[NFL] SB 50: Dalla panchina dei Carolina Panthers

Il giocattolo si è rotto proprio sul più bello.

Dopo una stagione quasi senza macchia (17-1), i Panthers hanno fallito all’appuntamento decisivo, e si sono dovuti arrendere ai Broncos  per 24 a 10, in un upset a dir poco sorprendente; infatti, secondo le previsioni dei più alla vigilia, la franchigia di John Elway avrebbe dovuto essere una mera vittima sacrificale nella cavalcata di Carolina verso il primo Superbowl della sua storia (alla seconda presenza assoluta, dopo quella del 2004, conclusasi con una sconfitta per 32-29 ad opera dei New England Patriots).

Nella domenica del Levi’s Stadium è invece andato in scena un vero e proprio meltdown del miglior attacco della stagione, completamente dissoltosi di fronte ad una difesa avversaria famelica e feroce, trascinata in campo dall’indiscutibile MVP Von Miller e guidata dalla side-line da Wade Phillips, uno che fino a poco tempo fa si trovava inspiegabilmente a non avere un posto all’interno di uno staff NFL.

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Come già successo più volte in passato (e proprio i Broncos possono esserne recenti testimoni), la più forte difesa della Lega ha finito con l’avere un netto predominio sull’attacco più profilico, nell’ennesima dimostrazione che sono proprio gli schieramenti difensivi a far vincere i titoli. Ma senza nulla togliere agli innegabili e straordinari meriti di Miller, Ware & co, è stata del tutto inaspettata la prestazione fornita dal reparto offensivo di Carolina, ed in particolare da Cam Newton; il quarterback, pur essendo stato costretto a fronteggiare una continua e costante pressione per tutta la partita, è infatti parso fin dal principio ben poco a suo agio, quasi spaesato, e molto diverso dal giocatore che ha pienamente meritato di ricevere gli onori di Mvp della Regular Season 2015.

Non che sia stato particolarmente aiutato dai compagni di attacco. L’offensive-line, (in particolare i due tackle Michael Oher e Mike Remmers), non ha retto all’urto dell’instancabile pass rush avversaria (alla fine ben 7 i sack concessi, cui vanno sommate 13 qb hit e 19 situazioni di pressione). Il contributo dato dal running game è stato limitato e soffocato dalla linea dei Broncos (lo stesso Newton è stato tenuto a sole 45 yards di corsa), con Stewart fermato a 29 yards totali (anche per via di un infortunio) e con Tolbert che è incorso in ben 2 fumble. E nemmeno i ricevitori sono andati incontro ad una delle loro migliori serate; Cotchery si è reso protagonista di due drop sanguinosi, e i numeri di Brown (4 per 80) e Ginn jr. (4 per 74) risultano essere ampiamente gonfiati da un paio di singole catch che li fanno apparire nel complesso migliori di quanto non siano stati. Se si aggiunge poi che il target favorito di Newton, Greg Olsen (4 per 41), è stato oggetto di particolare attenzione e copertura da parte degli avversari, nello specifico e vincente tentativo di limitarne l’impatto sulla partita, si può intuire come al qb la vita non sia stata resa affatto semplice.

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Ma Cam è parso teso e insicuro (ha messo insieme statistiche tutt’altro che esaltanti, alla fine 18 su 41 per 265 yards con un intercetto) e ha probabilmente subito il peso dell’evento e l’importanza del proprio ruolo all’interno di una squadra della quale è stato nel corso di quest’anno leader assoluto. L’immagine che resta indelebile nella mente è quella di Newton che nella fasi finali del match, in seguito all’ennesima pressione portata da Von Miller e annesso fumble, osserva inerme il pallone a terra senza provare a recuperarlo e non accennando alcuna reazione.

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La prestazione del qb ha forse condizionato anche gli altri giocatori offensivi, che nel vedere il proprio compagno incerto ed impreciso, hanno perso sicurezza ed hanno finito col commettere una serie di errori, tra i quali si annoverano occasioni perse (come l’importante field goal fallito da Gano, calciato contro l’esterno del palo destro del goalpost), turnovers (4 in tutto) e penalità (12 per 102 yards) che alla lunga hanno indirizzato il Lombardi Trophy verso il Colorado. Quanto detto ha contribuito a far si che Carolina mettesse a segno solo 10 punti, una miseria se messi a confronto con quanto la squadra è riuscita ad ottenere in precedenza, ovvero una media di 31.3 a incontro in stagione regolare e di ben 40 nei due match di playoffs giocati prima di domenica, con Seattle Seahawks e Arizona Cardinals.

Eppure fino alla fase conclusive c’è stata partita, perchè l’attacco di Denver non ha fatto granchè meglio di quello di Carolina (ma con un Manning che, seppur certo non al suo meglio, è parso conscio di quelli che sono ormai i propri limiti, e che nel finale non ha praticamente più lanciato, affidandosi quasi esclusivamente al gioco di corsa). Difatti in un Superbowl nel complesso non certo esaltante dal punto di vista tecnico e delle segnature (si è trattato della quarta occasione della storia in cui non ci sia stato almeno un Td pass), i colpi di scena non sono mancati da entrambe le parti e come la difesa dei Broncos, anche quella dei Panthers ha disputato una partita di ottimo livello, limitando l’efficacia della controparte (gran parte dei punti degli arancioni sono infatti ascrivibili alla propria difesa, o agli errori dell’attacco del team di Ron Rivera, a seconda di quale lato della medaglia si preferisce guardare).

I difensori della franchigia di Charlotte hanno poco da rimproverarsi, avendo fatto il possibile per cercare di tenere in corsa la squadra; tra loro c’è anche chi si è tolto grandi (ma probabilmente amare) soddisfazioni, come Kony Ealy, in grado di accumulare nel contesto del prestigioso palcoscenico di San Francisco ben 3 sack, un intercetto e un fumble forzato. Lo stesso vale in misura minore per Luke Kuelchy e Josh Norman, che nella partita più importante della loro carriera non hanno deluso le aspettative, giocando sugli alti livelli mostrati nel corso dell’annata.

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Un finale di stagione certamente brutale per i Carolina Panthers, soprattutto in ragione delle premesse e delle aspettative con cui si sono avvicinati all’incontro. Ma se la squadra sarà in grado di superare l’enorme delusione potrà confermarsi nei prossimi anni come una delle principali pretendenti all’interno della NFC. Il nucleo fondante è solido, con giocatori chiave come Newton, Olsen, Kuelchy ben stabili nelle loro posizioni contrattuali.

Lo stesso quarterback ha solo 26 anni, possiede ancora margini di miglioramento e resta in ogni caso il volto e il futuro dei Panthers. Il Superbowl 50 ha mostrato una versione diversa di Cam Newton; non il giocatore sicuro di sè, che danza e festeggia per la conquista di un primo down, con un atteggiamento da molti ritenuto eccessivamente esibizionista ed arrogante, ma un atleta molto più umano di quanto non faccia pensare il suo soprannome di ‘Superman’; in una conferenza post-partita lampo, dalla quale è fuggito dopo poche domande, rendendo più che palese il proprio stato d’animo e la sua delusione, alla richiesta se avesse un messaggio per i tifosi dei Panthers ha comunque rassicurato: “we’ll be back”.

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