The Lion King: la storia di Barry Sanders

Per leggere con calma la storia di Barry Sanders servono almeno 15 minuti, ma fidatevi, ne vale la pena. Per tenervi compagnia abbiamo pensato ad una canzone da ascoltare in sottofondo, abbiamo scelto “Shine on You Crazy Diamond” dei Pink Floyd perchè Barry è stato un diamante che ha brillato per troppo poco tempo.

Quando vogliamo definire la grandezza di uno sportivo, molto spesso ci accorgiamo che non è sempre e solo questione di cifre e di vittorie. La cosa che ci fa decidere è quel complesso di sensazioni che ci ha lasciato dentro quando lo abbiamo visto in azione, qualsiasi cosa abbia fatto, in qualsiasi periodo. Ad esempio, la Formula Uno di oggi ha molti campioni veri in attività: quello che ha vinto più di tutti è il povero Michael Schumacher, ma se chiedete a tifosi e addetti ai lavori di fare un nome solo con cui identificare il più grande, ci sta che la risposta sia Ayrton Senna. Non tanto per il modo in cui ci lasciò, quasi a proiettarsi in una dimensione che competeva solo a lui, dopo l’ennesima pole e ovviamente davanti a tutti, ma per quello che ci fece vedere in pista in quegli anni. La classe, la furia, l’alone quasi mistico che circondava il suo modo di guidare, quello che era in grado di fare sotto la pioggia. Schumacher, Vettel, Prost e tra un po’ anche Hamilton avranno pure vinto più di lui. Ma il succo è quello: se dovete fare un nome solo è Ayrton.

Può aver senso anche se parliamo di football. Magari non per i quarterback, perchè la percezione del ruolo è troppo intimamente legata alle vittorie, ma in altri casi può starci. Prendiamo la posizione del running back. Quello che succede se è riuscito a passare tra i blocchi dei suoi lineman da un certo punto in poi dipende solo da lui: dalla sua visione, dalla sua velocità, dalle sue gambe, dalla sua coordinazione, dal suo istinto, dal suo cuore. Passato quel momento in cui il lavoro di squadra si è completato, il runner diventa una sorta di splendido solista. E allora pensiamo ad Emmitt Smith, ai suoi record, ai suoi anelli. O alle leggende del passato, come Walter Payton e Jim Brown. O ai grandi del presente, come Adrian Peterson e Marshawn Lynch.

A valle di tutto questo, vale lo stesso ragionamento fatto prima per Senna. Se chiedete a tifosi e addetti ai lavori di farvi un nome solo che identifichi il runner più forte mai visto su un campo da football, al di là dei numeri e delle vittorie vi risponderanno che per loro quel nome è Barry Sanders.

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Barry Sanders
Barry Sanders

Wichita, Kansas.

Wichita è una città tipica del Midwest. Non bisogna crearsi aspettative particolari, perchè non è New York, Miami o San Francisco. Sanno costruire aerei molto piccoli (Lear e Cessna) o molto grandi (B29 Superfortress: l’Enola Gay, per esempio). Fino all’inizio degli anni Ottanta se andavate a curiosare alla voce Notable People, potevate vedere che qui è nato un halfback forte, ma forte davvero: probabilmente entro i primi dieci in una lista All-Time, quel Gale Sayers che qualcuno più avanti con gli anni avrà avuto modo di conoscere nello struggente film Brian’s Song (La canzone di Brian) in cui si racconta la storia  di Sayers e del fullback Brian Piccolo, morto a soli 27 anni.

Gale Sayers e Brian Piccolo
Gale Sayers e Brian Piccolo

Sayers era un halfback puro. Velocità, accelerazione, cambi di direzione. Uno dei giocatori di riferimento nel suo ruolo fra gli anni Sessanta e Settanta, quando in effetti andavano molto per la maggiore runner che potevano anche permettersi di non avere neppure i tagli nel proprio repertorio, come Jim Brown prima di Sayers e Larry Csonka dopo di lui.

Ma per ogni ragazzo nato a Wichita, giocare runner e pensare a Gale Sayers era assolutamente automatico, fino a metà degli anni Ottanta.

Forse anche Barry, settimo degli undici figli dei signori Shirley e William Sanders, aveva nella sua casa di Wichita un poster o una figurina di Sayers. Lui però giocava cornerback, perchè alla North High School di Wichita il suo allenatore diceva che era troppo piccolo per giocare runner. Almeno fino al suo anno da senior.

Lasci giocare i più piccoli, Coach.

Il signor William Sanders era un padre risoluto. Un buon padre, più orientato all’esempio dato con il comportamento e con il lavoro duro e meno al tempo libero e ai giochi. Non c’era da largheggiare. Famiglia numerosa, figli che venivano su abbastanza bene. Principi solidi e pochi fronzoli.

Sono tuo padre, non tuo amico

(William Sanders, 1937-2011)

A suo padre Barry deve l’amore per il gioco e il senso della disciplina: che parlasse suo padre, un insegnante, un allenatore, Barry ne prendeva atto e agiva di conseguenza. Quindi se il coach di Wichita North High diceva che lui era troppo mingherlino per giocare runner e al più poteva fare il cornerback, Barry andava in silenzio a fare il cornerback. Solo nel suo ultimo anno, Barry chiese se poteva provare un cambio di ruolo, poichè non aveva ancora ricevuto lettere da qualsivoglia college e le sue capacità atletiche potevano essere utilizzate in maniera vantaggiosa sia per lui che per il team.

Una scholarship per un ragazzo di modeste origini come lui faceva tutta la differenza del mondo. Il padre gli disse “Lavora duro, figliolo”. Nel suo anno da senior ebbe anche un nuovo allenatore, Dale Burkholder, che accettò senza problemi la sua proposta e lo schierò come running back. Il duro lavoro produsse una media superiore alle dieci yard per corsa e una fama che probabilmente avrebbe portato Barry ad ottenere la sua scholarship. Coach Burkholder descrisse con facilità quale fosse la caratteristica principale di questo giovane brevilineo:

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Nobody can tackle him

(Dale Burkholder, Wichita North High School Coach, 1985-87)

Nella sua ultima partita da Senior, con la vittoria già in frigorifero, Barry avrebbe potuto portare un numero di palloni sufficiente per fargli battere il diretto concorrente al titolo di miglior runner del campionato scolastico. Coach Burkholder racconta che a bordo campo ebbe un breve conciliabolo con Barry:

Barry, vuoi restare in campo e guadagnare yard per vincere la classifica dei runner o mettiamo i ragazzi più piccoli? Non ci pensò neppure, mi disse “Coach, lasci giocare i più piccoli”

Poco tempo dopo, Barry ebbe due proposte per l’università: gli Oklahoma Sooners, la squadra per cui tifava suo padre, e gli Oklahoma State Cowboys, che già avevano un eccellente runner in Thurman Thomas. Forse per una delle poche volte nella vita Barry decise contro la volontà di suo padre e disse che quello fu uno dei giorni più difficili della sua vita.

Evitate di far male a Thomas!

Nei primi due anni ai Cowboys, Barry Sanders veniva utilizzato quasi solo per riportare i kickoff, cosa che fece meglio di chiunque altro in tutta la NCAA nel 1987. Il problema con lui era quello già evidenziato dal suo allenatore al liceo: nessuno riusciva a prenderlo. Barry cominciava a mostrare quel mix mortifero di velocità, cambi di direzione e istinto per trovare il campo aperto, quella chimera che nel football, con una bella immagine, viene definita la luce del giorno. Ma davanti c’era Thurman Thomas, uno dei migliori runner della nazione e non era semplice togliergli il posto, specie nel suo anno da Senior.

La fama di Sanders però cominciava a diventare solida, tanto che prima di Cowboys-Sooners, cioè la partita più attesa nello stato in tutto l’anno, l’allenatore dei Sooners Barry Switzer disse ai suoi

Fate quello che volete, ma evitate di far male a Thurman!

Switzer aggiunse che anche se praticamente quel freshman era quasi uno sconosciuto per loro, quello che aveva visto nei filmati era più che sufficiente: Barry  non era il tipo di persona con cui mettersi a questionare in campo aperto, forse i suoi non sarebbero neppure riusciti a toccarlo.

Thomas venne quindi preso dai Buffalo Bills, e gli OSU Cowboys erano ormai pronti per affidare il loro running game a Sanders. Lo scetticismo iniziale, dovuto al fatto che Sanders era stato usato da freshman solo per riportare i calci, venne fugato in circa venti minuti nella prima partita del campionato del 1988. Il ragazzo non aveva difetti e l’unico inconveniente, collegato alla bassa statura, venne immediatamente portato a suo vantaggio: Barry riusciva a correre con un baricentro così basso che, ammesso che un difensore potesse avvicinarlo, era facile da fermare come una palla da bowling. Comunque non era una circostanza molto frequente, perchè tra accelerazioni, cambi di passo, inchiodate sul posto, tagli eseguiti a velocità veramente insensate, vedere un difensore che riuscisse a mettergli per bene le mani addosso non succedeva così spesso.

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Barry con i Cowboys di Oklahoma State
Barry con i Cowboys di Oklahoma State

Aride cifre parlano della migliore stagione mai avuta fino a quel momento da un runner: 2628 yard corse, 34 record distrutti. Trentanove (tren-ta-no-ve) TD in undici partite. Altre 222 yard e altre cinque segnature nell’Holiday Bowl. Media per portata nell’arco di un campionato pari a 7.6. Yard per partita 237.5. Non servono commenti.

Barry è sempre stato una persona di poche parole. Molti anni dopo ebbe a dire che lui ovviamente aveva studiato tanto e bene i modelli del suo ruolo e riuscire a mettere in piedi quei numeri anche per lui era qualcosa di irreale. Ma questa era la stessa percezione che avevano tutti quanti quelli che lo vedevano giocare, o peggio che lo affrontavano. Quel ragazzo era qualcosa di mai visto prima su un campo da football. Dopo un’annata simile, ça va sans dire, arrivò anche l’Heisman Trophy, mentre Sanders era a Tokyo con la sua squadra. Inquadrato al momento della proclamazione non mosse neppure un muscolo del viso.

Barry e Deion
Barry e Deion

La pressione dei media si stava decisamente concentrando su di lui, e questa era l’ultima cosa che voleva. Un assoluto antidivo, un normalissimo ragazzo dei una cittadina del Midwest era pronto ormai per la ribalta planetaria della National Football League.

Barry sbarca a Detroit

Detroit chiama Barry Sanders con il n.3 assoluto, dopo che Dallas aveva preso Troy Aikman e Green Bay aveva scelto Tony Mandarich. Al n.5 assoluto gli Atlanta Falcons si regalano l’altro Sanders (di cui abbiamo parlato qui), quello appena più estroverso.

L’impatto di Barry sulla NFL è innegabile: in linea con il personaggio può essere riassunto con estrema semplicità riprendendo la frase del suo coach al liceo: non riescono a prenderlo. Giova ricordare che la differenza tra le difese universitarie e quelle professionistiche è pesante. Gente più grossa, più veloce, schemi più sofisticati da leggere, incroci, stunt. Maggior durezza dei colpi.

Tutti quelli che aspettavano Sanders al redde rationem restano ammutoliti. Il ragazzo ha tutto: cambi di direzione al limite della fisica, accelerazioni brucianti, velocità di base, resistenza ai placcaggi dovuta ad un baricentro bassissimo e a uno stile di corsa unico. L’unica speranza è quella di anticiparlo mentre è ancora nel backfield a leggere i blocchi, ma anche questo è tutt’altro che agevole, perchè Barry ha un mix di occhio e istinto come pochi. E se non lo prendono, ovviamente non si infortuna…

In campo ruba l’occhio come forse potevano fare campioni del calibro di OJ Simpson, Gale Sayers, Walter Payton, Tony Dorsett. E’ il giocatore che non stanca mai, perchè non è mai ripetitivo e fa cose di una difficoltà estrema con una rapidità e una naturalezza così disarmanti da farle sembrare facili. E quando supera il blocco e si trova in campo aperto, non è il tipo di cliente che un difensore vuole affrontare. Troppo veloce, non dà bersagli, non si tira nemmeno giù facilmente. E ogni footrace verso la end zone si chiude nello stesso modo, con il Silverdome in delirio e Barry che nemmeno esulta e cerca l’arbitro più vicino semplicemente per consegnargli la palla, perchè il suo l’ha fatto.

In pratica diventa dalla sua prima partita il nome alfa della sua squadra, in sostanza quello che fece Marino non appena venne mandato in campo nel suo anno da rookie, cosa non frequente per un quarterback in quel periodo.
Il primo anno si chiude con statistiche mostruose: 1470 yard corse, 5.4 di media, 14 TD. Offensive rookie of the year, titolare al ProBowl e nella squadra All-Pro. Il tutto confluisce in un concetto molto semplice: Sanders è il miglior runner della NFL.

Opere d’arte

Molte corse di Sanders hanno veramente fatto epoca. Quando ci mettiamo davanti a quei filmati, la collocazione temporale non conta: se ci troviamo davanti a un Vermeer, restiamo rapiti dalle linee e dai colori e pazienza per la cronologia delle opere. Quando in una stessa azione manda semplicemente a vuoto sette o otto difensori, si resta lì a guardare e basta.

Contro i Colts, handoff di Peete: presumibilmente è una off tackle a destra, ma un linebacker anticipa il gioco nel backfield. Barry gli ruota addosso ma continua a non avere blocchi, cambia immediatamente il flusso dell’azione e con un taglio si ritrova a sinistra e ha margine per accelerare. Quando Sanders è ancora dietro la linea di scrimmage e a buone venticinque yard dalla end zone, si vede Rodney Peete che esulta e già segnala il TD: se volete un indicatore sulla fiducia che avevano i suoi compagni è difficile trovarne di migliori.

Divisional Playoffs 1991, Cowboys vs Lions, Emmitt Smith vs Barry Sanders. I Cowboys stanno per diventare lo squadrone che si spartirà gli anni Novanta con i Fortyniners. La difesa texana tiene Sanders a otto yard in quattro corse nel primo tempo perchè ha capito che l’unico modo per limitare i danni è agire velocemente e quello era il loro dato migliore. Detroit è sopra comunque per 17-6 all’intervallo. Sanders esplode nel secondo tempo.

Lo vedi calmo, poi nei cinque minuti successivi può scatenarti la tempesta

(Emmitt Smith)

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Handoff di Kramer, passo a sinistra di Barry e poi via al massimo verso destra. La difesa si chiude bene, fino a quattro giocatori davanti a lui per placcarlo. Barry fa quella che in gergo si chiama hesitation, ovvero aspetta e li fa convergere verso il punto che dice lui, poi taglia nuovamente verso sinistra dopo aver tolto altri quattro avversari dall’azione con un contatto minimo.

Divisional Playoffs 1991
Divisional Playoffs 1991

E da quel momento è la solita footrace dove non ha avversari. Nota a margine, questa resterà l’unica vittoria nella postseason in tutta la carriera di Barry.

E una corsa contro i Patriots, in cui manda a vuoto praticamente tutti i difensori e cambia direzione tre volte in tre passi contro la safety che alla fine non sapeva più cosa seguire, non aveva punti di riferimento.

E contro i Bears, dove fa convergere tre difensori tra cui uno bravino a nome Mike Singletary, rimbalza loro addosso, taglia verso l’interno e va via.

E contro i Bills, la più bella corsa con perdita di terreno nella storia del gioco: in assenza di blocchi danzò per una trentina di yard in diagonale nel suo backfield e riuscì a perdere solo una yard quando un runner normale ne avrebbe perse sei o sette…

Ma a valle di questo carico di talento immane, Barry resta sempre con un profilo basso a volte quasi imbarazzante. Dopo un Thanksgiving vinto praticamente da solo, riesce solo a dire “Volevo salutare i miei familiari e la mia città: Wichita, Kansas”, per lo stupore degli intervistatori e di OJ Simpson che voleva fargli una domanda, o forse solo un complimento. Barry è quello che sulla sua sideline gira col vassoio con i bicchieri di Gatorade per i compagni.

Non sei il migliore, figliolo…

Nonostante la classe e la produzione di Sanders, i Lions non riuscirono mai ad andare oltre alla singola vittoria contro i Cowboys nella posteseason. Nella partita successiva vennero annientati dai Redskins, poi campioni. Negli anni seguenti il disco si incantava sempre allo stesso punto e la squadra di Detroit, nonostante la presenza di una vera e propria leggenda vivente nel backfield, restava inevitabilmente allo stato di one and done.

Barry era un buon compagno di squadra, umile disciplinato e determinato. Ma i Lions intorno a lui non erano quello che si può definire uno squadrone. Linea d’attacco media, QB discutibili, qualche buon ricevitore come Herman Moore, difese spesso permeabili. La linea d’attacco, giova ricordarlo, era l’unico muro tra Sanders e la difesa perchè i Lions in quegli anni giocavano l’attacco Run and Shoot, senza fullback e senza tight end. Quindi la mostruosa produzione di Sanders era dovuta semplicemente alle sue capacità di lettura di quello che faceva la sua linea e delle sue doti magistrali in campo aperto.

Nonostante la pioggia di consensi che Barry riscuoteva in campo, il signor William restava sempre inesorabilmente critico.

Il runner più forte che io abbia mai visto è Jim Brown. E dopo di lui Walter Payton. Poi, forse, c’è Barry

Il perdurare di questo stato di incompiutezza portò, inevitabilmente, ad un cambio. Dopo un fallimentare 1996, chiuso con il record di 5-11, i Detroit Lions licenziano Wayne Fontes, allenatore bravo e amato dai giocatori ma troppo morbido caratterialmente, e assumono un sergente di ferro come Bobby Ross. Per Barry la prospettiva non cambia, la parola del coach per lui è un ordine a prescindere.

Come prima mossa, Bobby Ross congeda la Run and Shoot. In campo ci saranno anche il tight end e il fullback. Paradossalmente per Sanders all’inizio si verificano problemi di adattamento. Dopo sette anni di libertà assoluta nella gestione dello spazio del backfield, ora si trova davanti Tommy Vardell. Barry si sente un po’ a disagio, ha qualche difficoltà nelle letture.

Nei primi due incontri di regular season Barry guadagna cinquantadue yard in venti portate: per i suoi standard è il primo tempo di una partita difficile, non è pensabile che quelle siano le statistiche di due partite intere. Lui stesso non riusciva a capire il motivo di una caduta verticale così impensabile. Vardell era anche un buon bloccatore, ma il problema è che ora Sanders non aveva più da gestire lo stesso spazio di prima e i quattro ricevitori che aveva in campo aperto gli allungavano un po’ la difesa, che per uno come lui era un invito a nozze.

Coach Ross ammise subito la propria responsabilità in questa transizione, affermando che Barry comunque doveva essere usato di più e meglio. Cominciò a variare le formazioni, alternando set con il fullback a set in cui Sanders aveva su di sè onere e onore di gestirsi in proprio la situazione come prima. E quello che sembrava un giocatore col motore imballato, esplose letteralmente. Nelle tredici partite successive andò sempre sopra le cento, e in due occasioni sopra le duecento yard.

Arriva così la partita finale della regular season, a Detroit contro i NY Jets. A Barry mancano 131 yard al fatidico traguardo delle duemila. Nel primo tempo riesce solo a coprire venti yard, ma a posteriori sembra solo che volesse apparecchiare quello che sarebbe stato uno degli spettacoli più belli e suggestivi messi in piedi da un campione del suo livello, davanti al suo pubblico. Barry comincia a infilare un taglio dietro l’altro, una corsa dietro l’altra, a colpi di dieci, quindici yard, fino ad esplodere per cinquantatre yard nella corsa della leggenda, che lo consegna all’Olimpo dei runner da più di duemila yard, con gente come Simpson e Dickerson. Una corsa da Barry, danzando tra gli avversari, cambiando direzione più e più volte, con lo stadio a urlare con il cuore in gola per le imprese di questo fuoriclasse schivo e silenzioso.

Sanders concluse quella stagione a quota 2053.

Dopo quell’annata da sogno, Sanders chiuse il 1998 ancora con statistiche eccellenti, guadagnando 1491 yard. Dieci stagioni consecutive sopra le mille, e la perla del 1997. La media in carriera nei primi dieci anni era di cento yard a partita. Cento yard a partita garantite per dieci anni.

Mancava solo un passo in più per portare i Lions nella elite della lega in pianta stabile.

Breaking news

Il 28 luglio 1999 il Wichita Eagle, quotidiano a diffusione locale, pubblica un fax ricevuto poche ore prima.

Dopo lo scorso campionato, la mia idea era quella di non tornare in campo per la stagione 1999-2000. Ho scelto di prendere tutto il tempo possibile per essere davvero convinto di quello che facevo. Oggi dichiaro ufficialmente il mio ritiro dal football professionistico. Giocare nella NFL è stata una esperienza meravigliosa e non ho rimpianti. Mi mancheranno i Lions. Considero i miei compagni, la mia squadra e i miei tifosi come parte della mia famiglia. Rimango in buoni rapporti con tutta la loro organizzazione. Ho avuto l’onore di giocare con due grandi allenatori come Wayne Fontes e Bobby Ross, che sono anche stati grandi leader. Non ci sono problemi di natura economica con la squadra. Lo stipendio che avrei avuto quest’anno se avessi giocato sarebbe stato all’altezza delle mie aspettative.
La ragione del mio ritiro è semplice: il mio desiderio di smettere è più grande del desiderio di continuare. Ho cercato a lungo dentro di me e mi sento a posto così.
Ringrazio famiglia ed amici per la loro vicinanza e auguro tutto il bene possibile ai Detroit Lions.

(Barry Sanders)

Una buona lettura di questa decisione tutt’altro che facile l’avrebbe fornita qualche anno dopo il suo amico e rivale Emmitt Smith.

Tu giochi a football per vincere almeno un Super Bowl. Assapori i playoff e vedi che l’organizzazione in cui giochi non si muove nella direzione giusta, mentre le luci sono tutte addosso a te e tu rischi il tuo corpo e la tua salute in ogni azione. E poi vedi che lo sforzo degli altri è minore e perdi le partite? Beh, non c’è niente di divertente.

Questo senso di frustrazione latente, accumulato per anni, probabilmente era al punto di non ritorno. Stiamo parlando di un giocatore stimato dall’intero mondo del football, compagni e avversari, che aveva costruito in silenzio una carriera irripetibile in un contesto eufemisticamente non ottimale.

Barry ormai percepiva che non aveva più molta benzina nel serbatoio. Non era più a suo agio a Detroit ma la sua disciplina e la sua professionalità come sempre prevalsero, e non aprì mai bocca al riguardo. Le voci intorno a lui erano sempre molto poche e molto difficili da controllare, da portare oltre la soglia del “si dice”. Forse non aveva preso bene la possibilità che Scott Mitchell, il medio se non mediocre QB della franchigia del Michigan, avrebbe avuto un adeguamento salariale imponente. Forse si era impuntato per esser ceduto ai Miami Dolphins in una trade sullo stile di quella che portò Herschel Walker ai Vikings , ma anche qui siamo nel terreno minato della conspiracy theory, anche se vedere per uno o due anni nella stessa squadra Dan Marino e Barry Sanders sarebbe stato qualcosa di difficilmente immaginabile, nell’ipotesi che i due fossero ancora integri fisicamente. La risposta dei Lions sarebbe stata un categorico o con noi o con nessun altro.

Fatto sta che Barry era stanco di stare in una squadra che era un cantiere perenne, anche se non aveva lasciato trapelare verso i Lions quale fosse la sua reale idea dopo la stagione 1998. Poco prima dell’inizio del training camp chiama la squadra per dire che sarà qualche giorno a Londra in vacanza. La cosa non destò particolari allarmi, un giocatore con quel carico di talento poteva allenarsi anche un po’ meno, a quel punto della sua carriera. Ma ormai la decisione era presa, e Barry affidò a poche righe di un giornale locale le parole che fecero letteralmente venire giù ogni singolo mattone al training camp dei Lions. Grazie a tutti, basta così.
Barry si fermò a poco più di mille yard dal record di Walter Payton e lasciò la strada aperta verso il record di All Time Rushing Leader al suo amico e rivale Emmitt Smith.

Barry e Emmitt
Barry e Emmitt

Smith ebbe una sorte diversa rispetto a Sanders, perchè ebbe modo di dare il suo enorme contributo in una organizzazione che in quegli anni era perfetta in ogni dettaglio. Runner eccellente dietro la miglior linea della NFL, con la possibilità di variare il gioco grazie a un QB fantastico come Aikman. Irvin, Harper e Novacek a ricevere, e una delle difese più aggressive e determinate di quel periodo.
Tra i Cowboys e i Lions c’era semplicemente un abisso e in sostanza Barry Sanders era l’inizio e la fine dell’attacco di Detroit, mentre Smith era solo una delle tante favolose armi della squadra texana.

Smith raccontò che in pratica non è mai esistita una rivalità tra i due. Si rispettavano troppo. Hanno fatto scelte diverse e hanno avuto destini diversi. In molti hanno detto a Smith che lui ha potuto battere quel record perchè Barry ha scelto di ritirarsi, altrimenti sarebbe arrivato anche a ventimila yard. Smith ha replicato nell’unico modo possibile

Sono chiacchiere da bar. Non importa quello che hai fatto, tanto è sempre troppo poco, no? Alla fine quello che è fatto è fatto e non c’è modo di tornare indietro per cambiarlo, nè per me nè per Barry. E’ finita, no? Andiamo in pace…

Paradossalmente all’annuncio del ritiro la persona che ha capito e apprezzato meglio il gesto di Barry è stato proprio suo padre, che ha ammesso che per prendere quella decisione in quel momento ci voleva tanto di attributi.

Life after football

La vita di Barry è andata avanti sugli stessi binari. Una persona con principi solidi, aiutata dall’esempio forte di suo padre. Un carattere non intaccato dalla gloria di una carriera mostruosa. Dopo la delusione iniziale, la città di Detroit ha capito e perdonato e anche i Lions hanno ritirato la maglia numero 20.

Fallito il matrimonio, Barry si è comunque concentrato sui figli seguendo con particolare empatia la carriera di suo figlio Barry James, runner a Stanford, un po’ lontano dal padre come talento. Un padre single che va allo stadio a veder giocare il figlio, col cappellino in testa e ingolfato in una giacca a vento in tribuna come tanti altri padri che coltivano una speranza. E tanta beneficenza, perchè uno con le sue origini e la sua storia ha ben chiaro il concetto di give back to the community.

Alla partita del figlio...
Alla partita del figlio…

Vi invitiamo a cercare in rete materiale su questo talento irripetibile (se ne trova davvero tanto, per fortuna), perchè ne vale veramente la pena sia per chi non lo ha visto giocare, sia per chi lo ha visto e sta ancora lì ad aspettare che ne arrivi un altro.

Come per Senna, d’altronde.

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Mauro Clementi

Curioso esempio di tifoso a polarità invertita: praticamente un lord inglese durante le partite della Roma, diventa un soggetto da Daspo non appena si trova ad assistere ad una partita di football. Ha da poco smesso lo stato di vedovanza da Marino. Viste le due squadre tifate, ha molta pazienza.

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