Il libro di Peyton Manning: Indianapolis, anno zero Dopo Manning

Nel 1984 i Baltimore Colts si trasferiscono a Indianapolis. Tutta la poesia, la nostalgia e la ribellione dei tifosi del Maryland non è oggetto di questo capitolo, ma vi possiamo assicurare che a Baltimore quella notte se la ricordano molto bene.

Indianapolis, molto semplicemente, non è una città a cui interessa il football. Le vicende di Purdue, ateneo che è molti chilometri a nord-ovest di Indianapolis, appassionano molto più gli abitanti della città che non il football professionistico. Poi ci sono i motori, i Pacers in NBA e l’altra università locale, Indiana, che negli anni ‘80 vince ben due titoli NCAA.

hou04

Pubblicità

Quando i Colts arrivarono a Indy, l’allora proprietario Bob Irsay stipulò un accordo con la giunta comunale della città. In base a questo, Indianapolis avrebbe sopperito ad una eventuale mancanza di introiti per i Colts. Parlando in termini matematici, ogni due anni si sarebbe fatta la media degli incassi di tutte le squadre NFL, e se i Colts avessere incassato meno di quella cifra, il comune avrebbe pagato la differenza.
Esempio numerico: la media degli incassi in NFL è 100 milioni e i Colts ne fanno 80. I 20 di differenza li avrebbe messi la città.
Accordo che nel 1984 era vantaggioso. Il comune convince i Colts ad approdare, si accaparra l’indotto e rischia poco, perché i Colts, con uno stadio da 60000 persone, lo riempiono continuamente anche solo grazie all’effetto novità, rientrando in media NFL.

Una quindicina di anni dopo, quando Peyton Manning atterra dal draft, la situazione è cambiata. Indy si trova a giocare in uno stadio – l’RCA Dome – piccolo per gli standard, e con risultati non eccellenti. L’8 novembre del 1992 i Colts perdono in casa per 38 a 0; quando arrivano in città i Patriots una giornata dopo perdono di quattro, ma 15000 persone restano a casa rispetto a sette giorni prima.
Gli incassi di quella squadra sono drammaticamente inferiori alla media di una lega in cui esistono stadi da 80000 posti a sedere contro i 56000-60000 del Dome.
A rivelare questa dinamica, o a riportarla in auge, sono stati Bart Peterson (sindaco di Indianapolis negli anni 2000) e Fred Glass, incaricato del comune che ai tempi seguì la pratica che portò alla realizzazione del Lucas Oil Stadium, nuovo stadio e ragione per cui i Colts sono rimasti finora nella città dell’Indiana.

Ma come può uno stadio da 70000 posti come il Lucas Oil essere riempito da quei 40000 che assistettero alla sconfitta contro i Patriots quel giorno di novembre del 1992? Chi li porta quei 30000 in più? Chi fa tornare i Colts in media?

Il figlio d’arte e il gigante

Nella sempre evolvente storia del Draft NFL, il 1998 non fa eccezione. Anzi, forse rappresenta una delle svolte più fondamentali nella sua storia.
Jim Irsay, figlio di Bob (che è deceduto l’anno precedente) chiama Bill Polian, nuovo general manager dei Colts nel suo ufficio.
“Bill, non sbagliare! Voglio continuare a prendere i soldi del comune e non voglio andarmene da Indianapolis!”
La morte di papà Irsay aveva propiziato una rivoluzione: il figlio aveva licenziato a destra e manca, rifondando il front office mettendo Polian a capo della baracca, con poteri quasi illimitati.
I Colts si ritrovano la prima scelta assoluta. Da quando erano arrivati a Indianapolis non un solo titolo, cinque stagioni vincenti e sole tre qualificazioni ai Playoff.

L’intimazione di Irsay è esatta: Manning non è il solo prospetto a uscire dall’università e dare l’idea di essere la panacea per i mali di chi lo sceglierà. Infatti da Washington State esce anche Ryan Leaf, un fenomeno, più alto, più grosso, più veloce. Il rischio di sbagliare giocatore è altissimo.
Polian si rivolge a Steve Champlin, direttore dello sviluppo del personale dei Colts: “Steve, non dobbiamo sbagliare!”

Champlin gira l’America parlando con tutti i vari allenatori dei due atleti. Quando alla Combine Peyton fa un solo punto più di Leaf al Wonderlic (test che tenta di misurare l’intelligenza degli atleti), Champlin non sa più che pesci pigliare.
Per la prima volta nella storia della lega una squadra professionistica chiede una profilazione psicologica di due prospetti. Da essa emerge che Manning è meno “misterioso” del rivale. Leaf avrà un braccio più potente, sarà più fisico e più alto, ma il livello di rischio è molto più alto con lui. Il carattere tranquillo ma ossessivo di Peyton e gli altri intangibles lo collocano alla prima assoluta.

Piccolo quesito: solo uno dei due è finito in galera. Chi è?
Piccolo quesito: solo uno dei due è finito in galera. Chi è?

Alla prima partita del numero 18, contro i Miami Dolphins, c’è il tutto esaurito. Stessa cosa contro Panthers e Patriots durante la stagione. Nel 1999 la media sale a 57000. Nel 2000, per abbattere i costi di manutenzione, la capacità dell’RCA Dome viene ridotta a 56000, e i Colts li riempiono tutti sempre. E così via fino al 2008, i biglietti andranno a ruba fino a che Peyton migrerà verso il Lucas Oil Stadium.
Nel dicembre 2004 Glass, Peterson e Irsay mostrano il primo video del nuovo impianto, nel delirio del popolo dell’Indiana. La guerra politica è vinta anche grazie alle scelte di Champlin, ma Manning e Polian sanno bene che quella più complicata si combatte sul rettangolo verde…

Quando il nemico è anche il padrone di casa

Il primo giorno di allenamento Peyton Manning non trova un qualsiasi head coach davanti a sé. Trova qualcuno che conosce molto bene. Jim E. Mora allenava i Saints a cavallo degli anni ‘90, e Archie Manning in quel periodo aveva un ragazzino in casa che lo stressava: “Papà, portami a vedere i nostri Saints!”
Allora Archie tirava su il telefono e chiedeva a Jim se potesse portare Peyton al SuperDome. Sia ben inteso, non la partita, gli allenamenti! Quindi quando nella primavera del 1998 Peyton Manning incontra Jim Mora, parte anch’egli della rifondazione che Jim Irsay attuò quell’anno, incontra un conoscente, un qualcuno di cui conosce i metodi di allenamento e, come vedremo tra qualche riga, qualcuno di cui non può fidarsi molto.
La stagione da rookie finisce con il maggior numero di yard lanciate per una matricola ma con un numero infinito di intercetti, record ancora detenuto dal numero 18. Finisce anche con il solito 3-13 per i Colts.

Le cose cambieranno l’anno seguente, perché a riempire l’RCA Dome arriva anche il runningback Edgerrin James. 13-3, ma sconfitta ai Playoff contro i Titans, bissata l’anno seguente da un’altra figuraccia contro i Dolphins.
Il tormento di Peyton Manning nel nuovo millennio, mentre la sua fama di perdente si profila all’orizzonte, è duplice: oltre alle sconfitte deve anche vedersi dal suo diretto superiore.
25 novembre 2001. La svolta nella carriera di Mora e Manning. A San Francisco i Colts perdono lanciando 4 intercetti; è il quarto anno di Peyton Manning tra i professionisti, e in quei quattro anni nessuno lancia più yard di lui, ma dopo due viaggi deludenti in Post Season Indy è 4-6, ben lontana dai Playoff. Le parole di Mora dopo quella contesa porranno fine alla sua carriera:

Pubblicità

“Se lanci 4 intercetti, non vinci nemmeno contro una high school o un college, figuriamoci in NFL! Quest’anno ha 4 intercetti ritornati in touchdown, deve essere un record. Playoffs? Non scherziamo. Sarei contento di vincere un’altra partita!”

La risposta di Manning:

“Lui è il coach e può fare e dire quello che vuole. Vi posso assicurare che quelle stesse cose le ha detto a me nello spogliatoio, davanti a tutti i miei compagni. Va bene, devo incassare certe cose, ho la pelle dura. Però se mi chiedete se questo mi dia fastidio devo dirvi di sì, me ne dà! Sono sicuro parlasse di me, anche se non mi ha mai menzionato, sono stato provocato in una conferenza stampa registrata, che chissà quante volte sarà mostrata al pubblico. No, non mi piace nemmeno un po’!”

La settimana successiva, il 2 dicembre, i Colts perdono con i Ravens (proprio loro, quelli che li hanno sostituiti in Maryland) e a fine stagione avranno la peggiore difesa in NFL, diretta da quel Vic Fangio che farà benissimo ai 49ers dopo il 2010.
Irsay e Polian probabilmente non discutono neanche: quello che se ne deve andare è Mora e il suo record di 0-6 nei Playoff.

peyton-manning
Da Tampa Bay arriva un giovane coach afroamericano che ha tirato su in Florida una difesa spaventosa: Tony Dungy. Sarà il complemento perfetto per Peyton Manning, sarà la chiave per la vittoria nel Super Bowl. E proprio da una serata del 2003 a Tampa Bay, Florida, che vede opposti i Colts di Peyton Manning e Dungy ai Buccaneers campioni del Mondo, inizieranno le vittorie importanti e ricomincerà il nostro racconto.

Puntata precedente –  Puntata successiva

[ad id=”29259″]
Merchandising Merchandising

Dario Michielini

Segue il football dagli anni 90, da quando era alle elementari. Poi ne ha scritto e parlato su molti mezzi. Non lo direste mai! "La vita è la brutta copia di una bella partita di football"

Articoli collegati

Pulsante per tornare all'inizio
Chiudi

Adblock rilevato

Huddle Magazine si sostiene con gli annunci pubblicitari visualizzati sul sito. Disabilita Ad Block (o suo equivalente) per aiutarci :-)

Ovviamente non sei obbligato a farlo, chiudi pure questo messaggio e continua la lettura.