[NFL] Week 10: Forza quattro (Miami Dolphins vs San Diego Chargers 31-24)

A San Diego, in una splendida giornata di novembre e un un’atmosfera un po’ “stranita” per le nuove vicissitudini sulla questione stadio/permanenza/dipartita dei Chargers, è andata in scena una partita quasi altrettanto strana, partita in sordina e con le difese dominanti e conclusa con fuochi d’artificio e colpi di scena.

Hanno vinto i Miami Dolphins, 31-24, che ricevono così una ulteriore spinta di fiducia nel loro percorso di cambiamento. E hanno perso i San Diego Chargers, che pur non essendo una squadra di bassa classifica (perlomeno, non così peggiore di altre) invece si vedono sempre più sul fondo della competitivissima AFC West di quest’anno e, ahimè, con poche speranze di rimontare visto il livello delle compagne di division.

La sfida era attesa, alla vigilia, anche per vedere uno contro l’altro due dei runningback più dominanti di questa prima parte di stagione NFL, cioè Jay Ajayi e Melvin Gordon. Entrambi al secondo anno, entrambi reduci da un anno di debutto sotto le attese – soprattutto per Gordon, scelto al draft molto più in alto di Ajayi – ed entrambi esplosi quasi senza preavviso in questo 2016.

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Il duello alla fine è finito praticamente in pareggio sulla terra (19 portate per 79 yards per Ajayi e 24 portate per 70 yards per Gordon) ma a favore del runningback ex-Wisconsin ci sono anche 5 palloni ricevuti e altra 62 yards; e, in più, un impatto superiore sulla partita in certi frangenti.

Però, visto che alla fine la gara l’hanno vinta i Dolphins, lo scontro diretto si può chiudere con un sostanziale pareggio e i complimenti alle rispettive difese, bravi a contenerli. Già, le difese. All’inizio e per tutto il primo quarto (chiuso 0-0) sono state proprio loro le protagoniste della partita. Quasi una lunga fase di studio durante la quale gli attacchi sembravano cercare il modo migliore per colpire senza trovarlo. E, per tutto questo periodo, l’impressione era che i Chargers avessero qualcosina in
più senza riuscire a sfruttarlo, anche per il già citato buon lavoro della difesa ospite.

Bisogna arrivare appena dentro al secondo quarto perché il punteggio di sblocchi, e sono proprio i padroni di casa a mettere i primi tre punti chiudendo un discreto drive evidenziato da una bella corsa di Gordon da 19 yards e da una penalità stupida della difesa di Miami (e non sarà l’ultima…) che accorcia di 15 yards ai Chargers la strada verso il 3-0.

antonio-gates chargers

Il vantaggio funge un po’ da sveglia e San Diego inizia a scuotersi. Dopo aver bloccato i Dolphins ad un 3&out Philip Rivers sale in cattedra e imbastisce uno dei più bei drive della giornata: 9 giochi, quasi tutti passaggi, e in poco meno di cinque minuti i Chargers si fanno 80 yards e Rivers pesca in endzone il suo alter ego Antonio Gates. 10-0, e in modo convincente; come reagiranno gli ospiti?

Reagiscono bene e, anche qui, appoggiandosi quasi completamente al braccio di Ryan Tannehill che, alla fine di un drive quasi speculare a quello degli avversari (9 giorni, 4:47 minuti e 74 yards) inventa sotto pressione una bomba da 39 yards che finisce dritta nelle mani di Kenny Stills in end zone. 10-7 e Miami c’è.

E anche la difesa c’è. Dopo aver lasciato un po’ di spazio a Rivers, su un 3°/7 dalle 28 yards di Miami Cameron Wake e Mario Williams piombano addosso al quarterback di casa e costringono i Chargers al punt (curiosamente, questa partita vedeva in campo due del kicker più ‘corti’ di tutta la lega) che, sostanzialmente, manda tutti negli spogliatoi.

Alla ripresa Miami riceve il kickoff e inizia col botto: prima Ajayi si fa 40 yards filate di corsa, poi Tannehill pesca Jarvis Landry sulla destra per altre 25 e, dalle 2 yards, palla a Damien Williams che sfonda e porta avanti gli ospiti 14-10 dopo soli due minuti e mezzo dal rientro in campo.

Rivers non ci sta. I Chargers riprendono a macinare gioco, lentamente. Ogni tanto arriva una fiammata, come il passaggio da 21 yards per Tyrone Williams o la corsa di 18 yards di Gordon, ma il drive si sviluppa con un’idea di calma, come farebbe uno che sa che può arrivare a segnare.

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Infatti, dopo 12 giochi, Rivers pesca Hunter Henry nell’angolo dell’end zone, segna il suo 300-esimo touchdown in carriera (a livello di un certo John Elway, per capirsi), i Chargers tornano in vantaggio 17-14 e la passione del Qualcomm Stadium torna ad accendersi.

Però questi Dolphins non sono quelli che tutti si ricordavano. Questi Dolphins, per dirla con le parole del loro allenatore, “non guardano neanche il punteggio, tengono la testa bassa e continuano a giocare. E non smettono di giocare fino a che non scade il tempo.” Questi Dolphins, che probabilmente stupiscono un po’ anche il loro stesso allenatore, prendono palla dopo il touchback e lanciano Jay Ajayi per una corsa di 20 yards che abbassa il volume dello stadio.

Subito dopo completano un passaggio di altre 11 yards che chiude un altro down. E in questi Dolphins c’è un ragazzo che gioca quarterback che a un certo punto si trova un sacco di gente addosso, scappa in qualche modo, decide di improvvisare e corre 18 yards. E poi lancia un passaggino morbido in end zone che non si aspettava quasi nessuno, tranne il runningback di riserva che segna il suo secondo touchdown di giornata.

E, a proposito di tranquillità, dopo che quattro minuti fa eri sotto di 3, adesso sei di nuovo sopra di 4. No, forse questi non sono davvero i soliti Dolphins.

In effetti, però, un tratto comune con i soliti Dolphins c’è: la quantità enorme di penalità che viene commessa. Si potrebbe anche discutere del metro arbitrale e andare a esaminare caso per caso, ma con il procedere del tempo aumenta esponenzialmente il numero di volte in cui un fazzoletto giallo vola per aria per segnare infrazioni a carico della squadra ospite.

Come l’holding chiamata a Byron Maxwell: quarto periodo, 3°/5 Chargers sulle 5 yards di Miami. San Diego aveva dovuto andare al punt ma un errore del ritornatore Jakeem Grant (il terzo della giornata, a dire il vero) aveva ridato loro la palla vicino alla end zone avversaria. E appunto, sul 3° down decisivo, la penalità contro Maxwell rimette in gioco i Chargers sul filo di lana.

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Sembra tutto segnato. Palla in mano, primo down San Diego a un paio di yard da 7 punti e dal nuovo, ennesimo sorpasso di una gara il cui primo quarto era finito 0-0. Ma Philip Rivers va in cortocircuito e si fa intercettare in end zone da Tony Lippett. Sospiro profondo. Mancano ancora più di 12 minuti alla fine, c’è tutto il tempo, dai, dai, dai. La difesa ferma subito i Dolphins e Rivers riprende palla in mano.

Condizione necessaria per essere un buon quarterback, dicono, è avere la memoria corta. L’errore di prima non c’è più, deve sparire, dimenticato, via con un altro gioco. E Philip Rivers (che E’ un buon quarterback) questa dote, evidentemente, ce l’ha: il drive inizia dalle 12 yards e in quattro minuti e con un po’ di passaggi bene assestati, i Chargers sono sulle 30 yards avversarie. E lì Rivers lancia il secondo intercetto.

Di nuovo i Dolphins danno una mano ai padroni di casa. Un superbo passaggio di 40 yards di Tannehill per Parker è annullata dall’ennesima stupidissima penalità. Ed è di nuovo punt, ed è di nuovo palla in mano a Philip Rivers e alla sua – si spera – memoria corta.

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Corto, stavolta è anche il drive dei Chargers: poteva finire dopo tre soli giochi ma (indovinate?) una penalità dei Dolphins lo mantiene in vita. E due giochi dopo Rivers pesca Tyrone Williams in mezzo al campo con un passaggio da una ventina di yards e il ricevitore se ne corre altrettante quasi indisturbato fino alla end zone.

Mancano quattro minuti alla fine, Rivers è di nuovo un eroe, San Diego è di nuovo avanti, 24-21. E adesso vediamo cosa succede.

Quello che succede – subito, al primo gioco dopo il kickoff – è un promemoria del fatto che questi non sono i soliti Dolphins: Ryan Tannehill sotto pressione lancia una bomba clamorosa che atterra 56 yards più avanti nelle mani di Devante Parker. E siccome nella foga Corey Liuget ha pure cercato di staccare la testa a Tannehill con una sbracciata, scattano anche altre 15 yards di penalità contro i Chargers. Miami ha palla sulle 10 yards avversarie ma la difesa di casa non ci sta e i Dolphins mettono (solo) il calcio del pareggio.

Tre minuti alla fine, palla ai Chargers. Va bene la memoria corta ma al primo gioco la palla va a Gordon (13 yards) e al secondo gioco pure (nessun guadagno). Allora, al terzo gioco, Rivers passa, ancora a Gordon, e arrivano altre 20 yards. Vai così, che la memoria si è azzerata di nuovo. Quarto gioco, i Chargers vanno per il passaggio. Kiko Alonso si sposta leggermente prima dello snap sulla sua destra perché ha visto “qualcosa”; Rivers, invece, non ha visto lui che si muoveva, insiste a puntare Tyrone Williams e lancia. L’anticipo del linebacker di Miami è perfetto, salta davanti a Williams, cattura la palla e corre verso la end zone, distante 60 yards.

“Dovevo essere veloce, ma non sapevo se ci sarei arrivato perché sapevo che c’era un ricevitore che mi stava rincorrendo” dirà poi. E invece, ci arriva, segna il più inatteso dei touchdown e esulta imitando Connor McGregor, lottatore UFC. Miami è di nuovo avanti, stavolta di 7 punti.

Ma c’è ancora un minuto: i Chargers ci possono ancora provare. Però forse c’è un limite al numero di volte in cui si può resettare una memoria e probabilmente Philip Rivers quel limite l’ha raggiunto. Tony Lippett gli infligge l’ultima umiliazione della serata e il quarto intercetto chiude definitivamente i giochi. I Dolphins vincono, in trasferta, la quarta partita consecutiva; non succedeva dal 2008. Tannehill si inginocchia e nello spogliatoio si fa festa. Forse, davvero, non sono più i soliti Dolphins.

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Mauro Rizzotto

Più vecchio di quello che sembra, continua a sentirsi più giovane di quello che è. Fra una partita della sua Juve e una dei suoi Miami Dolphins sceglie la seconda. Fra una partita dei Dolphins e la famiglia... sceglie sempre la seconda. Vabbè, quasi sempre. Sennò il tempo per scrivere su Huddle dove lo trova?

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