[W3] Saints in difficoltà
La NFL della free agency non è una lega per musicisti. I bis solitamente non si concedono. E non sarà facile riuscirci per i campioni in carica New Orleans Saints, reduci da un avvio di stagione decisamente meno brillante dell’anno passato.
Proviamo a mettere qualche paletto prima di tornare ai nero-oro.
Negli ultimi 20 anni – il sistema dei free agent è stato introdotto nel 1989 e aggiornato nel 1993 – ci sono riusciti i San Francisco 49ers (1989 e 1990), i Dallas Cowboys (1993 e 1994), i Denver Broncos (1998 e 1999) e i New England Patriots (2004 e 2005).
Ripetersi è possibile, ma raro. La difficoltà nel trattenere tutti i pezzi pregiati però, non è la causa principale dell’assenza di vere e proprie dinastie, sebbene sia il secondo tassello dopo il draft per edificare le “pari opportunità” per ogni squadra; pietra angolare dello sport professionistico negli Stati Uniti. Quello che davvero le impedisce sono gli aggiustamenti. L’altissima specializzazione della Nfl infatti fa sì che gli allenatori, studiando minuziosamente ogni dettaglio del gioco, riescano a trovare i rimedi più efficaci per quelle situazioni che per un breve periodo sembrano inattaccabili.
Un lungo preambolo che spiega in parte come mai Drew Brees e soci siano parsi involuti nelle prime tre uscite dell’anno rispetto alla passata stagione, quando erano esplosi sin dai primi turni: 45 punti in faccia ai Lions e 48 agli Eagles. Sì, il fuoco e le fiamme del 2009 sembrano un ricordo lontano.
Nell’opener contro i Vikings i punti segnati sono stati appena 14, contro una formazione che successivamente ha palesato non pochi problemi. Vero che un po’ di ruggine estiva era prevedibile, altrettanto vero che la tensione per la rivincita del Championship Nfc deve essersi sentita, ma il sentore che la perfezione e la fame del campionato scorso fossero svanita c’era, nonostante un game plan ben studiato e in grado di sorprendere i vichinghi (corse all’osso nel primo tempo, aumentate drasticamente nella ripresa).
Sensazione rafforzata da una seconda uscita tutt’altro che entusiasmante contro i San Francisco 49ers. Gara, questa, vinta in extremis, in cui non ha aiutato l’infortunio a Reggie Bush. Di fronte in ogni modo c’era un’altra compagine in enorme affanno (0-3 di record e offensive coordinator licenziato). Eppure New Orleans non è riuscita a imporre il suo football.
Alle due risicate vittorie è poi seguita la sconfitta contro i rivali divisionali di Atlanta in una partita dai contenuti agonistici altissimi ma con i primi segni di “cedimento” dello stesso Brees (due intercetti). Un accenno della pioggia di yard del 2009 c’è stato (30 su 38 per 365), non tradotto in un forsennato movimento del tabellone: solo 24 punti (contro i Niners erano stati 25). Un altro acciacco, a Pierre Thomas, et voilà: un nuovo bastone nella ruota. E il gioco di corsa senza i due titolari rischia di diventare un problema primario nel procedere della stagione.
A questo si è aggiunto il momentaccio di Garrett Hartley. Già negativo contro Minnesota, il kicker si era rifatto a San Francisco prima di una debacle clamorosa contro i Falcons, che ha spinto Sean Payton a richiamare John Carney.
Sommando il tutto a una difesa non imperforabile, disastrosa, persino, contro le corse, e a un ginocchio sospetto di Drew Brees; ecco che anche gli aspetti positivi, Shockey sempre più dedito alla causa e lontano dagli atteggiamenti indisponenti di inizio carriera, passano in secondo piano.
A soccorrere parzialmente i Saints potrebbe essere il calendario. La visita dei Carolina Panthers appare la medicina migliore per rilanciare le azioni dei “who dat” boys. Successivamente ci sarà modo di riorganizzare i meccanismi contro Arizona, Tampa Bay e Cleveland. Se nemmeno quattro giornate particolarmente agevoli riusciranno a ringalluzzire i nero-oro le possibilità di rivederli alzare il Vince Lombardi Trophy si ridurranno al lumicino. I Saints 2010 non sembrano lo stesso treno lanciato verso l’obiettivo di dodici mesi fa e si sa, le annate perfette difficilmente si ripetono, così come abbiamo già ricordato per Brett Favre. Nella Nfl poi anche i suonatori migliori stentano nel replicare le loro musiche. La melodia di New Orleans aveva accordi divini un anno fa, ma proprio per questo riproporli sembra essere diventato una missione estremamente complicata, per non dire impossibile.
Proviamo a mettere qualche paletto prima di tornare ai nero-oro.
Negli ultimi 20 anni – il sistema dei free agent è stato introdotto nel 1989 e aggiornato nel 1993 – ci sono riusciti i San Francisco 49ers (1989 e 1990), i Dallas Cowboys (1993 e 1994), i Denver Broncos (1998 e 1999) e i New England Patriots (2004 e 2005).
Ripetersi è possibile, ma raro. La difficoltà nel trattenere tutti i pezzi pregiati però, non è la causa principale dell’assenza di vere e proprie dinastie, sebbene sia il secondo tassello dopo il draft per edificare le “pari opportunità” per ogni squadra; pietra angolare dello sport professionistico negli Stati Uniti. Quello che davvero le impedisce sono gli aggiustamenti. L’altissima specializzazione della Nfl infatti fa sì che gli allenatori, studiando minuziosamente ogni dettaglio del gioco, riescano a trovare i rimedi più efficaci per quelle situazioni che per un breve periodo sembrano inattaccabili.
Un lungo preambolo che spiega in parte come mai Drew Brees e soci siano parsi involuti nelle prime tre uscite dell’anno rispetto alla passata stagione, quando erano esplosi sin dai primi turni: 45 punti in faccia ai Lions e 48 agli Eagles. Sì, il fuoco e le fiamme del 2009 sembrano un ricordo lontano.
Nell’opener contro i Vikings i punti segnati sono stati appena 14, contro una formazione che successivamente ha palesato non pochi problemi. Vero che un po’ di ruggine estiva era prevedibile, altrettanto vero che la tensione per la rivincita del Championship Nfc deve essersi sentita, ma il sentore che la perfezione e la fame del campionato scorso fossero svanita c’era, nonostante un game plan ben studiato e in grado di sorprendere i vichinghi (corse all’osso nel primo tempo, aumentate drasticamente nella ripresa).
Sensazione rafforzata da una seconda uscita tutt’altro che entusiasmante contro i San Francisco 49ers. Gara, questa, vinta in extremis, in cui non ha aiutato l’infortunio a Reggie Bush. Di fronte in ogni modo c’era un’altra compagine in enorme affanno (0-3 di record e offensive coordinator licenziato). Eppure New Orleans non è riuscita a imporre il suo football.
Alle due risicate vittorie è poi seguita la sconfitta contro i rivali divisionali di Atlanta in una partita dai contenuti agonistici altissimi ma con i primi segni di “cedimento” dello stesso Brees (due intercetti). Un accenno della pioggia di yard del 2009 c’è stato (30 su 38 per 365), non tradotto in un forsennato movimento del tabellone: solo 24 punti (contro i Niners erano stati 25). Un altro acciacco, a Pierre Thomas, et voilà: un nuovo bastone nella ruota. E il gioco di corsa senza i due titolari rischia di diventare un problema primario nel procedere della stagione.
A questo si è aggiunto il momentaccio di Garrett Hartley. Già negativo contro Minnesota, il kicker si era rifatto a San Francisco prima di una debacle clamorosa contro i Falcons, che ha spinto Sean Payton a richiamare John Carney.
Sommando il tutto a una difesa non imperforabile, disastrosa, persino, contro le corse, e a un ginocchio sospetto di Drew Brees; ecco che anche gli aspetti positivi, Shockey sempre più dedito alla causa e lontano dagli atteggiamenti indisponenti di inizio carriera, passano in secondo piano.
A soccorrere parzialmente i Saints potrebbe essere il calendario. La visita dei Carolina Panthers appare la medicina migliore per rilanciare le azioni dei “who dat” boys. Successivamente ci sarà modo di riorganizzare i meccanismi contro Arizona, Tampa Bay e Cleveland. Se nemmeno quattro giornate particolarmente agevoli riusciranno a ringalluzzire i nero-oro le possibilità di rivederli alzare il Vince Lombardi Trophy si ridurranno al lumicino. I Saints 2010 non sembrano lo stesso treno lanciato verso l’obiettivo di dodici mesi fa e si sa, le annate perfette difficilmente si ripetono, così come abbiamo già ricordato per Brett Favre. Nella Nfl poi anche i suonatori migliori stentano nel replicare le loro musiche. La melodia di New Orleans aveva accordi divini un anno fa, ma proprio per questo riproporli sembra essere diventato una missione estremamente complicata, per non dire impossibile.