[W13] Another one bites the dust

afcDamon Huard. Jay Fiedler. Ray Lucas. Brian Griese. AJ Feeley. Sage Rosenfels. Gus Frerotte. Joey Harrington. Daunte Culpepper. Cleo Lemon. Trent Green. John Beck. Chad Pennington. E ora, Chad Henne.
È la lista dei giocatori che, negli ultimi 10 anni, hanno giocato almeno una partita da titolari come quarterback dei Miami Dolphins. Da quel lontano 15 gennaio 2000, ultima – infausta – partita dell’immenso Dan Marino, sono ben 14 i giocatori che si sono alternati nel tentativo vano di trovare un erede degno e stabile al “greatest pure passer in NFL history”. Su di loro sono stati investiti soldi, scelte, lavoro, tempo e sudore. Qualcuno ha avuto più fortuna, qualcuno meno. Pochi di loro – Chad Pennington ad esempio – saranno ricordati con qualche rimpianto, ma la maggioranza non avrà questa soddisfazione. Tutti sono stati accompagnati da grandi aspettative e grandi speranze, scrutati in ogni millimetro dai fans, orfani inconsolabili del grande campione. Tutti però saranno ricordati come un tentativo fallito. E fra loro, purtroppo, sembra esserci ormai anche Chad Henne.
Al suo terzo anno fra i pro il giovane quarterback ex-Michigan non ha ancora dimostrato di riuscire a fare il salto di qualità necessario dolphinsperchè i Dolphins possano salire di livello: mentre colleghi con anzianità uguale alla sua (Ryan, Flacco) o minore (Sanchez, Stafford, Freeman, Bradford, McCoy) sono già riusciti ad imporsi, il rating medio di Henne non ha mai superato la soglia di 80 e i suoi numeri quest’anno, in cui ha anche a disposizione le mani – tanto invocate in passato – di un wr come Brandon Marshall, non sono migliorati rispetto allo scorso anno quanto era lecito attendersi. Nel 2009 aveva chiuso con 12 touchdown e 14 intercetti in 14 gare, una percentuale di completi del 60,8% ed un rating di 75,2; quest’anno, su 8 gare, ha lanciato 8 touchdown e 10 intercetti, completato il 63,5% dei tentativi e ottenuto un rating di 78,2. Numeri che sono in sintesi lo specchio fedele di un giocatore sempre in bilico fra buone giocate ed errori madornali, incapace di regolarizzarsi, di darsi continuità e di uscire dal limbo di un livello medio ormai insufficiente nella NFL moderna. Oggi una squadra per poter competere non può prescindere da un quarterback affidabile, ed Henne non è ancora riuscito a dimostrare di poter essere questo giocatore per i Miami Dolphins.
Qualcuno ha provato a comparare i numeri di Henne con i numeri degli inizi di Drew Brees, trovandoci notevoli similitudini e argomentando come la carriera di Brees abbia poi preso una piega ben diversa; perchè per Henne non potrebbe essere lo stesso? È facile osservare come la vera svolta per Brees sia però arrivata quando i Chargers hanno deciso di scegliere Philip Rivers al draft; i Dolphins, quindi, decideranno di prendere la stessa strada?
Il fallimento del progetto Henne è infatti una sconfitta per tutta la società. La ricostruzione in cui si era impegnato Bill Parcells, infatti, era fondata sul giovane quarterback più che su ogni altro tassello. È stata ad esempio la decisione di puntare su Henne che aveva condotto a scegliere Jake Long come prima scelta assoluta nel draft 2008. Nessuno afferma che Long sia stata una brutta scelta, visto che il left tackle col numero 77 promette di essere un ospite affezionato del Pro Bowl per la prossima decina d’anni; ma è difficile nel contempo ignorare la qualità di chi poteva essere scelto al suo posto, cioè Matt Ryan.
dolphinsIl problema vero non è però solamente l’eventuale ennesimo quarterback sbagliato, ma tutto il progetto di ricostruzione che improvvisamente sembra collassare. Quasi come se le mosse di quest’estate – Brandon Marshall strapagato come se fosse il pezzo mancante per vincere, o il sostanzioso rinnovo a Channing Crowder, quest’anno un non-fattore – fossero state solo un colossale abbaglio e la realtà sia invece quella di una squadra mediocre costretta a ripartire da zero. Perchè senza quarterback non si vince, e trovarsi con quello sbagliato porta l’orologio di una franchigia indietro di due/tre anni, ammesso che stavolta si trovi quello giusto. E per intorbidire ancor di più le acque mettiamoci il fatto che Bill Parcells non c’è più, che lo staff tecnico che lui ha creato ed assemblato è lo stesso che ha preso numerose cantonate sia nei vari draft (Pat White? Patrick Turner? Shawn Murphy?) che in free agency (Ernest Wilford? Gibril Wilson? Eric Green?), che lo stesso coaching staff non è purtroppo esente da pecche (special team inguardabili, playcalling opinabili e gestione del roster a volte rivedibile) e che Stephen Ross, il padrone di tutto questo, sta cacciando un mare di soldi per avere in cambio risultati oggettivamente modesti e magari potrebbe anche scocciarsi.
Quindi, è tutto nero? All’ombra di Jets e Patriots – loro sì, capaci di rinnovarsi in modo tanto rapido quanto radicale e vincente – tutto quello che può arrivare a Miami sono solo altri anni di vacche magre e di eterna ricostruzione? Non esattamente: qualcosa di buono c’è.
In difesa, ad esempio, negli ultimi anni sono stati innestati pezzi giovani e importanti: il cornerback Vontae Davis è destinato a primeggiare nella NFL e il suo opposto Sean Smith ha le doti per fargli compagnia, a patto che riesca a disciplinarsi di testa. E sempre in secondaria  Clemons e il rookie Reshard Jones sono due elementi dal buon potenziale. Cameron Wake è esploso quest’anno come colui che non farà rimpiangere Jason Taylor – e a Miami è tutto dire – e l’innesto di Dansby ha dato solidità nel dolphinscentro della difesa, risultando il miglior colpo dell’ultima free agency. Una linea giovane e in miglioramento completa un reparto che sotto la guida esperta di Mike Nolan può crescere e fornire delle certezze.
In attacco sembre destinata a chiudersi l’era del R&R Express. È difficile che entrambi ritornino il prossimo anno, ed è probabile che questo sia uno dei settori su cui intervenire al draft. Serviranno altri WR, perchè Marshall e Bess non possono bastare; servirà qualcos’altro come TE, perchè il solo Fasano non è sufficiente; bisognerà decidere una volta per tutte cosa fare con la linea d’attacco che, a parte i due tackle Long e Carey, ha poche certezze. Ma, gira e rigira, si torna sempre lì: al quarterback.
14 qb bruciati in dieci anni, cercando l’erede di Marino che i fans anelano. E, se includiamo anche Tyler Thigpen, al quale non è ancora stata data una vera occasione di far vedere se può essere lui la soluzione (hai visto mai…) arriviamo a 15. Il prossimo aprile sarà l’ora del sedicesimo? Forse. Sperando che anche lui non finisca a mangiare la polvere…
 
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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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