[NFL] Miami Dolphins: il 2012 in retrospettiva

Riavvolgere il film della stagione 2012 dei Miami Dolphins, la prima di un ennesimo nuovo ciclo, è una cosa  lunghetta. Per fare ordine, riassumiamo tutto in cinque semplici domande, anche un po’ cattive…

1) Nel 2008 Miami e Atlanta hanno iniziato a ricostruire assieme dal fondo: i Falcons hanno iniziato un ciclo vincente, i Dolphins no. Ora Miami, senza aver combinato quasi nulla, ha dovuto iniziare a ricostruire di nuovo, stavolta assieme a Indianapolis: ed ecco che i Colts sono subito ai playoffs e i Dolphins no. Ma perché gli altri sì e Miami no?

È frustrante vedere che franchigie in situazioni simili sono riuscite ad azzeccare le scelte e a ripartire mentre i Dolphins sono costretti a ricominciare da capo ogni volta. Volendo la risposta facile, questa è sotto gli occhi di tutti: nel 2008 Atlanta ha scelto Matt Ryan e Mike Smith, Miami Jake Long (potendo – volendolo – prendere Ryan) e Tony Sparano; nel 2012 Indianapolis ha scelto Andrew Luck e Chuck Pagano, Miami Ryan Tannehill (stavolta non potendo prendere Luck) e Joe Philbin. Quindi, la spiegazione è tutta nel quarterback e nel coach. Ma è ovvio che la risposta facile non spiega tutto.

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jeff ireland
Jeff Ireland

A 4 anni di distanza si può dire che le scelte dei Falcons di allora furono giuste e quelle dei Dolphins un po’ meno, e che il problema è stato nell’intera gestione di Bill Parcells, totalmente deficitaria sotto tutti i punti di vista. Miami nel 2012 è stata praticamente costretta a resettare tutto ed a ripartire con nuove scelte: progetto nuovo, allenatore nuovo, filosofia nuova. Sfortunatamente, anche con un roster impoverito di talento, frutto delle scelte della gestione precedente e in gran parte inadatto al nuovo progetto. Quindi con un chiaro bisogno di tempo, tanto più in assenza di un giocatore in grado di far fare da solo il salto di qualità: cioè, proprio quello che Atlanta ha trovato in Ryan e Indianapolis in Luck.
Il trait d’union fra le due epoche di Miami è l’uomo al comando, Jeff Ireland, il GM voluto da Parcells e unico sopravvissuto al fallimento. Non amato dai fans e – ahilui – non esente da errori nel passato, questa offseason sarà particolarmente cruciale per lui: o riesce a migliorare il roster da affidare al coach oppure potrebbe trovarsi senza lavoro. La pazienza di un proprietario, specialmente se pieno di soldi, ha sempre un limite. Chiedere a Tony Sparano per una conferma.

2) Sparano il primo anno ha vinto la division; poi si è visto come è andata. Philbin non ha vinto, quindi ha iniziato anche peggio. Miami ha sbagliato allenatore un’altra volta?

Joe Philbin
Joe Philbin

Un anno è poco per giudicare, tanto più che Joe Philbin nel 2012 si è trovato in condizioni molto diverse dal Tony Sparano del 2008: nessun mostro sacro come Parcells a proteggergli le spalle, un roster pieno di giocatori di belle speranze ma con poca sostanza in molti ruoli (mentre Sparano aveva una squadra rinnovata ma costruita ad immagine del football che voleva Parcells), un quarterback rookie da sviluppare invece di un Chad Pennington (il colpo che praticamente da solo cambiò la stagione 2008): nei piani estivi questo giocatore doveva/poteva essere David Garrard ma l’infortunio estivo ha sconvolto le carte in tavola e “forzato” il debutto di Tannehill.

Alla fine Phibin – allenatore con uno stile umano molto diverso dal suo predecessore – ha fatto comunque un buon lavoro e un buon primo anno. Ha portato un nuovo approccio di gioco, impostando un passaggio verso la West Coast Offense in attacco e tornando alla 4-3 in difesa, ha gettato alcune basi, e, facendo vedere qualche sprazzo di luce, è arrivato secondo nella division. Ha comunque fatto i suoi errori e anche il suo staff non è stato da meno, ma per un progetto al primo anno ci può anche stare. Quest’anno però, soprattutto se il roster a sua disposizione verrà migliorato, si vedrà davvero se l’ex-coordinatore dei Packers ha la stoffa per fare il capo allenatore oppure andrà ad aumentare il numero dei progetti falliti.

3) Il draft di quest’anno aveva destato speranze. I rookies di quest’anno come sono andati?

Jonathan Martin (scelto al secondo giro) è piaciuto più quando è stato spostato LT dopo l’infortunio di Jake Long rispetto all’inizio di stagione giocato a destra: del resto al college giocava proprio a sinistra, proteggendo il lato cieco di Andrew Luck. In qualsiasi posto, sarà un pezzo importante della futura linea offensiva. Olivier Vernon (DE – terzo giro) è andato benino ma ha prodotto un po’ poco rispetto alle aspettative; il prossimo anno dovrà fare un salto di qualità per non rischiare, perché in pass rush Cameron Wake non può fare tutto da solo.
Michael Egnew (TE scelto al terzo giro) è forse la delusione peggiore, non ha quasi mai visto il campo e il suo momento di notorietà è stato quando, durante “Hard Knocks”, l’OC Mike Sherman gli ha urlato contro nella riunione di squadra davanti a tutti “Sei terribile, dipendesse da me ti taglierei domani”. Se davvero ha potenzialità, la prossima estate è il momento di farle vedere.
Lamar Miller (quarto giro) è un running back molto interessante a detta di tutti, ma si è visto poco in campo senza capire bene il perché. L’impressione è che, come Martin, anche lui paghi il fatto di avere davanti nel suo ruolo un veterano forte (nel suo caso, Reggie Bush).

Dal quinto giro in poi, nulla da segnalare, con l’unica eccezione di Rishard Matthews (WR scelto al settimo giro) che è riuscito a giocare e farsi notare un po’ nel finale di stagione. Ma tutto quanto appena detto non conta nulla: il draft 2012 dei Dolphins è stato, in pratica, centrato su un uomo solo…

Tannehill
Ryan Tannehill

Ryan Tannehill è stato, statisticamente, quasi il peggiore fra i quarterback rookies (solo 4 punti meglio di Brandon Weeden, ma parliamo dei Browns…) ma questo non può e deve essere motivo di panico solo perché Miami aspetta il nuovo messia da 13 anni. Intanto, quella di quest’anno è stata un’annata di quarterback mai vista in decenni. E poi, che Tannehill avesse bisogno di tempo era chiaro fin da prima che Roger Goodell lo chiamasse sul palco come ottava scelta allo scorso draft. Nella sua carriera a Texas A&M ha giocato due anni e mezzo come wide receiver e solo l’ultimo anno e mezzo come quarterback a tempo pieno, quindi l’esperienza nel ruolo era limitata; nonostante ciò era visto da tutti gli analisti come il terzo miglior prospetto, dopo i due fenomeni Luck-RG3, in una classe di qb che già a priori si reputava essere eccezionalmente profonda.

Lanciato subito titolare anche per mancanza di una vera concorrenza, Ryan Tannehill è partito sorprendentemente bene all’inizio per poi perdersi un po’ quando gli avversari hanno iniziato a studiarlo, conoscerlo e prendergli le misure; a quel punto l’inesperienza si è fatta sentire e il coaching staf ci ha messo del suo non riuscendo ad elaborare soluzioni per aiutarlo. A suo favore, a detta dei coach, gioca la capacità di imparare in fretta, anche dai propri errori, gli ottimi mezzi atletici e, soprattutto, quella che in inglese chiamano ‘football IQ’, cioè la capacità di comprendere il gioco. A suo sfavore parlano, purtroppo, i risultati: il tanto vituperato Chad Henne, nel suo primo anno da titolare, chiuse con un rating migliore di quello registrato quest’anno da Tannehill, con un parco ricevitori a disposizione simile a quello – scarso – odierno. E il record finale fu 7-9, lo stesso di quest’anno.
Con tutti i distinguo del caso, è chiaro che le speranze di Miami, al di là di come saranno spesi i soldi in offseason, stanno tutte nel secondo anno di Tannehill: qualsiasi cosa meno del proseguimento del trend positivo di crescita sarà un fallimento, ma se arriva il salto di qualità atteso, allora il futuro può essere roseo.

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4) Almeno la difesa qualcosa ha fatto, anche se tende a crollare sempre nel finale. Il prossimo anno migliorerà?

Cameron Wake
Cameron Wake

Il cambio di coordinatore, da Mike Nolan a Kevin Coyle, nonchè di filosofia, dalla difesa 3-4 alla 4-3, è stato brusco ma ha portato qualche buon risultato: a lungo, infatti, la difesa di Miami è stata fra le migliori della lega, soprattutto contro le corse. Il punto di forza è senza dubbio la front seven, specialmente nella linea di difesa, dove è stato trovato il giusto mix fra esperienza (Starks e Soliai) e gioventù (Odrick e Vernon). Cameron Wake ha saputo confermarsi nell’elite dei pass rushers, totalizzando 15 sacks nonostante fosse spesso raddoppiato e sorvegliato a vista: per il futuro sarà necessario che qualcun altro possa togliergli pressione, sia che questo avvenga con la crescita di Vernon oppure attraverso un draft che sembra abbastanza profondo nel ruolo. Karlos Dansby e Kevin Burnett sono stati ancora una volta il cuore della difesa, chiudendo l’anno entrambi abbondantemente sopra i 100 tackles. Nulla da dire, tranne la preoccupazione data dalla loro età (31 e 30) e dal fatto che dietro di loro lo scarto di rendimento è evidente, anche se il secondo anno Koa Misi è cresciuto.

La secondaria è stata ancora una volta il punto debole, non tanto per le safeties (Clemons e – soprattutto – Reshad Jones hanno avuto una ottima stagione, con il terzo anno Jones ormai riconosciuto fra le migliori giovani safeties della NFL) quanto per i problemi nel ruolo di cornerback. La decisione di cedere ai Colts in offseason Vontae Davis (prima scelta nel 2009) ha portato una buona contropartita da spendere al prossimo draft ma ha creato un buco nel roster poi ingigantito dagli infortuni di Richard Marshall e Nolan Carroll. Sean Smith non è ancora arrivato al livello che ci si aspettava dopo la sua scelta al secondo giro nel 2009 e il suo stato di free agent è una delle decisioni più critiche delle prossime settimane. Dopo aver scelto due cornerback nei primi due giri del draft 2009 ed aver così sperato di aver risolto i problemi, Miami probabilmente sarà costretta a fare qualcosa di simile quest’anno, per iniettare freschezza in un reparto che, anche se reduce da una buona stagione, ha probabilmente raggiunto il massimo delle sue possibilità attuali. I miglioramenti futuri, se ci saranno, dipenderanno da questo passaggio.

5) A quanto pare siamo pieni di soldi per il prossimo mercato. Cosa succederà in offseason?

Le proiezioni attuali danno i Dolphins con circa 40 milioni di spazio disponibile nel salary cap per il prossimo anno quindi, effettivamente, con un bel po’ di soldi da spendere. Ed è a questo punto che inizia il vero lavoro per il GM Jeff Ireland. Ma, anche se le idee su cosa serva sono abbastanza chiare, prima di tutto dovranno essere prese delle decisioni sui giocatori, anche importanti, che stanno per diventare free agent.
Il più importante è Jake Long. L’ex-prima scelta assoluta ha vissuto per 4 anni come left tackle più pagato non solo della lega ma dell’intera storia della NFL. Le sue prestazioni lo hanno certamente ripagato, nessuno mette in discussione il suo talento e la sua importanza, ma gli infortuni che hanno iniziato a tormentarlo non lo rendono più così dominante, gli hanno fatto saltare parecchie partite e ne stanno forse minando il fisico. A queste condizioni, è difficile che i Dolphins vogliano riconoscergli un nuovo stipendio alle cifre che ha finora avuto, che lui ritiene di meritare e che qualcun’altra squadra sicuramente sarà disposta a dargli. Aggiungendo al quadro la crescita di Jonathan Martin, la possibilità che Long lasci Miami in offseason, per quanto spiacevole, non è così remota.

Reggie Bush
Reggie Bush

Altro nome importante è quello di Reggie Bush. L’ex stella di USC è riuscito a Miami a ridare una nuova dimensione alla sua carriera dimostrandosi giocatore completo e importante anche se non sempre costante, leader e professionista esemplare anche fuori dal campo. Potrebbe anche restare, con soddisfazione di tutti, ma al giusto prezzo, soprattutto considerando la presenza nel roster di Lamar Miller, che è un giocatore molto simile. E un discorso simile vale per Sean Smith: il cornerback ex-Utah ha talento e mezzi, ma dopo 4 anni ci si aspettava qualcosa di più. Potrebbe restare ma, anche qui e come spesso succede, sarà questione di soldi, visto che i cornerback sono fra i giocatori che, in giro, vengono pagati di più.

Sistemato tutto, la priorità di quest’anno sarà dare armi a Tannehill sperando di aiutarne i miglioramenti. Il che vuol dire trovare dei wide receiver e magari, visto il trend della NFL odierna, anche un TE alternativo a Fasano. In giro ci potrebbero essere bei nomi (Greg Jennings, Dwayne Bowe e Mike Wallace potrebbero tutti essere free agent) ed è abbastanza chiaro che sarà questo uno degli obiettivi principali della free agency di Miami. Altri rinforzi potrebbero essere presi un po’ dappertutto, magari anche un backup e mentore esperto per Tannehill non guasterebbe, ma dipenderà da ciò che si renderà disponibile. Dopodichè, in un draft che sembra povero di playmaker ma ricco di uomini di linea da ambo le parti, Ireland cercherà di far fruttare le cinque scelte nel primi tre giri (e nove in totale) a disposizione. Un numero consistente, che i Dolphins non avevano più in mano da anni ed accumulato con le trades di Vontae Davis e Brandon Marshall: se speso bene, potrebbe davvero costituire le fondamenta di una squadra che è già abbastanza giovane. I tifosi, ovviamente, sperano che sia anche forte.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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