsi a quest’ultimo team. Con lui, fianco a fianco, Antoine Walker e Simeon Rice, che giocano anche loro a basket alla Mount Carmel di Chicago.
Il quartiere dove Donovan si trasferì con la famiglia proprio non li voleva. Scritte razziste ricoprivano la sua casa la prima volta che egli la vide. 
Dichiarerà più tardi che fu uno degli episodi che gli insegnarono ad essere uomo, a guardare in faccia una cosa e passare oltre. E forse fu uno di quegli episodi che lo trasformò dal ragazzino ribelle che fa suonare il suo strumento al fratello per illudere i genitori di andare a lezione di musica in una vera e propria forza trascinante che fece vincere il titolo statale alla sua squadra di football.
Dopo gli anni nel South Side, Donovan si iscrive a Syracuse, dove gioca a football e basket per due anni prima di concentrarsi esclusivamente sulla palla ovale. Non salta una sola partita nel suo periodo al college, in quattro anni.
E’ nominato Big East Conference Player of the Decade, con un rating medio di 155. Prima del draft qualcuno osa ancora dire, nel 1999, che un quarterback della option offense (cioè di un attacco basato sulle corse, in cui la prima opzione appunto coinvolge le corse, spesso del QB stesso) non è adatto al livello superiore. McNabb, in modo garbato ed essenziale risponde che anche lui deve leggere la difesa, e che il fatto di appartenere ad un attacco che gioca in quella maniera non necessariamente significa avere statistiche gonfiate. 
Convince i Philadelphia Eagles, che lo scelgono con la seconda assoluta. Quel draft è una fucina di episodi e dichiarazioni che ci fanno capire chi è il soggetto di questo articolo. Prima dichiara che il comportamento di Ryan Leaf, che l’anno precedente era stato al centro di una disputa per una mezza rissa con un giornalista, è inclassificabile perché davanti alle telecamere il giocatore di San Diego non si prende responsabilità di ciò che ha fatto, non per l’alterco in sé.
Su Donovan si pronunciano alcuni dirigenti NFL, Pittsburgh sembra intenzionata a sceglierlo, così come Tampa Bay, il cui head coach è al tempo Tony Dungy, colui che prima mette le basi per il trionfo dei Bucs nel SuperBowl e poi va a prendersi il suo meritatissimo trofeo con i Colts qualche anno dopo. E con lo stesso Dungy, altro uomo coraggioso e leale, McNabb riuscirà a recuperare un talento come Michael Vick, che proprio i suoi Eagles tireranno fuori di prigione e daranno una maglia per giocare.
 
mcnabbIn questo scenario potrebbero passare in secondo piano i riconoscimenti a livello NFL. 2 volte miglior QB della lega, 6 volte al Pro Bowl, una apparizione al SuperBowl. Leader in tutte le categorie per la franchigia della Pennsylvania. Una leggenda, destinata alla Hall of Fame. Ma ancora una volta, nemmeno i suoi numeri tra i professionisti danno l’idea del giocatore se non altro particolare che è. Nessuno ha contato le volte in cui, battendosi la mano sul petto, prendeva la colpa di una giocata riuscita male. Oppure nessuno ha una statistica di quanto McNabb abbia tentato di redimere quella testa calda di Terrell Owens, che al contrario del numero 5, trova capri espiatori per qualsiasi suo piccolo fallimento, ed aveva proprio in Donovan il suo bersaglio preferito.
Lui lo faceva parlare ed ammortizzava così l’impatto devastante del talentuoso receiver sullo spogliatoio. L’infortunio di Owens, che lo lasciò fuori per tutti i Playoff, non impedì agli Eagles di raggiungere il grande ballo, dove degli imbattibili Patriots tolsero l’alloro più importante ad un giocatore storico. Arrivò quindi il declino.
 
Il destino, molto clemente con Donovan fino a quel momento, si riprese indietro quanto datogli in salute, ed egli si infortunò dapprima all’inguine, poi più gravemente al ginocchio. Il guerriero non era assolutamente sconfitto, si riprese il posto da titolare, fece da tutor a Michael Vick e Kevin Kolb, diede ancora molto alla squadra che aveva portato a 5 championship nella sua carriera. E ben poco dice il fatto che quattro di tali partite furono delle sconfitte, vista la pochezza del receving corp che, per tutta la carriera, ha funestato le sue possibilità.
Ora Leslie Frazer, coach dei Vikings, si permette di mettere in dubbio il posto da titolare di McNabb, con Christian Ponder che spinge dietro a quello che ora sembra un “grande vecchio” attaccato con le unghie al proprio lavoro. 
Forse domani dirà che l’ex Seminole ha rubato il posto ad uno dei più grandi QB degli anni 2000, che un’era fatta di etica professionale, di coraggio, di ardue decisioni è finita. Purtroppo, non sempre dipende dalla volontà del giocatore, spesso sono le condizioni ad essere avverse, dopo mille battaglie contro mille critiche ed avversari. Questa volta sembra proprio, visto anche il rendimento francamente pessimo della squadra del Minnesota, che dovremo fare a meno di un grande protagonista. Per questo scriviamo di lui oggi, perché domani probabilmente non avremo più la fortuna di commentare il suo operato.
La fortuna di conoscerlo invece ce l’hanno gli attuali studenti della Mount Carmel High School, a cui ripete ogni volta che torna a casa che la squadra è molto più importante del singolo. Noi speriamo che qualcun altro dia una possibilità al trentaquattrenne quarterback, ma nel frattempo i tifosi dei Vikings avranno di che analizzare da qui alla fine della stagione.
 
Ponder è un quarterback pronto per la NFL, sulla carta molto più di Newton e Locker, che nell’ultimo draft sono andati prima di lui. Intelligenza molto superiore alla media dei giocatori NFL, laureato a tempo di record, ha una precisione molto alta e può confidare su un cavallo da tiro come Adrian Peterson. C’è da rimettere in piedi una franchigia che si ritrova in una division impossibile, e al prodotto di Florida State sono rimaste poche partite per iniziare a farlo prima che, presumibilmente, la squadra venga ulteriormente rinforzata in off season.
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Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

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